giovedì 30 dicembre 2010

Papa nero (e felice)

Quando il calcio assomiglia ad una fiaba natalizia. Arriva dal Belgio la classica storiella, tutta buoni sentimenti e lieto fine, che piace tanto ascoltare durante le festività. Il protagonista è un 20enne di Dakar, Papa Sene, passato nel giro di pochi mesi da immigrato clandestino in calciatore professionista di notevoli prospettive future. Da gennaio il senegalese è stato infatti ingaggiato dal club di prima divisione belga del Cercle Brugge, ponendo fine ad un’esperienza in Europa vissuta pericolosamente ai margini della società.

Il 15 maggio 2009 Papa Sene faceva il suo ingresso in Belgio privo di alcun regolare permesso di soggiorno. Era fuggito da Saragozza, dove si trovava con la nazionale senegalese under-18 per un torneo giovanile. Non se la passavano molto bene i ragazzi senegalesi perché buona parte dei soldi a loro destinati finiva nelle tasche del team manager della selezione. Per un giovane che, come migliaia di propri coetanei, sognava di sfondare nel calcio europeo, l’idea di rientrare a Dakar dove nessuno veniva a vederti non era propriamente allettante. Ecco pertanto la scelta della fuga.

Papa Sene ha utilizzato i pochi soldi di cui disponeva per comprarsi un biglietto aereo sulla tratta Barcellona-Bruxelles, e dopo qualche giorno ha chiesto asilo al governo belga, finendo alloggiato in un campo militare. Poi è arrivato il trasferimento nel comune di Menen, nelle Fiandre Occidentali. Un francofono come Papa Sene in mezzo ai fiamminghi. Un impatto ambientale e culturale ancora più difficile. Il senegalese però sa giocare a calcio, un viatico di integrazione fenomenale. Le sua capacità non sfuggono al presidente del centro di accoglienza di Menen, Thomas Peirsegaele, che grazie ai propri contatti riesce ad aggregarlo alla squadra locale, iscritta alla quinta divisione del campionato belga.

Inizialmente Papa Sene, ancora in attesa di risolvere i propri problemi di passaporto, gioca con la selezione giovanile. Debutta con una tripletta, poi arriva la prima squadra, nella quale mette a segno 17 gol. La voce circola. In estate arriva il duplice salto di categoria. Papa ene diventa un giocatore del KVV Koksijde, Derde Klasse, la Lega Pro belga. La società gli offre un appartamento, lo manda a lezioni di fiammingo e gli trova un impiego part-time: operaio tuttofare presso il dipartimento di polizia cittadino. Per Papa Sene arriva nella coppa di Belgio, che vede il Koksijde sorteggiato contro il Genk, capolista della massima divisione, per i sedicesimi di finale della competizione. Pochi mesi dopo il senegalese si troverà dall’altra parte della barricata.

Tra i numerosi club che si sono messi sulle sue tracce nell’ultimo periodo l’ha spunatato il Cercle Brugge di Bob Peeters e del suo vice Lorenzo Staelens, che ha paragonato il senegalese ad uno dei migliori prodotti usciti dal club fiammingo: l’attaccante Tom De Sutter, oggi sfortunato (in quanto massacrato dagli infortuni) protagonista nell’Anderlecht. Papa Sene, che nel frattempo ha visto accettata la propria richiesta di asilo, ha firmato un contratto fino al 2013. “A 16 anni feci uno stage nel Lione, ma ebbi un incidente in moto e il pedale mi spezzò la tibia. Tornai a casa temendo di non poter più giocare a pallone. Quattro anni dopo sono diventato un professionista, felice di non essermi mai arreso”. Proprio una tipica storia di Natale.

Footballstories.net

venerdì 24 dicembre 2010

Coppa d'Olanda: ottavi di finale

Per gli ottavi di coppa d’Olanda in settimana sono state disputate quattro partite: le più importanti. Il Twente ha chiuso il suo magico 2010 demolendo 5-0 il malcapitato Vitesse. Per il club di Arnhem l’effetto-Albert Ferrer sembra essersi già esaurito, ammesso che ci sia mai stato. All’intervallo i Tukkers, a dispetto delle numerose assenze, conducevano per quattro reti a zero, favorite da un paio di errate valutazioni del portiere giallo-nero Eloy Room, che regalava due gol a Theo Janssen prima con una papera, poi facendosi scavalcare da un lancio lungo. Nel mezzo un rigore trasformato da Luuk de Jong per fallo commesso da un ex della partita, Slobodan Rajkovic. Room si è parzialmente riscattato nella ripresa resistendo ad un autentico tiro al bersaglio, ma nel frattempo aveva dovuto incassare altre due reti firmate da Chadli e De Jong.

Facile anche per il Psv Eindhoven, in una replica di quanto accaduto nel week-end; stessa vittoria, 3-1, contro lo stesso avversario, il Roda. Unica differenza le condizioni atmosferiche, con una fitta nebbia dicembrina che non fungeva certamente da stimolo ad assistere l’incontro live sulle gradinate del Parkstad Limburg. Qualificazione thrilling invece per l’Utrecht, che ha avuto ragione del Volendam solamente nel finale grazie ad un rigore trasformato da Barry Maguire. Il veterano Barry Opdam e l’estremo degli oranje Robbin Ruiter hanno alzato un autentico muro contro il quale si sono infanti tutti i tentativi degli uomini di Du Chatinier. E prima del fallo su Dries Mertens che è valso il rigore-qualificazione, il brivido di una netta falciata ai danni di Melvin Platje nell’area di rigore dell’Utrecht non vista unicamente dal direttore di gara.

Volti nuovi in casa Ajax, con l’esordio dal primo di minuto di Lorenzo Ebecilio, schierato da Frank de Boer attaccante sinistro del tridente d’attacco. Al giovane prodotto del vivaio è mancato solamente il gol, al termine di una prestazione di fattura talmente elevata da far perdere le staffe a Pontus Wernbloom, che a metà secondo tempo si è prodotto in un intervento killer sul giocatore. Rosso diretto. Il gol partita contro un Az piuttosto scarico è però arrivato da Miralem Sulejmani, che ha giocato a destra, con Siem de Jong punta centrale (esperimento già provato ai suoi tempi da Marco van Basten) e Christian Eriksen numero 10.

Chiuderanno il turno a gennaio la sfida tra squadre dilettanti Sparta Nijkerk-Noordwijk, le trasferte di Rkc Waalwijck e Groningen rispettivamente su campi di Achilles’29 e Sc Genemuiden (entrambe società non professionistiche) e l’incontro tra il Telstar - club di Eerste Divisie - e il Nac Breda.

Pillole di Eredivisie - giornata 19

Puntata ridotta a causa della neve, che ha cancellato diversi incontri. Si è però giocato al Philips Stadion di Eindhoven, dove il Psv si è imposto 3-1 sul Roda chiudendo l’anno da capolista solitaria. Tributato il doveroso plauso all’ungherese Balasz Dszudszak per il missile terra-aria che ha chiuso definitivamente l’incontro, la copertina non può però non essere dedicata ad Ibrahim Afellay, che si è congedato da un club nel quale è cresciuto fin da ragazzino (ha debuttato in prima squadra a 17 anni il 4 febbraio 2004 subentrando a Johann Vogel in un incontro di coppa d’Olanda con il Nac Breda). E’ finita con una standing ovation e con le lacrime di Ibi, che da gennaio vestirà la maglia del Barcellona. Un trasferimento di lusso, meritato da un giocatore che al Psv ha dato (e dal quale ha ricevuto) tutto. Afellay lascia, tabelle di rendimento alla mano, da miglior giocatore della Eredivisie 2010/2011, e con un palmares che include quattro titoli nazionali, una coppa e una supercoppa d’Olanda, nonché il riconoscimento quale talento dell’anno stagione 2006/07. Adesso la grande avventura in Spagna, per inseguire il sogno di una carriera alla Sneijder. Auguri.

A 22 anni Ryan Koolwijk giocava ancora nelle giovanili dell’Excelsior e sulla sua carriera da professionista nel mondo del calcio gravava un grosso punto interrogativo. Forse sarebbe stato meglio proseguire con gli studi, pensava il giocatore. Oggi, a 25 anni, ogni dubbio è stato fugato, con Koolwijk titolare nell’Excelsior e addirittura nella top ten dei migliori giocatori della Eredivisie. Nella mediana a tre del club di Rotterdam le redini del gioco sono saldamente in mano a questo interno dall’elevata capacità di lettura del gioco (7 assist stagionali), impreziosita da una buona tecnica che gli permette di compensare un fisico non certo da granatiere. Contro il Groningen Koolwijk, che della sua squadra è anche capitano, ha festeggiato la sua presenza numero 100 nel professionismo siglando la sua prima rete stagionale, un rigore che ha dato il via alla rimonta dell’Excelsior contro il Groningen. Meno di due mesi fa Koolwijk si è diplomato in management e marketing sportivo alla Hogeschool di Rotterdam. Decisamente un 2010 magico il suo.

Natale triste in casa Willem II. Il club di Tilburg, 15 sconfitte e 4 pareggi in 19 partite, rischia davvero di diventare la barzelletta della Eredivisie. Basta vedere le due autoreti, firmate Niek Vossenbelt e Veli Lampi, che hanno regalato la vittoria ad un Ado Den Haag non propriamente brillante. Per la serie: quando piove, diluvia.

martedì 21 dicembre 2010

Tutti per Bruno

Ambizioni di classifica medio-alte, spettro della retrocessione incombente. Lo Stoccarda 2010/2011 comincia ad assomigliare pericolosamente all’Herta Berlino della passata stagione. Come è finita per la squadra della capitale è cosa nota. Gli svevi tremano.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 20 dicembre 2010

Rotterdam: incontro di civiltà

Nella città che ospita il porto più grande d’Europa, ed il quarto nel mondo, il multiculturalismo non è un concetto, ma una realtà. Negli ultimi quindici anni gli abitanti autoctoni sono diventati minoranza, passando dal 64.5% del 1995 al 49.5% di oggi. Rotterdam vanta abitanti appartenenti a 170 diverse nazionalità nonché il primo sindaco musulmano, l’ex giornalista Ahmed Aboutaleb, a capo di una grande città europea. Intrigante e controversa la politica di integrazione attuata dalla nuova amministrazione, che spinge le persone dotate di uno stipendio minimo a risiedere in determinati quartieri. La peculiarità risiede nel fatto che questi quartieri non si trovano esclusivamente nelle zone periferiche, ma sono spesso sono ubicati proprio nel centro cittadino, per evitare l’effetto ghetto. Kralingen, sito qualche centinaia di metri a est del nucleo centrale di Rotterdam, è uno dei suddetti. Sono originari di questa zona ad alto tasso di meltin’ pot giocatori quali Robin van Persie, Royston Drenthe e Mounir El Hamadoui, ma anche Soufiane Touzani, uno dei migliori freestylers al mondo. E’ cresciuto giocando lo straatvoetbal con tutti i calciatori sopraccitati, ma un problema alla schiena lo ha costretto ad abbandonare l’attività agonistica in età adolescenziale. Oggi è ambasciatore dello sport per la città di Rotterdam, scelto anche, viste le sue origini marocchine, in quanto simbolo di integrazione. Kralingen è però anche il quartiere dal quale proviene il piccolo Excelsior, la squadra delle “cartacce”, nome derivato dall’usanza di parte dei propri tifosi di girare per la città con i pulmini societari per ripulirla dai rifiuti cartacei. Club da zero tituli, il cui unico obiettivo è sempre stata la sopravvivenza. Non a caso furono tra i più fervidi sostenitori dell’introduzione del professionismo in Olanda, diventando una ventina di anni dopo anche la prima squadra a scendere in campo con uno sponsor (Akai) sulla maglia, contravvenendo ai divieti della Federcalcio oranje. Dovettero rimuoverlo subito, ma aprirono la strada alla definitiva liberalizzazione. L’Excelsior è diventato un satellite del Feyenoord a metà anni Novanta per salvarsi dalla bancarotta. Oggi la partnership è solamente ufficiosa, ma ogni anno diversi giocatori appartenenti al vivaio del principale club cittadino vengono “parcheggiati” al Woudestein. Nel 2010, con lo Sparta in Eerste Divisie e il Feyenoord sconfitto 3-2 nel derby, l’Excelsior può fregiarsi del titolo di miglior squadra di Rotterdam. Per i suoi tifosi è come aver vinto un campionato.

