Per raccontare Andrè Villas Boas è sufficiente un piccolo episodio. Lo scorso agosto, nella conferenza stampa che precedeva Genk-Porto, primo turno di Europa League, il tecnico lusitano si soffermò sulla rosa della squadra belga, disquisendo di titolari e riserve come fosse un esperto locale, per poi terminare con un accenno al problema dei premi-partita sollevato dai giocatori del club fiammingo. Notizia, quest’ultima, alla quale i quotidiani belgi avevano dedicato un semplice trafiletto.
La cura maniacale per i dettagli è sempre stata una costante nella carriera di Villas Boas, origini nobili e un’insana passione per tattica, metodi di allenamento e statistiche sin dalla tenera età. Il suo primo maestro è stato l’inglese Bobby Robson, poi è arrivato Josè Mourinho, che lo ha definito “i miei occhi e le mie orecchie”. Per sette anni Villas Boas ha girato il mondo producendo dettagliati report sugli avversari di Porto, Chelsea a Inter, quindi ha deciso di mettersi in proprio.
In Portogallo ai giovani credono davvero, per necessità ma soprattutto per virtù. Così nell’estate 2010 il Porto, reduce da una stagione deludente, ha deciso di affidare la ricostruzione all’allora 32enne Villas Boas, le cui uniche esperienze da allenatore si limitavano a 23 partite con l’Academica la stagione precedente (sufficienti però a portare la squadra di Coimbra dall’ultimo posto ad una salvezza tranquilla), più due come ct Isole Vergini britanniche a 23 anni (“ma la Federazione venne a conoscenza della mia età solamente quando me ne andai, e rimasero tutti allibiti”). Risultato: campionato portoghese vinto in carrozza (zero sconfitte, 21 punti di distacco sul Benfica), finale di Europa League (domani a Dublino contro i connazionali dello Sporting Braga) e finale della coppa di Portogallo (domenica 22 maggio contro il Vitoria Guimarães).
In Europa Villas Boas ha compiuto il suo capolavoro, tenendo fede alla parole di Mourinho sul “Porto squadra da Champions League confinata nella coppa minore”. I Dragões hanno schiacciato la concorrenza, vincendo 13 delle 16 partite disputate, segnando 43 gol e incassando le uniche due sconfitte stagionali (contro Siviglia e Villarreal) a qualificazione già acquisita. Il 433 del Porto odierno ricorda molto, nell’impostazione tattica di base, quello dell’era mourinhana, quando in due anni arrivarono Coppa Uefa e Champions League. Villas Boas utilizza metodologie di allenamento simili a quello del maestro di Setubal, e non si sottrae al fascino della polemica (vedi alcune recenti dichiarazioni di fuoco contro gli arbitri portoghesi). Tuttavia sarebbe un grosso errore considerarlo un mero clone di Mourinho, perché questo allenatore che a 17 anni lasciava una lettera al suo condomino Bobby Robson per consigliarli un migliore utilizzo dell’attaccante Domingos Paciencia, ha dimostrato sul campo di possedere intuizioni e idee originali.
Un volto nuovo, giovane e fresco che ha stregato molti club, tra i quali la Juventus. Per averlo però bisogna investire: economicamente, ma anche in termini progettuali, lasciando al portoghese piena autonomia. Perché Villas Boas, curriculum alla mano, non ha certo bisogno di direttori generali che gli insegnino come spendere proficuamente 50 milioni di euro.
Fonte: Il Giornale
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