Zebre e operai
Muovendo verso ovest lungo gli oltre quaranta chilometri del porto si arriva a Schiedam, municipalità periferica nonché roccaforte operaia. Proprio da un gruppo di lavoratori ha visto la luce, nei primi anni del secolo scorso, l’SVV, squadra pressoché scomparsa dalle mappe calcistiche olandesi, ma che può vantare in bacheca ben due trofei nazionali, entrambi datati 1949. Il primo fu nientemeno che il campionato, ufficializzato il 4 giugno del citato anno con una vittoria per 3-1 sull’Heerenveen di Abe Lenstra ottenuta al De Kuip di fronte a 69.300 spettatori, un numero che il piccolo impianto dell’SVV non avrebbe mai potuto contenere. Guidato dal nazionale Jan van Schijndel, 17 presenze in arancione, lo Schiedam Voetbal Vereniging, promossa solamente un anno prima nella Eertse Klasse (all’epoca la Eredivisie, il campionato unico nazionale, non esisteva ancora) si toglieva anche la soddisfazione di vincere la prima edizione della supercoppa d’Olanda, battendo 2-0 il Quick Nijmegen, fresco detentore della coppa nazionale. L’introduzione del professionismo ha decretato la fine di questa piccola società, che ha tirato a campare fino agli anni Novanta (sulla sua panchina si è seduto anche un giovane Dick Advocaat) prima di fondersi con il Dordrecht, continuando a sopravvivere solamente a livello amatoriale. Un destino condiviso con lo Xerxes, società di una zona settentrionale di Rotterdam, l’Oude Noorden, famosa per la maglia a strisce orizzontali bianche e blu (da qui il soprannome di “Zebre”) ma soprattutto per aver prodotto alcuni tra i più grandi personaggi della Rotterdam calcistica: Wim van Hanegem, Coen Moulijn, Leo Beenhakker, Eddy Treijtel. E’ pressoché sconosciuto invece Philip Mokkenstorm, talento mancino dello Xerxes nonché punta di diamante di un’Olanda molto particolare. Ai tempi dell’occupazione nazista esistevano due nazionali olandesi; quella “ufficiale”, denominata Koninklijke K, espressione del governo collaborazionista, e una “ufficiosa”, composta da militari e rifugiati. Quest’ultima disputava le proprie partite in Inghilterra. L’11 ottobre 1941 a Wembley, sotto gli occhi dei reali olandesi e inglesi, l’Olanda sconfiggeva 5-4 il Belgio grazie ad una super prestazione di Mokkenstorm. Era un marinaio, e il giorno seguente venne imbarcato in qualità di addetto alle trasmissioni in alfabeto Morse su un bombardiere Mitchell diretto in Germania.
(3-fine)

Fonte: Calcio 2000

Rotterdam: derby di sangue

La Rotterdam calcistica è popolata da scarafaggi, puttane e tossici. Sono infatti questi i poco simpatici nomignoli con i quali le tifoserie avversarie chiamano rispettivamente i supporters di Feyenoord (kakkerlakken), Excelsior (hoeren, perché il club si è “prostituito” diventando un satellite del Feyenoord) e Sparta (junks, riferimento alle condizioni degradate del quartiere occidentale di Spangen, per anni pieno di tossicodipendenti). Tra Feyenoord e Sparta la rivalità è stata feroce fin dagli esordi, per ragioni di natura puramente sociale. I rozzi portuali dell’area sud contro la colta borghesia della zona occidentale, l’area che si spinge fino a quella Delfshaven miracolosamente scampata alla furia delle bombe naziste, e pertanto diventata una delle poche oasi (dove non manca nemmeno il classico mulino a vento) rimaste al riparo dall’ondata di urbanismo futuristico che ha ridisegnato la città. Feyenoord contro Sparta, si diceva. I primi derisi dai secondi, che li consideravano “lo scandalo delle società sportive olandesi” in quanto “nati e cresciuti tra una marmaglia di mezzi selvaggi”. Ovvero tra la gente delle fabbriche, dei cantieri, del porto. Il volkelftal, la squadra del popolo, non piaceva nemmeno a buona parte della stampa, almeno fino a quando, nel secondo dopoguerra, cominciò a vincere con buona regolarità. Ma il derby cittadino ha saputo raccontare anche belle storie. Una delle migliori è indubbiamente quella ambientata tra il 1931 e il 1938, quando a cadenza annuale si disputò la partita della trasfusione di sangue (bloedtransfusiewedstrijd). Tutto nacque dall’amicizia tra il presidente dello Sparta Jan Wolff e l’allora direttore dell’ospedale Sint Franciscus Gasthuis di Rotterdam Nord, i quali concordarono l’organizzazione di un incontro amichevole di beneficenza per aiutare la Croce Rossa a raccogliere fondi per le trasfusioni di sangue. Tra i vari club che si dichiararono disponibili per la partita, lo Sparta Rotterdam scelse proprio il suo peggior nemico, il Feyenoord. Quando i tempi sono cupi non c’è rivalità che tenga.

FutuRotterdam
Nel medesimo periodo è stato inaugurato anche lo Stadion Feijenoord, conosciuto in tutto il mondo con il nome di De Kuip (il catino). Il progetto, nato dall’esigenza della società di abbandonare il vecchio Kromme Zandweg a causa della propria capienza ridotta, si rivelò un autentico toccasana dal punto di vista sociale, dal momento che per la sua costruzione venne impiegata una manodopera composta in larga parte da persone disoccupate. Un esempio tangibile del rapporto di osmosi creatosi tra la città di Rotterdam e il Feyenoord. Oggi il De Kuip è lo stadio con il terzo manto erboso migliore del mondo, alle spalle solamente del Santiago Bernabeu di Madrid e dell’Emirates Stadium di Londra. Ma, come detto poco sopra, a Rotterdam si guarda sempre avanti, ed ecco già pronto il piano di lavoro relativo al Nieuwe Kuip, un nuovo impianto da 75mila posti ubicato a poche centinaia di metri dal “vecchio” stadio, destinato a diventare un museo e ad ospitare parcheggi, uffici e appartamenti. Se Belgio e Olanda otterranno l’affidamento dell’organizzazione del Mondiale 2018, la coppa del mondo rappresenterà l’ultimo atto ufficiale di quel tempio del calcio chiamato De Kuip. Il progetto del nuovo stadio rientra in un imponente piano di riqualificazione di tutta l’area portuale, che prevede la costruzione di un quartiere residenziale (la “Manhattan aan de Maas”) interamente sull’acqua, e il recupero di ulteriori 2mila ettari di terra dal mare da destinare al nuovo porto (progetto “FutureLand”) che verrà affiancato al primo, ormai saturo. Un gigantesco work-in-progress che testimonia ulteriormente il legame intrinseco che lega il Feyenoord, club fondato nel 1908 al cafè “De Keijser” da un gruppo di giovani manovali che amavano trascorrere il proprio tempo libero tirando calci ad un pallone nella piazza di fronte alla Wilhelminakerk, alla propria città.

La resa di Sparta
La prima partita di calcio trasmessa in televisione in Olanda fu disputata a Rotterdam. Era domenica 7 aprile 1959, Feyenoord-Ajax 0-5. Anche la prima Coppa Campioni, la prima Coppa Intercontinentale e la prima Coppa Uefa sbarcate nei Paesi Bassi presero la direzione della città portuale. In anticipo di un anno rispetto alla rivoluzione del Calcio Totale, importata nel mondo dalla squadra di una città che numerosi abitanti di Rotterdam chiamano 1000 (ovvero il proprio codice di avviamento postale, in modo tale da non essere costretti a pronunciarne il nome), il Feyenoord batteva a Milano il Celtic Glasgow nella finale dell’edizione 68/69 della coppa dalle grandi orecchie, laureandosi poi campione del mondo prevalendo sull’Estudiantes di Veron padre. Nel 1974 arrivava la Coppa Uefa, vinta ai danni del Tottenham Hotspur, un successo ripetuto nel 2002 contro il Borussia Dortmund, affrontato in finale proprio al De Kuip. Eppure i primi bagliori europei a Rotterdam erano stati introdotti dallo Sparta, la società professionistica più antica di tutta l’Olanda. Cinque anni dopo la sua fondazione, avvenuta nel 1888, lo Sparta era stato il primo club oranje a mettere i piedi al di fuori dei Paesi Bassi, per una trasferta in Inghilterra sul campo del FC Harwich & Parkeston. Una volta tornati a casa, i gentiluomini dell’Het Kasteel (il fascinoso impianto dello Sparta, il cui ingresso ricorda appunto la facciata di un castello) introdussero l’idea di mettere una rete tra i due pali della porta, in modo tale da recuperare immediatamente il pallone dopo ogni gol realizzato. Era un giocatore dello Sparta, Bok de Korver, l’uomo simbolo della nazionale olandese che nel 1913 sconfisse a Den Haag, per la prima volta, i maestri inglesi. Ed è stato sempre lo Sparta il primo club oranje a raggiungere i quarti di finale della Coppa Campioni, nell’edizione 59/60, quando i Rangers Glasgow dovettero ricorrere al terzo incontro per aver ragione della compagine della Rotterdam occidentale. Da quel momento le gerarchie cittadine si sono definitivamente invertite. Il declino dello Sparta ha raggiunto l’apice nel 2002, quando è arrivata la prima retrocessione della propria storia, con l’imberbe Frank Rijkaard in panchina e il crepuscolare Aaron Winter in campo. Lo scorso giugno il club è nuovamente affondato, in questo caso perdendo lo spareggio ai play-off contro la terza squadra di Rotterdam, l’Excelsior.

(2-continua)

Fonte: Calcio 2000

domenica 19 dicembre 2010

Città di calcio: Rotterdam



Rotterdam rappresenta l’altra Olanda. Quella in cui le tipiche costruzioni fiamminghe – rase al suolo dal terribile bombardamento della Luftwaffe del 14 maggio 1940 che ha sventrato la città - hanno lasciato posto ai grattacieli e ad una filosofia architettonica post-moderna. La vista panoramica a 360° che si gode dall’Euromast, magari comodamente seduti ad un tavolo della brasserie Panorama, ubicata nella parte centrale della torre a circa 100 metri d’altezza, è semplicemente mozzafiato.
Dalle due ali di vetro che si riflettono l’una nell’altra del palazzo della compagnia assicurativa Nazionale Nederlanden ai sostegni allungati del ponte Erasmus, fino al complesso edilizio di Overblaak con la sua torre dalla forma a matita, sotto la quale si trovano le famose case cubiche di Piet Blom. Rotterdam è, per dirla con le parole dell’architetto Femke Bijlsma, “un sorta di manifesto-design fatto di cemento, legno e vetro”. Non è certo la città ideale per il turista alla ricerca di spicchi del passato. A Rotterdam si guarda sempre avanti, sospinti dal motto “geen woorden maar daden” – fatti, non parole. Uno slogan che è stato fatto proprio dalla principale società calcistica cittadina, il Feyenoord. L’altra Olanda del pallone.
(1-continua)

Fonte: Calcio 2000

sabato 18 dicembre 2010

13 coaches in 13 years tells own story for Ajax

13 coaches in 13 years. Sitting on the bench at Ajax has been akin to being a dead man walking. Since Louis van Gaal left the Amsterdam giants in 1997, coach after coach have come, and then exited the club. Most recently, Martin Jol decided to call time on his spell at the Amsterdam ArenA; and so the cycle continues. Inside Futbol take a look back over the recent history of Ajax managers:

Morten Olsen – July 1997 to December 1998
Danish coach Olsen showed no fear in taking the job after Van Gaal’s exploits, and at once imposed a style of out and out attack at the Dutch side, which swiftly led to a league and cup double. The Amsterdam side won the Eredivisie by 17 points, with PSV Eindhoven trailing in second place; they even scored 112 goals, Shota Arveladze top scoring with 25. The following season however, Olsen encountered problems with the De Boer (Frank and Ronald) brothers, with the duo wanting to head to Barcelona, and the coach determined to keep them. Supporters grew restless and Olsen was sacked before Christmas.

Jan Wouters – December 1998 to March 2000
Wouters is widely remembered in Amsterdam as the coach who shamed the club’s centenary year. On 18th March, 2000, the club’s centenary celebrations ended in tragedy as FC Twente defeated Ajax in Amsterdam. The fomer Holland midfielder was undoubtedly a good tactician, but lacked the charisma needed to guide a turbulent Ajax side. He was immediately fired after the side’s defeat.

Hans Westerhof – March 2000 to June 2000
Two days after the centenary disaster, the then-young Ajax coach Westerhof was drafted in to replace Wouters. Ajax stumbled along with their deeply disappointing season and finished fifth. Attacking midfielder Richard Knopper ended as the team’s top scorer with 15 goals. His career went on to embody that season’s Ajax side: great expectations, disappointing results.

Co Adriaanse – July 2000 to November 2001
Adriaanse, who rules his sides with an iron fist, shocked the Ajax faithful by deploying a 5-4-1 formation in a Champions League meeting with Celtic. But this was not the only controversy in the coach’s reign. Adriaanse also denied Marco van Basten the opportunity to join his staff, proclaiming: “A good horse does not make a good rider”; he also spent his time in charge appearing to pick fights with the press and rival sides. On the pitch, however, Adriaanse could not recreate the stylish and attractive football he had produced when in charge of Willem II, having led that club to second place in the 1998/99 campaign and their first ever Champions League spot. After finishing third, Adriaanse was sacked the next season before Christmas. His successor went on to win the double.

Ronald Koeman – December 2001 to February 2005
The club’s most successful coach since Louis van Gaal, Koeman captured two titles and a Dutch cup. Ajax also went on, under the former international defender’s guidance, to excel in the Champions League, reaching the quarter final in 2002/03, and losing out only to a late Jon Dahl Tomasson goal for AC Milan. Under Koeman, Ajax produced a thrilling season, with Rafael van der Vaart (18 goals in 2002/03) and Zlatan Ibrahimovic (13 goals a year later). In his third year, the former Barcelona star, who had clashed on several occasions with technical director Louis van Gaal, saw the ex-boss bite the bullet, resigning mid-season. Koeman didn’t last much longer, being sacked in February 2005 after a UEFA Cup defeat to Auxerre.

Ruud Krol and Tonny Bruins Slot – 25th February 2005 to 16th March 2005
A caretaker duo, Koeman’s two former assistants could have led Ajax until the end of the season, but the club opted to make their reign a very short one.

Danny Blind – March 2005 to June 2006
Club icon Blind – the defender was captain of the golden Ajax side of the 1990s – started his reign with two consecutive defeats, against PSV Eindhoven and Heerenveen. However, Ajax finished second that season and the club’s board kept faith with Blind for the next campaign. In the 2005/06 campaign, Blind led Ajax to the Dutch Cup and the Supercup, reached the last eight in the Champions League – Inter were too strong – but could not do better than fourth place in the Eredivisie. A lack of consistency was the real reason Blind was shown the door.

Henk Ten Cate – July 2006 to October 2007
Frank Rijkaard’s former assistant at Barcelona – together they won the Champions League – Ten Cate won three cups (two Supercups and one Dutch Cup) in 12 months. However, the Dutchman was also the coach who led Ajax to two consecutive early Champions League exits, dropping out in the preliminary round – in 2007 to FC Copenhagen and 2008 to Slavia Prague. In his first season at Ajax, Ten Cate only lost out on the title to PSV Eindhoven by virtue of goal difference. The coach played a vital role in the development of Wesley Sneijder, however when he left on 8th October 2008 to join Chelsea, there were no regrets from most Ajax fans.

Adrie Koster – October 2007 to June 2008
The goal-machine Klaas-Jan Huntelaar (33 goals in 2007/08’s Eredivisie) was not enough to help Koster bring the title back to Amsterdam. Ajax ended three points behind PSV Eindhoven, then lost their Champions League playoff to Twente to compound the misery. Defender John Heitinga being awarded best Eredivisie player of the season was the only consolation for the Amsterdam club.

Marco van Basten – June 2008 to May 2009
Van Basten’s spell at Ajax was marked with the constant chopping and changing of tactical systems and players’ positions right across the pitch – midfielder Siem de Jong saw himself played up front, while forward Miralem Sulejmani was handed the role of playmaker. Ajax were in a state of deep and (dis)organised chaos while their coach became more restless week by week. The former Holland striker resigned just one week before the end of the Eredivisie season following a humiliating 4-0 defeat to Sparta Rotterdam.

John van’t Schip – May 2009
Van Basten’s former assistant, Van’t Schip led Ajax for just a single match, the last of the 2008/09 season. The Amsterdam club beat Twente 1-0 and finished third, behind AZ and the Enschede side.

Martin Jol – June 2009 to December 2010
Under Jol, Ajax played the best football seen by their fans in years. With an impressive second half of the 2009/10 campaign, the Dutch giants remained in the title race right until the final match (Twente won the trophy by a single point). Jol’s side scored more than 100 goals – 106 to be precise – of which 35 were netted by Luis Suarez. The Amsterdam ArenA outfit also lifted the Dutch Cup. This season however, Ajax’s performances were disappointing, especially against side’s expected to fall to their might; clubs like Excelsior, Utrecht and ADO Den Haag all troubled Jol’s men – Utrecht and ADO Den Haag both won at the ArenA. The former Tottenham Hotspur manager’s position was further weakened by criticism from Johan Cruyff, who commented on what he saw as the side’s poor menality, especially in the Champions League. A home draw against NEC was the final straw for Jol and he resigned after the game.

Frank de Boer – December 2010 to present
A former Ajax youth team coach and current Holland boss Bert van Marwijk’s assistant, De Boer was appointed as caretaker coach until January. Already however, influential voices are calling for the former Ajax and Barcelona star to stay in post longer. After a -meaningless – win over AC Milan at the San Siro (Milan had already qualified for the knockout phase along with Real Madrid), De Boer marked his league debut with victory in Arnhem against Vitesse.

Fonte: Inside Futbol

venerdì 17 dicembre 2010

Il colore Lille

In un recente post dedicato alla Ligue 1 pubblicato su questo blog è stato rilevato come il campionato francese sia uno dei tornei meno spettacolari d’Europa a causa della bassa media-gol fatta registrare dagli incontri di campionato. Ad ogni regola esiste però un’eccezione, che nel caso della Ligue 1 proviene dall’estremo nord dell’Esagono, ovvero da Lille.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

Kraft non è una sottiletta

Se Manuel Neuer firma per il Bayern Monaco, me ne vado”. Deciso e per niente timido, il 22enne Thomas Kraft non ha avuto paura a lanciare il proprio ultimatum. Con una carriera ancora tutta da costruire, l’estremo dei bavaresi ha dimostrato di avere le idee chiare. Ma, cosa ancora più importante, alle parole è finora stato capace di far seguire i fatti.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi)

Ambitious FC Sion president Christian Constantin divides Swiss opinion

It has been said that FC Sion owner Christian Constantin is the president every coach would hope not to work for. Since the architect from Martigny – a French speaking city in the canton of Valais in Switzerland – bought the club in 2003, he has quickly become the most outspoken president in Swiss football. Constantin is never afraid to speak his mind about his side’s performance or criticise managerial decisions. And the sacking of managers has happened with alarming regularity on his watch, with Sion having gone through 22 coaches during his reign.

Constantin’s self-belief is even bigger than his ambition to make Sion a Swiss giant. Twice the president has appointed himself as the club’s coach after sacking his manager. In October 2008, Constantin dispensed with the services of German coach Uli Stielike and stood in himself as boss. “I let him do his job for 150 days”, said Constantin, “but I [didn't] see any result. Sion have 3,000 supporters, less than in the previous season. It was necessary to cut in, and that’s what I did. Stielike refused to collaborate, so I had no choice.” However, in April 2009, Sion’s president repeated the trick, sitting on the bench once again for a whole month.

On 28th May, 2010, former FC Zurich coach Bernard Challandes – who won the Swiss Super League title in 2009 – signed on at Sion. The situation Challandes inherited was not an easy one, due to the club operating under a transfer ban imposed for having signed Egyptian international Essam El-Hadary. The goalkeeper was under contract with his former club Al-Ahly, and the Egyptian giants had not released the player for negotiations at the Stade Tourbillon. However, the ban was temporarily lifted just before the 2010/11 campaign got under way, due to Sion’s ongoing appeal.

It was not the first time Constantin’s lawyers have pulled his chestnuts out of the fire. In 2003, Sion were denied their professional license due to financial problems. Constantin, Sion’s new owner at the time, having taken over from president Gilbert Kadji during the summer, refused to play in the Prima Lega – the Swiss third division – and attacked the National League. In October of the same year, a canton judge reinstated the club, ruling that they should play in the Challenge League, Switzerland’s second tier. The Challenge League was already over three months old at the time, therefore Sion had to make up a backlog of matches by playing twice a week.

Back in the present day, and after the El-Hadary saga, Sion swooped to sign former Ajax right back George Ogararu, Dutch centre back Michael Dingsdag (from Heerenveen) and defensive midfielder Rodrigo Lacerda (from Strasbourg). The Sion supremo then revealed his targets for the forthcoming season. “My expectations?” said Constantin. “I think Sion can at least challenge for the European places.”

Since the start of the campaign Sion have struggled for consistency though, despite a good start.”Will Challandes be Constantin’s umpteenth sacrificial lamb?” wondered French language newspaper 24 Heures after the president had declared: “If I had to currently sack the people I am not satisfied about, I’d be alone.” At the time of writing however, Challandes is still in the hottest of hot seats. And this despite a very public humiliation the 59-year-old suffered in Round 8 of the Swiss Cup

Towards the end of November, Sion faced Challenge League outfit Lugano at the Cornaredo Stadium. Ogararu put his side ahead after a few minutes, but a late goal from Lugano striker Afonso took the tie into extra time. Before the first period of extra time could get under way however, an angry Constantin stepped onto the pitch, told Challandes to keep quiet, and began to give instructions to the players. Sion won the match 3-2. A deeply embarrassed Challandes sought to play down the incident post-match, stating: “Everybody knows the president. He has charisma and he always tries to motivate the team. I admit this is not the ideal situation for a coach to work in. However, we have to accept it.”

Under Constantin – a former goalkeeper, the president was Switzerland coach Ottmar Hitzfeld’s team-mate at Lugano in the 1979/80 season – Sion have won the Swiss Cup twice. In 2006, through defeating Young Boys on penalties in the final, and by so doing becoming the first team from the country’s second tier to lift the trophy, Sion stood triumphant. Stade Tourbillon academy product Gelson Fernandes, who was sold to Manchester City a year later for €6M – the highest amount received by the Swiss club – was a key player in the victory.

In 2009, Sion won the Swiss Cup for the second time in Constantin’s reign, again beating Young Boys. The victory continued Sion’s impressive record of winning every Swiss Cup final they have contested – the club have won 11 in total. At the time Sion’s coach was Didier Tholot, who had managed the Canton Valais side for 13 months – almost a record for a Sion coach.

The Swiss press have often been harsh in their judgements of Constantin, dubbing the Sion president, amongst other things, “self-centred”, “red-blooded”, “disrespectful”, “volcanic” and “arrogant”. Sion’s players though have a somewhat different opinion of the man who saved their club from the abyss and is passionate about it succeeding.

“He put a lot of money into the club”, said Sion striker Saidu Adeshina, “and he wants to see some results. Many players have good relationships with him. Me too. I think he only needs to understand that in football it is impossible to always win. We must also consider that there are opponents [who also want to win].” A simple idea indeed, and one that still needs to be appreciated at the Stade Tourbillon.

Fonte: Inside Futbol

giovedì 16 dicembre 2010

Preview Juventus-Manchester City: intervista a Vincent Kompany

100 milioni di sterline investite solamente nel 2010. Come gestite la pressione del dover vincere ad ogni costo?
Da professionisti, lavorando ogni giorno e prestando poca attenzione a quello che si dice su di noi. In pochi anni il Manchester City è passato dal Championship all’elite della Premier League. Prima non ci considerava nessuno, oggi tutto vogliono batterci. Dobbiamo abituarci alla nostra nuova dimensione.

Gli scontri Tevez-Mancini, le intemperanze di Balotelli. Il City non fa notizia solamente per i risultati sul campo.
I giornali credono che noi leggiamo tutto ciò che scrivono, ma non è così. Le critiche fanno parte del gioco, ma noi andiamo avanti per la nostra strada.

Balotelli in Italia non gode di una buona stampa.
Mario è un giocatore importante, ed ha avuto un impatto immediato nel Manchester City segnando al debutto in Europa League. So che è partito dall’Italia lasciandosi alle spalle una scia di polemiche, ma qui la mentalità è diversa. In Inghilterra tutto ruota attorno al calcio. Finisci sui giornali per qualche vicenda extra-calcistica? Ok, se ne parla, ma non ci si sofferma per settimane su quello. Alla fine vieni giudicato solo per quello che fai in campo, e sarà così anche per lui.

Cosa è cambiato a Manchester con l’arrivo di Mancini?
Organizzazione e cura della fase difensiva, che sono i due punti cardine della sua filosofia. Lui dice sempre che una buona squadra si costruisce dalle retrovie, e i risultati gli stanno dando ragione. Siamo la miglior difesa della Premier. Tatticamente poi Mancini è un autentico maestro.

E nella gestione dello spogliatoio?
Come dicevo prima, siamo professionisti. Le incomprensioni ci sono anche nelle piccole squadre. Ciò che conta sono i risultati. Un giocatore come Tevez sarà sempre ricordato per i gol, non per le dichiarazioni.

Quanto conta per voi l’Europa League?
Molto. E’ un trofeo, non ne vinciamo uno dal 1976 (la Coppa di Lega, nda). Non possiamo permetterci di snobbare alcuna competizione. Ogni partita a livello internazionale regala esperienza, fondamentale per un gruppo come il nostro che lavora per aprire un ciclo. La Juventus? A Manchester ha strappato un pareggio molto generoso.

Una parola sullo sceicco Mansour.
E’ un proprietario che non aggiunge ulteriore pressione a quella già esistente. Non entra nelle questioni tecniche, mantiene sempre un basso profilo e rispetta molto i ruoli e le persone. Il Manchester City è la sua squadra, non il suo giocattolo.

Fonte: Il Giornale

mercoledì 15 dicembre 2010

Pillole di Eredivisie - giornata 18

Non si può che iniziare citando Oussama Assaidi, ala sinistra dell’Heerenveen che all’Abe Lenstra ha demolito 6-2 i campioni in carica del Twente. Per inquadrare la partita del classe 88 di passaporto olandese, ma di origini marocchine, bastano i numeri: tre reti, due assist e un rigore procurato. Insomma, in tutte e sei le marcature dei Frisoni c’è stata la sua firma. D’accordo che di fronte aveva un cero Rosales, terzino finora messosi in evidenza per la fragilità difensiva (in Champions League è stato asfaltato da Bale a White Heart Lane e se l’è vista brutta anche a San Siro contro Javier Zanetti), però la prestazione di Assaidi resta da dieci in pagella. E l’Heerenveen è tornato a divertire come ai bei tempi.

All’Euroborg di Groningen non si passa. Solamente l’Ajax nella stagione in corso è riuscito a strappare un punto sul campo dei bianco-verdi di Pieter Huistra. Contro l’Az il Groningen ha centrato la sua vittoria numero nove su dieci incontri casalinghi disputati. A far rispettare la legge del Groene Hel (l’inferno verde) una coppia di soliti noti: la punta slovena Tim Matavz – doppietta – e il play-maker Dusan Tadic, un finto esterno sinistro che in realtà si muove a tutto campo. Il Groningen sta sfruttando al massimo questa Eredivisie del freno a mano tirato: -2 dalla capolista Psv Eindhoven (che ha dieci punti in meno dell’anno scorso), -1 dal Twente (undici punti in meno), +1 sull’Ajax (quattro punti in meno).

La scarsa personalità al di fuori delle mura amiche ha tarpato le ali alle ambizioni dell’Utrecht. A Breda è arrivata l’ennesima sconfitta, che ha visto come protagonista in negativo per l’ennesima volta il centrale Alje Schut. Per lui è arrivata l’autorete stagionale numero quattro, dopo quelle contro Feyenoord, Heracles Almelo e, in Europa League, contro la Steaua Bucarest. Lo sfortunato difensore, prossimo al trasferimento all’estero dopo una carriera costellata da infortuni spesa tutta all’ombra del Duomo di Utrecht, ha eguagliato il primato di autogol in un campionato detenuto da Daan Schrijvers (Psv Eindhoven 1968/69) e Thomas Bælum (Willem II 2007/08).

Footballstories.net

martedì 14 dicembre 2010

Numeri da Champions

In attesa del sorteggio degli ottavi di finale, è tempo di bilanci per la fase a gironi della Champions League 2010/11. Una delle più produttive di sempre in termini di reti segnate: 277 in 96 partite, per una media di 2,89 a incontro. Solamente l’edizione 2000/01 aveva fatto registrare numeri più elevati, con 292 gol in 96 partite (media 2,89).
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

venerdì 10 dicembre 2010

Belgian giants Club Brugge slipping further behind

An alarm is sounding at Belgian giants Club Brugge. Dressing room bust-ups, supporters in a state of revolt, suspensions aplenty through a real lack of discipline and a disappointing mid-table spot, 13 points from the top of the league table at the time of writing. These are worrying times for one of Belgium’s biggest clubs.

Since 2006, the Flemish side have been on the slide, and the current campaign is acting as the nadir of their fall. Last Sunday, against St. Truiden, Club Brugge suffered their seventh loss in 17 Jupiler Pro League games. Just one week before, they had been subjected to the ignominy of losing to local rivals Cercle Brugge, a club whose budget is less than half their more illustrious rivals. Coached by Dutchman Adrie Koster, Club Brugge find themselves eighth, two spots from the end of season playoff zone. The Belgians have also bid farewell to the Europa League, managing not a single win from their five group games so far.

American author Mark Twain once said that “there are three kinds of lies: lies, damned lies and statistics”. Unfortunately, this is far from the truth for Club Brugge coach Koster – numbers do not lie about the Dutchman. Since Norwegian coach Trond Sollied left the Jan Breydel Stadium in 2005, Koster has been the club’s worst performing boss. Since the start of 2010, Koster’s side have lost 13 league games out of 36 played, conceding 49 goals in the process. Results like these put the 13 time Belgian league champions closer to mid-table clubs like Kortrijk and local rivals Cercle Brugge than title challengers and traditional foes Anderlecht – the Brussels club only lost three times last season. Koster’s percentage of defeats stands higher than all his predecessors since 2005: Jan Ceulemans, Emilio Ferrera and Jacky Mathijsen – caretaker coach Cedomir Janevski is not included in the statistics, despite winning the Belgian Cup in his 20 games in charge, the only silverware won by the blauw-zwart in the past five years.

Koster however, is the president Pol Jonckheere’s – an architect who became Club Brugge’s owner in 2009 – own man. Jonckheere is steeped in blauw-zwart history, having worked with the side since 1986, when he acted as the club’s consultant during transfer talks with AC Milan over the sale of striker Jean Pierre-Papin. The ambitious Jonckheere, who has increased Club Brugge’s budget to €22M, explained he chose Koster as head coach “because it’s a fact that the history of our club has been made by foreign coaches. Think about Henk Houwaart, Georg Kessler, Ernst Happel and Trond Sollied.”

Last season though, after a good start, Koster’s men slowly lost contact with the top of the table. While the Belgian side entered the end of season playoff for the title by virtue of finishing second – the tournament containing the top six league finishers – they were a sizeable 12 points behind Anderlecht; during the playoffs, Koster saw his men end up third, losing out to Michel Preud’Homme’s Gent for a Champions League preliminary round spot.

Tactically speaking, Koster has at least proven himself to be a flexible coach, switching between a 4-3-3 system to a 4-4-2 and often even deploying a 4-2-3-1. However, for all his tactical nous, the feeling thus far is that the Dutchman has been unable to manage the high expectations both inside and outside the club.

Koster has been accused of being too “nice” to his team and failing to enforce sufficient discipline on a squad full of young and talented players who have often hit the headlines for all the wrong reasons. Several Club Brugge stars have exhibited a poor mentality and a lack of self-discipline. Midfielder Nabil Dirar often shows up late for training – and has been sent to train with the youth team; 21-year-old Croat Ivan Perisic was caught in a disco the night before a match; Defender Ryan Donk and other players were seen in a casino playing until dawn; and Cameroonian striker Dorge Kouemaha launched a critical attack on coach Koster in a national newspaper – De Standaard. All were fined.

These tensions within the side often explode on the pitch with a somewhat violent approach to the game. In 17 Jupiler Pro League matches, referees have handed Club Brugge’s players no less than 35 yellow cards and six red cards. Defensive midfielders Jonathan Blondel and Vadis Ojidja-Ofoe – a talented 21-year-old graduate of Anderlecht’s youth academy – are the most culpable.

“Young players must always be handled with care”, said 39-year-old goalkeeper Geert De Vlieger, one of the few veterans in the team. “They have talent, but they miss continuity, a key element to create a competitive team. We must work towards it. Our youngsters must understand that in every game they have to produce a 6 out of 10 and not an 8 out of 10 one week and a 4 out of 10 the next.”

One of the few bright spots in Club Brugge’s season so far is Venezuelan forward Ronald Vargas, the side’s current top scorer with 12 goals to his name. Vargas, a futsal player until the age of 14, arrived at Brugge in 2008 from FC Caracas, and after a disappointing first season finding his feet in the Belgian game has truly shown his value this year.

Last season Vargas still managed to end the campaign as the blauw-zwart’s top assist provider, and this year has displayed remarkable versatility, playing as a central striker or second forward, even roaming across the frontline, and continuing to produce the goods. The forward’s contract expires in 2012 and the signs are that Vargas will soon fly the Belgian league nest. However, in the meantime, Koster and Club Brugge would be well advised to build around the 24-year-old and hope he can help push their blauw-zwart train back on the tracks.

Fonte: Inside Futbol

giovedì 9 dicembre 2010

Pillole di Eredivisie - giornata 17

Record negativo in campionato di spettatori per l’Ajax da quando gioca all’Amsterdam ArenA. Solamente 22mila i tifosi accorsi ad assistere all’imbarazzante 1-1 casalingo contro il Nec Nijmegen, ennesimo passo falso casalingo degli ajacidi dopo le sconfitte contro Utrecht e Ado Den Haag. Jol ha provato a sorprendere gli avversari con un inedito 4-4-2, rivelatosi però improduttivo. E poco dopo sono arrivate le dimissioni del tecnico, che chiude la sua esperienza ad Amsterdam con 52 vittorie, 16pareggi e 12 sconfitte (5 delle quali in Europa), 220 gol fatti e 69 subiti. Lo sostituirà ad interim Frank de Boer, in attesa di conoscere il nome del suo successore. Addio triste dopo una partita ancora più triste. In precedenza il record negativo di presenze per l’Ajax era stato riscontrato il 21 aprile 1999, 24400 spettatori, curiosamente proprio per un incontro con il Nec. E’ la terza volta in assoluto – dopo le partite citate ed il match contro il De Graafschap il 12 novembre 2000 - che all’Arena arrivano a vedere l’Ajax meno di 30mila spettatori.

Tornava titolare dopo due anni e due gravi infortuni al ginocchio, il centrocampista svedese del Groningen Petter Andersson. E lo ha fatto alla grande, con una prestazione di grande intensità impreziosita da un destro a giro dal limite dell’area infilatosi sotto l’incrocio dei pali. Tutto facile per il Groningen, terza forza del campionato, in casa contro il Vitesse: 4-1, e prima sconfitta per il tecnico dei giallo-neri Albert Ferrer. Trequartista centrale in un 4-2-3-1, Andersson è uscito tra gli applausi dell’Euroborg. Non il migliore in campo – la palma spetta al brillante esterno sinistro Dusan Tadic – ma un giocatore pienamente recuperato che può rappresentare un valore aggiunto per la squadra di Pieter Huistra. 33 punti al termine del girone di andata. Mai successo a Groningen.

Theo Janssen non rinuncia mai alla sua mezza dozzina di sigarette quotidiane. Il fumo può appesantire la propria corsa – ma non sembra sia così, almeno per ora, certamente però non può incidere su quel magico sinistro. Che è tornato a colpire contro il De Graafschap; doppietta su punizione, e Twente rimasto ancorato in vetta a pari punti con il Psv Eindhoven. I complimenti ricevuti dall’Inter, Sneijder in primis, e l’apprezzamento del manager del Wolfsburg Dieter Hoeneß non lo hanno distratto. Farà le valigie già in inverno? Geen idee, si dice in Olanda. “La Bundesliga è bella”, ha commentato Janssen, “così come l’Italia e l’Inghilterra. E come mia moglie”.

Footballstories.net

mercoledì 8 dicembre 2010

Preview Mondiale per club

Il nuovo Eto’o, il secondo di Pandev, le origini di Lucio, un’altra Inter. L’edizione numero 7 del Mondiale per club è piena di rimandi alla compagine nerazzurra. Partendo proprio dall’avversaria più accreditata, che in comune con i meneghini ha addirittura il nome, Internacional. Arrivano da Porto Alegre, hanno già vinto il trofeo nel 2006 (1-0 al Barcellona) e, contrariamente al luogo comune Brasile uguale spettacolo, al fioretto uniscono la clava. Nel primo caso grazie al trequartista Juliano, leader della Seleçao under 20 vice-campione del mondo 2009, senza dimenticare Andres D’Alessandro, flop ovunque in Europa ma rinato in Sudamerica; nel secondo con Pablo Guinazu, solido mediano (una toccata e fuga anni fa nel Perugia) capace di rinverdire la tradizione dei vari Dunga e Branco. Nel 1997 partì dall’Internacional la carriera di Lucio; oggi con la stessa maglia si sta concludendo quella di un altro interista, la meteora Sorondo.

Tresor Mputu era stato etichettato quale nuovo Eto’o da Claude Le Roy, l’allenatore che aveva convocato l’allora 17enne Samuel nel Camerun per il Mondiale del ’98. Mputu però non ha mai lasciato l’Africa, a dispetto dei numerosi trofei, individuali e di squadra, raccolti. Si affidano a lui i congolesi del TP Mazembe, bi-campioni d’Africa in carica, per cercare la sorpresa. E’ invece un difensore, il gigantesco australiano di origini macedoni Sasa Ognenovski, la stella dei sudcoreani del Seongnam Ilhwa Chunma. Annata magica il suo 2010: miglior giocatore della Champions asiatica, pallone d’oro d’Asia, debutto in nazionale a 31 anni. Nel 2009 era stato eletto secondo miglior giocatore macedone alle spalle di Pandev.

Quarti nel 2008, i messicani del Pachuca provano a migliorarsi spinti dalle reti dell’ex Ajax Dario Cvitanich, sperando che il 39enne colombiano Miguel Calero mantenga l’affidabilità tra i pali mostrata nelle ultime stagioni. Apriranno il Mondiale due club decisamente esotici: i padroni di casa del Al Whada, campioni in carica degli Emirati Arabi Uniti, ed i semi-professionisti del Hekari United, primo club della Papua Nuova Guinea a partecipare ad un torneo ufficiale FIFA. Tra le proprie fila debutterà il figiano Osea Vakatalesau, capocannoniere assoluto delle qualificazioni a Sudafrica 2010. Una vetrina importante per tentare di trasformare la propria passione per il pallone in un’attività a tempo pieno.

Fonte: Il GIornale

martedì 7 dicembre 2010

Il nuovo Schmeichel? Anche no...

Troppo facile. Leggi che il Manchester United ha scelto come successore di Edwin van der Sar un portiere danese e subito il pensiero corre al grandissimo Peter Schmeichel. E così Anders Lindegaard, 26enne estremo difensore di 1.93 m, è già stato soprannominato il nuovo Schmeichel. Davvero scontato, persino retorico.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

domenica 5 dicembre 2010

Footballstories

Post auto-promozionale di un progetto al quale Radio Olanda collaborerà in prima persona.

Footballstories, un webgiornale dedicato esclusivamente al calcio estero. Il perchè di questa scelta è estremamente semplice: il calcio italiano non è più attendibile. Non sono più credibili i personaggi che lo rappresentano, i presidenti, gli allenatori e anche certi calciatori. Non è più credibile la giustizia sportiva, lentissima e spesso distratta in tempi normali ma incredibilmente rapida nell'estate del 2006. Non è più credibile un sistema alimentato unicamente dai diritti tv, con impianti vecchi e quasi sempre vuoti. Non è credibile che i clubs non abbiano lo stadio di proprietà. E non parliamo poi del triste spettacolo offerto dalle squadre italiane. Della carenza di fuoriclasse. Della mancata valorizzazione dei giovani talenti. Della costante perdita di competitività a livello internazionale. Intendiamoci: non è che i campionati esteri siano isole felici. Ma in Inghilterra, Spagna, Germania, Francia, Olanda e molti altri Paesi europei le regole del gioco vengono fatte rispettare. Dirigenti e presidenti non sono eterni. Tutti i clubs hanno il loro stadio, piccolo o grande che sia. Le squadre, chi più chi meno, hanno un certo gusto del gioco. E i giovani hanno grande spazio e visibilità.

Questa è la premessa con cui nasce Footballstories, decisione probabilmente coraggiosa in un Paese composto più da tifosi che da sportivi. Il luogo adatto per disintoccarsi dai veleni del calcio italiano. Il sito che state navigando in questo momento è solo il primo passo di un progetto a largo respiro. A fine Gennaio nascerà il nostro mensile in pdf. Un giornale che punta sulla qualità, sulla competenza e sulla trasparenza. Il numero 0, ovvero la presentazione, sarà visibile a tutti. Dal numero 1 in poi, per visualizzare il mensile, bisognerà abbonarsi.

In pratica Footballstories avrà due volti ben distinti. Il sito - completamente gratis - punterà tutto sulla freschezza dei contenuti e sull'attualità. Il giornale sarà il territorio adatto per approfondimenti e schede di squadre e giocatori. L'ultimo passo - sempre che le cose vadano nel verso giusto - sarà far diventare Footballstories un prodotto cartaceo. Senza transitare dalle edicole, ma spedendo il giornale agli abbonati. Nel prossimo futuro abbiamo intenzione di allestire anche una webradio.

Autore: Renato La Monica

Link: Footballstories.net

sabato 4 dicembre 2010

2010 Norwegian Tippeliga’s Top Performers

As (most) of the rest of Europe continues to enjoy their respective domestic seasons, Norway has bid farewell to another campaign. The 2010 season saw Rosenborg crowned Tippeliga champions for the 23rd time, sensationally setting a new record by becoming the first side to win the league without losing a single game. The Troillongan (Troll Kids), may have experienced a decline between 2005 and 2008, but they are back with a bang and dominating Norwegian football once again.
However, the Tippeliga doesn’t just mean Rosenborg. Here are the 12 most impressive performers of 2010’s Norwegian league season:

Anthony Annan (Rosenborg) – 24 years old – Defensive midfielder
Since 2008, Annan has got into the winning groove in the Tippeliga, first with Stabæk and now twice with Rosenborg. The Ghana international is a tough midfielder who possesses great vision and tactical awareness. He won’t quickly forget the 2010 campaign, having reached the quarter-finals of the World Cup with Ghana, then lifting the title with Rosenborg and being voted the Player of the Tournament too. Annan is often compared with Chelsea midfielder Michael Essien, although he must still improve his scoring touch, with no goals to his name from four Tippeliga seasons.

Best 2010 Tippeliga performance: 5th May, Rosenborg 2-0 Stabæk

Vadim Demidov (Rosenborg) – 24 years old – Centre back
The son of a former Soviet Union international handball player, Demidov played a key role this season at the heart of a Rosenborg defence which, with just 24 goals conceded in 30 games, was the Tippeliga’s best. The Riga-born player joined the Norwegian giants in 2008 from Hønefoss, originally as a midfielder, but at Rosenborg has been transformed into a ball-playing centre back. Demidov will soon follow his former team-mate Kris Stadsgaard to La Liga however, having recently penned a three-year deal with Real Sociedad.

Best 2010 Tippeliga performance: 26th September, Strømsgodset 1-1 Rosenborg

Serigne Modou Kara (Tromsø) – 21 years old – Defensive midfielder
Kara began his career at the Dimars Football Academy in Saly, Senegal – a youth academy established in 2003 by French duo Patrick Vieira and Bernard Lama. The midfielder joined Tromsø – Europe’s northernmost professional club – last February, forming a strong partnership with local talent Ruben Yttegard Jenssen in the centre of midfield. Since his very first games for the side, Kara, who can also play at the back, has impressed with his sharp marking and tough tackling skills, playing a key role in Tromsø’s third place finish. The Senegalese scored his first goal in Norwegian football on his cup debut against Sortland.

Best 2010 Tippeliga performance: 2nd May, Tromsø 0-0 Rosenborg

Anders Lindegaard (Aalesund) – 26 years old – Goalkeeper
In 2009, Danish international Lindegaard played a vital role in helping Aalesund to win their first ever trophy – the Norwegian Cup. At that time, the talented keeper was on loan from Danish club Odense, where he had failed to make the breakthrough to become the side’s regular keeper. The 26-year-old therefore took the plunge and moved to Aalesund permanently at the end of 2009. Just one year later the keeper has helped the club to a top four finish and is widely considered the Tippeliga’s best number 1. As a result Lindegaard looks to be on his way to Manchester United, with the Premier League side’s goalkeeping coach Eric Steele often seen around the Color Line Stadium before their interest was put on a more formal footing.

Best 2010 Tippeliga performance: 14th March, Aalesund 3-0 Lillestrøm

Harmeet Singh (Valerenga) – 20 years old - Midfielder
One of the most exciting up and coming talents in Norwegian football, Singh enjoyed a superb 2010 campaign playing as a defensive midfielder in Valerenga’s 4-2-3-1 system. The Norway Under-21 international is a top class passer of the ball, and notched 11 assists, the best performance of this season’s Tippeliga. Singh is rightly considered one of the club’s key players, alongside striker “Moa”, centre back Andre Muri and midfielder Kristofer Hæstad. The player’s roots lie in Punjab, the region straddling the border between India and Pakistan.

Best 2010 Tippeliga performance: 17th July, Valerenga 5-2 Kongsvinger

Baye Djibi Fall (Molde) – 25 years old – Striker
Fall is a powerful forward who already enjoys a fine reputation in Scandinavian football. In 2009, the striker was voted the best player in the Danish Superliga when turning out for Odense, while previously he had impressed with Randers. After a poor spell with Lokomotiv Moscow, Fall joined Molde at the beginning of 2010 as a replacement for Manchester United-bound Mame Biram Diouf. Back in a Nordic league, Fall has once again become a scoring machine, hitting the back of the net 16 times this season to be crowned the Tippeliga’s top scorer. The Senegalese was Molde’s only bright spot of the season.

Best 2010 Tippeliga performance: 3rd October, Molde 2-0 Kongsvinger

Mohammed “Moa” Abdellaoue (Valerenga) – 25 years old – Striker
Despite playing just 20 games in the Tippeliga, “Moa” certainly had a positive impact on Valerenga’s season. The Norwegian striker or Moroccan decent scored 15 goals and grabbed five assists in a season which saw his club take second place. In August the striker joined Bundesliga side Hannover, and just two weeks later scored his first goal for Norway against Iceland in Euro 2012 qualifying. Back in 2008, “Moa” also helped Valerenga to the Norwegian Cup – their last trophy – scoring six goals, including a brace in the final where he memorably hit the target from his own half.

Best 2010 Tippeliga performance: 2nd August, Valerenga 8-1 Start

Eric Huseklepp (Brann) – 26 years old – Winger/forward
Until 2008, Huseklepp was considered a typically inconsistent talented player – in 2005 he scored on his debut after just 19 seconds – unable to show his true colours game after game. The winger looked set to continue to see his performances rise and dip; then Steinar Nielsen was appointed as the new coach of the Bergen side and switched Huseklepp from the flank to play as a central striker. The 26-year-old responded to the move in style, recording his best ever season with 15 goals and 13 assists. Six months later however, Nielsen resigned after one of Brann’s worst ever league starts; the club ended up in a disappointing 10th place. With 10 goals and 10 assists amidst the chaos though, Huseklepp career has definitely turned round. Now the Norwegian is ready to move on to bigger things.

Best 2010 Tippeliga performance: 25th July, Sandefjord 1-4 Brann

Markus Henriksen (Rosenborg) – 18 years old – Midfielder
Markus Henriksen, the son of Rosenborg assistant manager and former Norway international Trond Henriksen, has impressed since making his debut under his father’s watchful eye. With a positive personality and pacey runs down the right flank, Henriksen got his chance this season, becoming a regular in the starting eleven and ending the campaign with seven goals and two assists. The midfielder also hit the target three times in the Europa League, and last October made his senior Norway debut.

Best 2010 Tippeliga performance: 19th September, Brann 2-3 Rosenborg

Veigar Pall Gunnarsson (Stabæk) - 32 years old – Forward
The veteran Icelandic striker returned to Stabæk at the end of 2009 after a disappointing time in France with Nancy. Gunnarsson’s Tippeliga return however, has been a resounding success, with 10 goals and 10 assists showing he has settled straight back in. In truth, this came as little surprise, as Stabæk has always been the striker’s “footballing home”. Gunnarsson won the Adeccoligaen (Norway’s second division) in 2005 and then finished second in the Tippeliga scoring charts the next season, just behind team-mate Daniel Nannskog; the Iceland star also recorded the most assists with 17 in 2007. Just one year later, Gunnarsson produced perhaps his best season in a Stabæk shirt as the club won the league – he bagged 10 goals and provided 14 assists.

Best 2010 Tippeliga performance: 5th July, Stabæk 4-3 Molde

Jo Inge Berget (Strømsgodset) – 20 years old – Forward
Berget attracted the attention of a whole army of scouts and fans after some sensational performances with Lyn’s youth team, which won the title in 2006. Sure enough, a big move came, and the forward joined Italian side Udinese with team-mate Odion Jude Ighalo. However, Berget has continued to learn his trade in the Tippeliga, on loan with Lyn in 2009 and this year with Strømsgodset. Despite missing almost half the season due to injury, Berget helped little Strømsgodset finish the campaign comfortably in mid-table, chipping in with six goals and four assists in 18 games, of which he started just 13.

Best 2010 Tippeliga performance: 7th November, Strømsgodset 5-4 Lillestrøm

Miika Koppinen (Tromsø) – 32 years old - Defender
Finnish international Koppinen first gained a level of prominence through his goal against Chelsea at Stamford Bridge in the 2007/08 Champions League. The Blues drew 1-1 against Rosenborg that night and soon after Jose Mourinho resigned as coach. Just a few months later, Koppinen left Trondheim to head back to Tromsø, for whom he had appeared for five years before making the switch to Rosenborg. The performances of the centre back, who can also play full back, have continued to improve year on year and the Finn has been a key part of Tromsø’s two third place finishes in the last three seasons.

Best 2010 Tippeliga performance: 1st August, Tromsø 4-3 Stabæk

Fonte: Inside Futbol

venerdì 3 dicembre 2010

Sono affari di famiglia

E’ tempo di curiose sfide in famiglia nel calcio svizzero. Mercoledì scorso è toccato ai fratelli Degen, David e Phillip, incontrarsi per la terza volta da avversari (in precedenza ci furono un incrocio in Super League, Aarau-Basilea, e uno in Bundesliga, Borussia Mönchengladbach-Borussia Dortmund), la prima però in ambito internazionale.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi)

mercoledì 1 dicembre 2010

Preview Lech Poznan-Juventus

C’era una volta il Dream Team del Barcellona, griffato Johan Cruijff, fucina di trofei e di calcio. Da quel fertile terreno sono germogliati parecchi semi, oggi sparsi per l’Europa a predicare (o, almeno, a tentare di farlo) quella particolare filosofia calcistica. Pep Guardiola, Luis Enrique, Sergi Barjuan, Miguel Angel Nadal, Ronald Koeman, Albert Ferrer. Al pluridecorato ex capitano blaugrana Josè Mari Bakero è toccata la Polonia. Prima alla guida del Polonia Varsavia, condotto ad un’insperata salvezza lo scorso campionato, quindi a quella del Lech Poznan, l’ex club delle ferrovie di stato. Ingaggiato il 3 novembre per sostituire l’esonerato Jacek Zielinski, Bakero debuttava ventiquattro ore dopo battendo 3-1 il Manchester City di Roberto Mancini e raggiungendolo in testa al gruppo A. Un risultato che complicava sensibilmente il cammino di una Juventus ammalata di “pareggiate” acuta, costretta adesso a vincere in Polonia per continuare a coltivare le proprie chance di qualificazione.
Il successo sugli inglesi non è stato il primo exploit della compagine polacca in questa Europa League, basta ricordare il clamoroso 3-3 in rimonta proprio sui bianconeri alla prima giornata. Di quella squadra è cambiata la guida tecnica, non la filosofia tattica. Del resto è inutile proporre calcio spettacolo con interpreti di medio livello, e proprio per questo motivo Bakero ha mantenuto, almeno in Europa, quell’arcigno 4-5-1 che ha nei tiri dalla distanza Dimitrije Injac e nei colpi di testa del difensore colombiano Manuel Arboleda (abile sulle palle inattive, a segno nelle ultime due partite “europee” al Miejski Stadion) le sue armi più pericolose. Senza ovviamente dimenticare la punta lettone Artjom Rudnevs, autore della tripletta all’Olimpico di Torino lo scorso 16 settembre. Tornò in patria da eroe, rammaricandosi solamente che a difendere i pali della Juventus non ci fosse stato Buffon, bensì Manninger. Con Storari, gli andrà male anche questa volta.

Fonte: Il Giornale

martedì 30 novembre 2010

Freddy Adu e la fine del sogno americano

Il nuovo Pelè del calcio USA è finito ad allenarsi nello Jutland.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 29 novembre 2010

La storia di Zlatan Ibrahimovic

Zlatan Ibrahimovic è un giocatore che fa discutere. Sempre. Vince il campionato da sette stagioni consecutive, risultando il più delle volte un elemento decisivo nel successo. Per qualcuno non basta. Ha chiuso la sua prima stagione a Barcellona con un bottino di 21 reti. Per qualcuno ha fatto flop. Lo svedese ha sempre pagato un carattere poco malleabile, non avvezzo a lisciare il pelo a chicchessia. Avere un procuratore come Mino Raiola non regala punti alla voce “simpatia”. Il tourbillon continuo di maglie nemmeno. Lo dipingono come un mercenario, ma non risulta che gli Zanetti di turno giochino per beneficenza. E una società calcistica non è propriamente paragonabile alla patria. Il polverone attorno al personaggio non aiuta un giudizio sereno sul giocatore. Raramente negli ultimi anni si è vista una simile fusione tra tecnica, rapidità e potenza fisica. Con Ibrahimovic la Serie A riacquista un campione. Magari con un ego “grande quanto Stoccolma” (copyright di Johnny Gyllensjo, allenatore di Ibra nelle giovanili del Malmö), ma pur sempre un giocatore di altissimo profilo. Questa è la sua storia.

Le spine di Rosengård
144mila euro rappresentano per il piccolo FBK Balkan il budget di cinque anni. Questa società, le cui selezioni - un crogiuolo di serbi, croati, montenegrini e bosniaci - sembrano una Jugoslavia in miniatura, ha ricevuto tale somma in un’unica soluzione direttamente dal Barcellona. Merito della clausola di solidarietà della FIFA, che riconosce una piccola percentuale al club che ha “allevato” il campione oggetto di un trasferimento milionario, ma anche della magnanimità del Barcellona, che per Zlatan Ibrahimovic ha versato nelle casse dell’Inter 66 milioni di euro (45 cash, il resto nella persona di Samuel Eto’o). L’FBK Balkan è stata una delle primissime squadre del ragazzo “dorato” (questo il significato di Zlatan in bosniaco), nato il 3 ottobre 1981 dal bosniaco Sefik e dalla croata Djurka, fuggiti nei primi anni Settanta da Bijeljina, Bosnia-Erzegovina, alla ricerca di un futuro migliore. Quello che li aspettava erano mille impieghi saltuari e un poco confortevole appartamento in un prefabbricato in Commons Vag, quartiere di Rosengård, periferia di Malmö. Una zona ad alto tasso di immigrazione e bassa percentuale di occupazione. Asfalto, cemento, un campetto di terra scura con le porte arrugginite: in poche parole, l’infanzia di Ibrahimovic. FBK Balkan, Malmö BI (oggi rinominata Fc Rosengård), Flagg; la sua carriera calcistica inizia invece da questi piccoli club. Hasib Klikic, uno dei suoi primi allenatori, lo ricorda così: “Con la palla tra i piedi tentava di fare di tutto, dribbling, finte, colpi ad effetto. In campo giocava come fosse da solo, non si fidava di compagni che percepiva nettamente inferiori a livello tecnico. Ma non potevo nemmeno rimproverarlo troppo, perché segnava sempre”. La leggenda narra che in una partita contro il Vellinge entra nella ripresa, con la sua squadra sotto di quattro reti, e ne segna otto. Era un campionato per under-12, lui aveva 10 anni.

Il cielo è sempre più blu
“Zlatan Ibrahimovic ha regalato un’identità alla gente di Rosengård”. Tra gli immigrati di Malmö circola questa massima. Un’esagerazione? No. Qualche anno fa una piccola piazza nei pressi dei palazzi dove il nostro ha trascorso la sua infanzia è stata rinnovata grazie a un progetto, che prevedeva una pavimentazione fatta con materiale ricavato dal riciclo delle suole di migliaia di scarpe da calcio, presentato da un’azienda locale con l’aiuto del giocatore e di uno dei suoi sponsor, la Nike. All’inaugurazione, assieme a Ibra, c’erano oltre cinquemila persone. Eppure la storia di Zlatan Ibrahimovic sarebbe probabilmente stata molto diversa se all’età di quindici anni non avesse incontrato Johnny Gyllensjo, oggi ispettore presso il Dipartimento Anticrimine della polizia di Malmö, all’epoca allenatore delle giovanili degli Himmelsblått (Blu cielo). “Lascio la squadra”, gli disse un giorno Zlatan durante un allenamento. Il motivo aveva un nome e un cognome, Tony Flygare, amico, compagno di squadra nonché attaccante dalle medie realizzative altissime che oscuravano quelle del ragazzo di origini bosniache, tanto da soffiargli il posto nelle nazionali giovanili svedesi under-16 e under-17. Ci vogliono tutta la pazienza e l’esperienza di Gyllensjo per far desistere Ibra. “A quell’età ciò che conta agli occhi dei ragazzi è segnare, io gli feci capire che il calcio è molto di più. Gli dissi di lasciar perdere la quantità, perché lui era uno dei pochi che aveva il dono della qualità. Flygare non è mai andato oltre le serie minori”. Nel 1999 Roland Anderssons aggrega il giovane ragazzo dal carattere difficile (ma in Svezia circola un proverbio che recita “un ragazzo si tiene lontano il fuoco solo quando si è scottato”) alla prima squadra del Malmö. L’anno successivo chiude in doppia cifra - 12 reti - nel Superettan (la Serie B svedese), e si vede recapitare a casa un pacco contenente la maglia numero nove dell’Arsenal. Sul retro c’è scritto “Zlatan”. E’ il personale invito di Arsene Wenger a raggiungerlo a Londra. Respinto. La destinazione di Zlatan è l’Olanda.

Un amico vero
Leo Beenhakker non aveva dubbi: quel lungagnone svedese era un giocatore da Ajax, pertanto la dirigenza ajacide non avrebbe dovuto spaventarsi di fronte al notevole esborso, 7.8 milioni di euro, che le era stato prospettato. Ad Amsterdam si fidano, mentre la stampa inizia a caricare i fucili. E dopo i primi difficili mesi di Zlatan in maglia biancorossa, apre il fuoco. Non vede la porta, non gioca per la squadra, prende troppi cartellini. Anche tra i tifosi dell’Ajax serpeggia il malumore. Ci vorrà quasi un anno per far decollare il rapporto. La scintilla scocca sul finire della stagione 2001/02; l’Ajax vince il titolo, Zlatan segna la rete decisiva nella finale di Coppa d’Olanda. Fondamentale, a detta dello stesso giocatore, il supporto di Beenhakker, definito “profondo conoscitore di calcio, ma anche vero amico”. Non sono parole di circostanza. L’abbraccio tra i due in Germania nel Mondiale 2006 al termine di Svezia-Trinidad e Tobago vale più di mille parole. Rotto il ghiaccio, Ibra comincia a carburare. Doppietta al Lione all’esordio in Champions League, avventura che per un Ajax traboccante di talento (Chivu, Sneijder, Van der Meyde, Nigel de Jong, Van der Vaart) si concluderà solamente ai quarti di finale al termine di uno sfortunato doppio confronto con il Milan. Gli ajacidi si rifanno l’anno seguente con un nuovo titolo nazionale; è il 2004, e da quel momento Ibrahimovic non ha più smesso di chiudere le stagioni al primo posto. Gol, giocate ma anche litigi; l’ex amico Mido gli tira un paio di forbici in una stanza d’albergo, con Heitinga e Van der Vaart l’ostilità cresce giorno dopo giorno. “Ci detestiamo”, dichiara Van der Vaart, “ma in campo non si vede, e questo è ciò che conta”. L’importante però è indossare la stessa maglia. Lo impara a sue spese l’olandese durante un’amichevole tra Olanda e Svezia, quando Ibrahimovic lo tocca duro costringendolo ad uscire dal campo. Tre settimane dopo lascia Amsterdam per l’Italia. La Eredivisie è già iniziata, lui si congeda con tre reti in altrettante partite e uno splendido assolo alla prima giornata contro il Nac Breda, in seguito votato miglior gol del campionato olandese 2004/2005.

Bell’Italia
“Ma dove vuole andare con quel nome da zingaro?”. Nel 2003 qualcuno della Roma bocciò così l’acquisto di Ibrahimovic, segnalato dal Nils Liedholm. Ecco quindi, un anno e mezzo dopo, la Juventus. 16.5 milioni di euro e un impatto super nella nuova realtà: tanti gol (16, cifra mai raggiunta prima in Olanda), numeri di alta scuola ma anche concretezza. “In allenamento dobbiamo metterci in sei per portargli via la palla”, commenta Emerson. “Io faccio con un’arancia quello che John Carew fa con un pallone”, risponde Ibra a quelli che, come il citato attaccante norvegese, provano a mettere in dubbio le sue qualità. Un pestone a Cordoba ed una testata a Mihalijovic aggiornano invece la sua fama di personaggio irritabile. Soffre però in campo internazionale: non incide in Champions, e anche con la maglia della Svezia fatica a fare la differenza, tanto che ad oggi si può tranquillamente affermare che il colpo di taekwondo (arte marziale da lui praticata) che infila Buffon a Euro 2004 rimane il suo momento migliore. Nel frattempo però sono passati due Mondiali (a quello del 2010 la Svezia non si è nemmeno qualificata anche a causa della sua latitanza in attacco) e un Europeo (quello del 2008, giocato discretamente a dispetto delle precarie condizioni fisiche). Il top a livello di rendimento Ibrahimovic lo raggiunge però nel triennio all’Inter. In nerazzurro ci approda grazie a Calciopoli. La Juventus, retrocessa in Serie B, lo vende nell’estate 2006 per 24.8 milioni di euro. In tre stagioni realizza 57 reti in campionato, raggiungendo la punta massima di 25 nel campionato 2008/09, il primo sotto la guida Josè Mourinho. In quello precedente una sua doppietta al Parma aveva regalato all’Inter il sofferto scudetto numero sedici (o quindici, dipende dai punti di vista). Fuori dal campo, Ibra soffre di nostalgia (nel 2007, controversa intervista a Libero su Luciano Moggi) e di mal di pancia (nel 2009, quando è ormai deciso a levare le tende da Milano). Contro quest’ultimo sintomo la cura è rappresentata da una maglia color blaugrana.

Filosofi e professori
Credeva di aver firmato per il Fc Barcellona, invece si è ritrovato nel Fc Guardiola. Questo è il sunto dell’Ibra-pensiero al termine di un’annata non facile, in cui non sono mancati i gol né le giocate, ma dove lo svedese non ha inciso sui destini della squadra come era abituato a fare con Ajax, Juventus e Inter. Un problema innanzitutto tattico; il Barcellona non giocava un calcio adatto al suo stile di gioco, spesso paragonabile a “improvvisazioni jazz” (copyright Björn Ranelid, scrittore), ma soprattutto non giocava per lui. Poi c’era l’aspetto mediatico, con il costante tentativo da parte di certa carta stampata di creare un dualismo -in realtà inesistente- tra lui e Messi (“la stampa svedese è terribile; da quando sono a Barcellona in sala stampa c’erano più giornalisti di cronaca rosa che sportivi”). Infine la questione-Guardiola; tra i due relazioni sempre ai minimi termini e comunicazione pressoché nulla. Solamente con Co Adriaanse durante il suo primo anno all’Ajax Ibrahimovic aveva avuto un rapporto così freddo con un allenatore. Alla fine Zlatan non chiama più Guardiola nemmeno per nome; nelle interviste diventa “il filosofo”. Per il tecnico spagnolo Ibra è invece un pacco, indesiderato fin dal giorno del suo arrivo, del quale sbarazzarsi il prima possibile. Il resto è storia dei giorni nostri. Il Milan, doppietta all’esordio in Champions, immediata lite con Arrigo Sacchi in diretta tv: “tu parli troppo, se non ti piace il mio modo di giocare non guardarmi”. Zlatan Ibrahimovic continua ad essere un giocatore che fa discutere. Sempre.

Fonte: Calcio 2000

sabato 27 novembre 2010

Il sogno proibito di Gekas

Non è certamente destinato ad entrare nella hall of fame dei grandi attaccanti il greco Theofanis Gekas, ma nemmeno il suo più acceso detrattore può affermare che l’attuale punta dell’Eintracht Francoforte non sappia fare il proprio mestiere, ovvero quello di segnare. Con alti e bassi, ovviamente, come tutti coloro che non nascono con le stimmate del fuoriclasse.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

venerdì 26 novembre 2010

Vitesse hope Merab Jordania's new dawn is not Middle Eastern mirage

Death or glory, at Vitesse there is no in between. In the last 15 years, the Arnhem club’s life has been full of ups and downs, with precious few periods of calm. Vitesse regularly finished in the top five of the Eredivisie and took part in the UEFA Cup in the late 1990s; the club even dreamed of lifting the Dutch title in the 1997/98 season, when they finished third in the league with 70 points – the side’s best ever performance – and saw their striker Nikos Machlas end the campaign as Eredivisie top scorer with 34 goals. Now a set of new developments have given the club cause to hope for a bright future.

Vitesse feasted on ambition in the 1990s, even building the breathtaking GelreDome stadium in 1998. The stadium was well ahead of its time with a retractable roof, and even ahead of some present day designs with a retractable pitch, able to be slid out when concerts or other events are held in the ground. Later however, the club almost went bankrupt in part due to the GelreDome and in part due to lavish spending on players and wages. Vitesse’s chairman at the time, Karel Aalbers, found himself accused of fraud in 2000 in another twist that added to the sense of crisis enveloping the club – Vitesse were eventually saved by Arnhem city council, who bought the GelreDome and produced a rescue package while on the pitch the team desperately fought to avoid relegation. This year though, on 16th August, Georgian businessman Merab Jordania bought Vitesse, beginning a new era for the Arnhem side.

Jordania purchased a club in poor financial health, but showed his intention was to restore the side to their glory days almost immediately. With a plan named by the Georgian “Project 13”, Jordania expressed his ambition to help Vitesse become Eredivisie champions within the next three years. Having been president of the Georgian Football Federation and a players’ agent – counting the Arveladze brothers, Georgi Kinkladze, Temur Ketsbaia and Georgi Demetradze as his most important clients – Jordania certainly knows his way around the football world. Vitesse’s new owner can count Roman Abramovich as one of his closest friends and it is no coincidence that Chelsea loaned the Dutch club two players last August – midfielder Nemanja Matic and defender Slobodan Rajkovic. The geel-zwart also signed Nacer Barazite from Arsenal and Ismail Aissati from Ajax; former Inter youth team defender Luca Caldirola had been the only loanee from a big club to land in Arnhem before Jordania’s arrival.

Since the start of the Jordania era, everyone at Vitesse expected that coach and club icon Theo Bos – labelled Mr Vitesse due to having made the most appearances for the Dutch side – wouldn’t last long. Jordania has high expectations, but Bos preached realism. The 45-year-old also had the handicap of not having been the new president’s choice. And last October, following a defeat to Roda JC, Jordania acted and Bos was sacked. His replacement was something of a surprise though, with the inexperienced Albert Ferrer, a former Spanish international defender, who at the time was working as a TV pundit for Canal+, drafted in as the new Vitesse coach.

Ferrer, who was part of Johan Cruyff’s Barcelona “Dream Team” of the early 1990s and also played at Chelsea, will work with a newly formed technical staff including ex-Ajax goalkeeper Stanley Menzo – who resigned as coach of Eerste Divisie side Cambuur Leeuwarden – and coach Albert Capellas Herms, previously of Barcelona’s youth system.

A raft of Cruyff’s “Dream Team” have become coaches: Pep Guardiola, Luis Enrique, Sergi Barjuan, Miguel Angel Nadal and Ronald Koeman. Now it is Ferrer’s turn. “Many people wonder why I have chosen the Eredivisie”, said the Spaniard at his unveiling. “I’m taking my first steps as a coach, and Vitesse’s offer looked like a great chance. I like Holland’s football philosophy. Johan Cruyff was vital for my development as a player and I learnt a lot from him during his time in Spain. I think that Holland’s football culture is very similar to that of Barcelona. When I told Guardiola about Vitesse, he said ‘Do it! They are the ideal starting point for you.’ So I packed my suitcase, left Granera – a little village 50 kilometres from Barcelona – and flew to Arnhem.”

Ferrer discovered a side struggling in the relegation zone, but, like a battle-hardened coach, repeated the managerial mantra of needing time. “Of course we need time because, you know, Rome wasn’t built in a day. I know all of the players in the team. I watched a lot of DVDs of their matches. When I say that my purpose is to create a little Barcelona here in Arnhem, please don’t look at me as if I am a fool. I know that Lasse Nilsson is not Lionel Messi. However, the approach to the game can be the same. I want my team to play dominant and attacking football. I want the ball to be moved around quickly. I want top training facilities that can help the players to improve day by day. They have to feel at home at the club and work with pleasure. These are the things that Cruyff taught me at Barcelona.”

The new Vitesse boss faces a difficult task, but has begun in style, recording an impressive 5-1 win in Venlo against VVV. Vitesse deployed the same 4-5-1 system favoured by previous coach Bos, with Julian Jenner and Dalibor Stevanovic on the flanks, Wiljan Pluim (or Marcus Pederson) as the lone striker, Aissati the attacking, creative midfielder, and Rajkovic and Frank van der Struijk the vital central defensive pairing. The Arnhem side currently find themselves 15th in the Eredivisie, just four points above the relegation playoff zone. “We are not worried”, stated technical director Ted van Leeuwen, “because this is only a transitional season. However, soon we will be able to show the club’s new style.”

In Holland there has been much controversy over Jordania’s takeover of Vitesse, mainly due to the businessman’s background, while some commentators have argued that the takeover is the start of the Dutch equivalent of the wave of foreign takeovers that have swept through English football. The fear is that financial globalisation in the Eredivisie may lead to longer term destabilisation.

Ten years ago Vitesse were nicknamed “FC Hollywood on the Rhine” and aimed to become a little Manchester United. Now they are dubbed the “Kingdom of Jordan(ia)” and look to Barcelona for inspiration. In Arnhem, the club’s faithful are enjoying the ride, full of expectations. However, deep down Vitesse’s supporters hope this is not merely another brief high to be followed by a mighty low.

Fonte: Inside Futbol

giovedì 25 novembre 2010

Gli affari del Groningen

Il proverbio dice che non c’è due senza tre. Pertanto il Groningen terzo in classifica nella Eredivisie a due giornate dalla chiusura del girone di andata, può legittimamente sperare nel bersaglio grosso. Dopo l’Az Alkmaar nel 2009 e il Twente nel 2010, i bianco-verdi rappresenterebbero la terza sorpresa consecutiva in un campionato fino a poco tempo fa fortemente caratterizzato dal dominio delle solite due-tre squadre.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

mercoledì 24 novembre 2010

Preview Inter-Twente

“Il Twente ha dimostrato di non essere un intruso in Champions League”. Michel Preud’homme, il tecnico degli olandesi, si è già messo alle spalle la seconda sconfitta consecutiva raccolta in campionato. “Sia contro l’Inter che contro il Tottenham, risultato a parte, ce la siamo giocata. Abbiamo le capacità per mettere in difficoltà i nostri avversari”. In altre parole: si va a Milano per giocarsi la qualificazione agli ottavi. Una debuttante al cospetto dei campioni d’Europa. Un allenatore esordiente contro un collega, Rafa Benitez, che invece da anni è un assiduo frequentatore della manifestazione. Un incrocio di destini solo apparentemente diversi.

Preud’homme condivide con Benitez la più scomoda delle eredità: sostituire un predecessore che ha fatto la storia del club. Mourinho all’Inter con la tripletta, McClaren al Twente con il primo titolo nazionale della squadra di Enschede. Il belga però non sta soffrendo il paragone, confermando la parabola ascendente della propria carriera da allenatore, che nell’ultimo biennio lo ha visto conquistare tre trofei con tre squadre diverse: campionato belga nel 2008 con lo Standard Liegi; coppa belga nel 2009 con il Ghent; supercoppa olandese quest’anno con il Twente.
A dispetto di un modulo, il 4-3-3, pressoché identico a quello di McClaren, c’è tanto Preud’homme nell’attuale Twente. Fino ad ora i due migliori uomini della squadra in Champions sono sue “creature”; l’ala sinistra Nacer Chadli, prelevato in estate dalla B olandese, decisivo nella vittoria a Brema sul Werder; e il portiere Nikolaj Mihajlov, dal 2007 nel club, ma promosso titolare solo con l’arrivo di Preud’homme. L’estremo bulgaro, figlio d’arte (papà Borislav detiene tutt’ora il record di presenze in nazionale), sembra esaltarsi sulla ribalta internazionale: lo scorso anno parò un rigore a Joao Moutinho dello Sporting Lisbona nel preliminare di Champions; quest’anno si è ripetuto contro Van der Vaart a Londra, prima di abbassare la saracinesca in casa del Werder.

L’ultima volta che Preud’homme ha calcato l’erba di San Siro indossava ancora i guanti da portiere e difendeva i pali del Malines, il piccolo club fiammingo capace di vincere, sul finire degli anni Ottanta, la Coppa Uefa. Quel giorno, per i quarti della Coppa Campioni 89-90, aveva di fronte il Milan di Arrigo Sacchi e Marco van Basten, che costrinse - praticamente da solo - ai tempi supplementari grazie ad una performance mostruosa. La stessa che si aspetta questa sera dal suo Twente.

Fonte: Il Giornale

martedì 23 novembre 2010

Preview Auxerre-Milan

Per comprendere la filosofia Auxerre un aneddoto vale più di mille parole. Qualche anno fa il club della Borgogna stava trattando con il Roda l’acquisto dell’allora promettente nigeriano Tijani Babangida. Di fronte ai 3 milioni di euro chiesti dagli olandesi, l’Auxerre però fece immediata retromarcia. “Non se ne parla proprio”, disse Guy Roux, il tecnico dei transalpini all’epoca. “Con questi soldi da noi si costruisce una cattedrale”. Traduzione: niente spese fuori budget. I big, o potenziali tali, l’Auxerre preferisce costruirseli in casa. Qualche esempio? Eric Cantona, Philippe Mexes, Djibril Cissè, Basile Boli, Bernard Diomede. Il prossimo della lista potrebbe essere il 22enne centrocampista Delvin N’Dinga, un piccolo Vieira congolese già finito sul taccuino di numerosi club europei.

Da sempre Auxerre significa valorizzazione dei giovani. Lo dice la ragione sociale del club, Association de la Jeunesse Auxerroise, ovvero associazione della gioventù di Auxerre. Lo conferma la storia della società, da sempre all’avanguardia nello scouting e nella formazione. Quando poi la semina è particolarmente buona, ecco arrivare il palcoscenico più prestigioso, la Champions League. Dove alle eventuali carenze qualitative dell’organico si sopperisce con l’ingegno, come accaduto nell’ultimo turno. Privo dei propri attaccanti titolari, l’infortunato Jelen e lo squalificato Oliech, per affrontare l’Ajax il tecnico Fernandez si è inventato una prima linea di brevilinei rapidi e guizzanti, i classe 86 Quercia e Sammaritano, per sorprendere in velocità la difesa degli olandesi. Risultato: successo dell’Auxerre per 2-1 e qualificazione riaperta.

Nell’Auxerre zero stelle, dove l’unico giocatore over-30 della rosa è lo svizzero Gritching, il fuoriclasse vero siede in panchina. Jean Fernandez, seguace dei metodi di Arrigo Sacchi e talent scout di Ribery ai tempi del Metz, in estate è stato ad un passo dal sostituire Domenech quale ct della Francia. Alla fine ha prevalso Laurent Blanc, e lui ha potuto continuare a dedicarsi al suo laboratorio di talenti. A inizio stagione ha estromesso dalla Champions i milionari dello Zenit San Pietroburgo. Oggi è pronto a sfidare una big del calcio mondiale con una batteria di attaccanti, sei, i cui cartellini valgono, tutti assieme, la metà di quello del solo Robinho.

Fonte: Il Giornale

sabato 20 novembre 2010

Brest, la parola alla difesa

Anche la Ligue 1 ha il suo Mainz, almeno finché dura. E’ il Brest, o Stade Brestios 29 (questo il nome ufficiale del club), capolista a sorpresa del campionato francese. A differenza del Mainz, però, la squadra transalpina è una neopromossa, e prima dell’attuale stagione mancava nella massima divisione dal 1991.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

martedì 16 novembre 2010

Sei un Mido

L’egiziano Hossam Mido, ex talento ampiamente bruciato da una serie di poco esaltanti esperienze tra Premier League, Liga e Serie A, è tornato a far parlare di sé per ragioni puramente sportive. La sua rete che ha aperto le marcature nel sedicesimo di finale di Coppa d’Olanda tra Ajax e Veendam non è certo un’impresa da raccontare ai nipotini, però a qualcosa è comunque servita. In primo luogo a togliere dall’egiziano l’etichetta di corpo estraneo alla squadra, raggiunta in estate per rimpolpare la prima linea dopo il mancato rinnovo del contratto (scelta societaria) al serbo Pantelic. Quindi ad evitare all’Ajax una nuova figuraccia casalinga dopo le sconfitte in campionato contro Utrecht e Ado Den Haag. Non battere all’Amsterdam ArenA il Veendam, club di Eerste Divisie, avrebbe avuto effetti deleteri per il già inquieto ambiente creatosi all’interno del club. Jol ha chiesto rinforzi per gennaio, Mido sembra abbia voluto dimostrargli che forse qualcosa in casa esiste già. Anche se, visto il passato, non c’è molto da fidarsi.

Le prime quattro della Eredivisie non hanno fallito la qualificazione agli ottavi della coppa nazionale. Il Twente capolista è stato quello che ha faticato più di tutti, imponendosi sullo Zwolle - primo della classe in Eerste Divisie - solamente ai calci di rigore. I Tukkers hanno confermato il loro più grande limite; le riserve non sono nemmeno lontanamente all’altezza dell’undici titolare. Preud’homme è stato così costretto a mandare in campo i pezzi grossi nella ripresa. Le castagne dal fuoco le tolte Chadli, al terzo gol pesante in due settimane dopo quelli nel big match contro il Psv Eindhoven e in Champions League a Brema.

I rigori hanno sorriso anche al Groningen, terzo in campionato a pari punti con l’Ajax; l’avversario però, l’Ado Den Haag, è una delle compagini attualmente più in forma di tutta la Eredivisie, e pertanto un pizzico di sofferenza poteva essere messa in conto. Una passeggiata invece il turno del Psv Eindhoven, un comodo 3-0 ai dilettanti dello Spakenburg. Per il tecnico Fred Rutten si è trattato del successo numero 50 in 71 partite sulla panchina del club della Philips.

Agli ottavi di finale approdano solamente nove squadre di Eredivisie (oltre alle citate, Utrecht, Az, Nac Breda, Roda e Vitesse), ovvero l’esatta metà. Coppa d’Olanda torneo snobbato? Tutt’altro. La formula della partita secca, con sorteggio integrale, aggiunge sale alla competizione senza fornire alcun paracadute per le big. Accade così che il Feyenoord esca ai trentaduesimi contro il Roda, l’Heracles Almelo prenda cinque gol dai dilettanti dell’Achilles ’29 e gli ottavi mettano di fronte Sparta Nijkerk e Noordwijk, garantendo una squadra amatoriale ai quarti.

Il Marko svalutato

Per comportarsi da Ibrahimovic bisognerebbe prima essere stati come Ibrahimovic, almeno in termini di prestazioni e successi. Un concetto elementare che Marko Arnautovic non ha recepito, perso in un ego più grande del suo già cospicuo talento.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 15 novembre 2010

JA!!!!!



GRAZIE.

BelgiOlanda 2018: intervista a Ruud Gullit

In Italia c’è qualcuno che paragona il nuovo Milan a quello del trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard. Cosa ne pensi?
Forse un domani potrà eguagliarlo perché possiede tanta qualità, e questa è la cosa più importante. Però per ora è ancora tutto sulla carta, bisogna vedere quanto sarà abile Allegri ad amalgamare una simile concentrazione di talenti. Sicuramente Berlusconi è stato di parola, mettendo a segno due grandi colpi di mercato con gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho. Ma prima di fare certi paragoni bisogna aspettare almeno qualche mese.

E’ un Milan più da campionato o da Champions?
E’ una squadra che si è rinforzata molto, anche se non in maniera omogenea. In Champions può fare molta strada, nonostante non abbia trovato un girone agevole. Purtroppo quest’anno i gruppi mi sembrano abbastanza squilibrati, ed alcuni di questi sono di livello non eccelso.

Due parole su Ibrahimovic.
Il suo arrivo ha regalato al Milan potenza fisica in attacco, senza sottrarre nulla sotto il profilo della qualità. E sono convinto che il calcio di Ibra è più adatto alla Serie A piuttosto che alla Liga.

Un campionato, quello spagnolo, all’insegna della sfida Mourinho-Guardiola.
Per Mou la sfida sarà ancora più tosta di quelle vinte finora, perché deve dare subito continuità ad una squadra composta da grandissimi giocatori, in gran parte però nuova. Il Barcellona invece è il top per quanto riguarda il bel calcio. Mi piaceva molto quello di Rijkaard, e ovviamente ammiro quello attuale. Guardiola può permettersi di giocare questo calcio perché possiede dei giocatori di altissimo livello. Non dobbiamo dimenticare che sono i giocatori a determinare la carriera, e le fortune, di un tecnico.

Pallone d’Oro a Sneijder, Iniesta oppure a qualcun altro?
Da Sneijder dissi che mi aspettavo un grande Mondiale, e così è stato. Apprezzando molto il Barcellona, non posso che ammirare Iniesta, così come Xavi e Messi. Il Pallone d’Oro dipende da molte cose. A me piace chi crea gioco, chi sa dirigere una squadra e migliorarla come collettivo.

Il Mondiale ha messo sul podio tre movimenti calcistici che prestano grande attenzione ai vivai: Spagna, Olanda e Germania. Non è ovviamente un caso.
Assolutamente no. Il circolo virtuoso nasce dalla sinergia tra settori giovanili che producono elementi di qualità, club che integrano precocemente i giovani talenti in prima squadra, e commissari tecnici che sfruttano questo lavoro per creare l’ossatura della loro selezione. Del Bosque secondo me ha fatto un lavoro eccezionale, mescolando le virtù del Barcellona, e della sua particolare filosofia, con quelle del calcio spagnolo. La Germania deve molto al lavoro svolto dalla Federcalcio negli ultimi anni a livello di nazionali giovanili, ma anche dal Bayern Monaco di Louis van Gaal. Stesso discorso per l’Olanda con l’Ajax.

Joahn Cruijff ha criticato molto il gioco poco brillante degli uomini di Van Marwijk.
Non condivido, l’Olanda ha disputato un ottimo torneo. Contro il Brasile ha sfoderato una maturità impressionante. Del resto, nemmeno la Spagna ha incantato in alcune partite. Contro il Paraguay ha sofferto molto, e in finale ha rischiato. Però hanno vinto meritatamente. Spagna e Germania hanno rappresentato il meglio dal punto di vista del gioco.

Il peggio è invece arrivato da Francia e Italia.
La Francia era alle prese con un delicato ricambio generazionale che né federazione né allenatore sono stati in grado di gestire. All’Italia invece mancava quasi completamente la qualità.

Perché i Mondiali 2018 dovrebbero essere assegnati a Belgio e Olanda (Gullit è il presidente dell’associazione che si occupa della candidatura, nda)?
Perché possiamo garantire il meglio sotto ogni punto di vista. E l’Olanda è l’unico paese appartenente ai grandi del calcio che non ha mai organizzato un Mondiale.

(7-fine)

Fonte: Guerin Sportivo