Un tabaccaio part-time con simpatie anarchiche come icona; una fotomodella apparsa nuda davanti alle telecamere dell’emittente VPRO come madrina; una statua divenuta il simbolo della controcultura hippy-ecologista olandese come logo societario. Nessuna squadra, nemmeno l’Ajax di Johan Cruijff, ha saputo incarnare lo spirito rivoluzionario del ’68 come l’Fc Amsterdam di Jan Jongbloed, di lady Phil Bloom e dell’Het Lieverdje (il Piccolo Monello), la statua sita in piazza Spui nella capitale dei Paesi Bassi. Una combriccola talmente fuori dagli schemi da far rifiutare all’amministrazione comunale di Amsterdam persino un incontro con i propri dirigenti. Ma l’Fc Amsterdam rappresentava anche una bella fetta di storia del calcio cittadino, avendo progressivamente incluso nei propri ranghi tre club storici che avevano contribuito alla diffusione e all’affermazione di questo sport in terra olandese: De Volewijckers, Blauw-Wit e Dws. Un collettivo dell’altra Amsterdam; questa può essere la definizione più appropriata per definire i cugini-rivali dell’Ajax lungo tutti gli anni Settanta.
Se il Blauw-Wit era una società che pescava i propri sostenitori tra la media borghesia e la classe lavoratrice di ideologia moderata, il De Volewijckers faceva invece riferimento al popolo di fede comunista, molti dei quali erano stati membri attivi della resistenza durante l’occupazione nazista, quando anche una semplice partita di campionato diventava il pretesto per un regolamento di conti con i collaborazionisti. Evento che si avverava puntualmente quando il De Volewijckers si recava in trasferta a Den Haag per affrontare l’Ado, squadra i cui tifosi, ieri come oggi, pendevano decisamente a destra. Ma mentre il Blauw-Wit si caratterizzava soprattutto per le auto dei supporter dipinte a strisce orizzontali bianco-blu e per avere tra le proprie stelle Martin Koeman, papà di Ronald ed Erwin, il De Volewijckers poteva mostrare una bacheca in cui era presente un titolo nazionale, vinto nel 1944 in piena Seconda Guerra Mondiale. Un successo inaspettato che interrompeva il filotto di due campionati consecutivi dell’odiatissimo Ado Den Haag.
Ancora più esaltante era però il curriculum vitae del Dws; retrocesso in Seconda Divisione nel 1962, stagione che per la prima e unica volta aveva visto andare in scena ben dodici di derby di Amsterdam, stante la contemporanea presenza dei quattro club in Eredivisie, la squadra “dotata di forza di volontà” (questo il significato dell’acronimo Dws) era risalita due anni dopo vincendo clamorosamente il campionato. Non fu però puro caso, dal momento che il presidente Solleveld aveva messo mano al portafoglio presentando una società dotata di un apparato completamente professionista, comprendente una scuola calcio, talent scout a tempo pieno e nuove figure di staff quale quella del direttore tecnico. Non mancavano ovviamente i grandi giocatori, da Jongbloed a Rinus Israel, da Frits Flinkevleugel a Henk Wery fino a Frans Geurtsen, capocannoniere del campionato con 28 gol. L’anno successivo l’avventura in Coppa dei Campioni del Dws si ferma ai quarti di finali contro il Vasas Györ allenato da Nandor Hidegkuti, una delle leggende della Grande Ungheria, dopo aver fatto strage di palle gol sia all’Olympisch Stadion che in Ungheria.
Dagli inizi degli anni Settanta ecco invece l’Fc Amsterdam, i cui momenti migliori si collocano tra il 1973 e il 1975 con un quinto posto in Eredivisie e la conseguente partecipazione alla Coppa Uefa la stagione seguente. Dove, dopo l’Hibernian La Valletta, dall’urna esce l’Inter di Mazzola, Facchetti e Boninsegna. Il 23 ottobre 1974 gli olandesi si presentano in campo reduci da una serata a base di rum e coca cola, ma passano solo pochi minuti dal fischio d’inizio e Nico Jansen batte Bordon gelando i 30mila di San Siro e facendo la felicità dell’unico tifoso dell’Fc Amsterdam (Cor Visser, pubblicitario del quotidiano Het Parool) arrivato a Milano per sostenere la propria squadra. Jansen colpisce di nuovo a inizio ripresa, poi Boninsegna dimezza lo svantaggio ribattendo in rete un rigore che Jongbloed gli aveva respinto, mentre pochi minuti dopo tocca a Theo Husers calciare alto dal dischetto. Reti inviolate invece due settimane dopo ad Amsterdam. L’eliminazione dell’Inter da parte di un manipolo di semi-sconosciuti fa scalpore sia in Italia che in Olanda. La festa europea dell’Fc finisce ai quarti di finale per mano del Colonia di Dieter Müller.
Nell’agosto del 1979 la rete televisiva giapponese Tokyo Channel Tv organizza un torneo amichevole per festeggiare i propri quindici anni di vita, e richiede la presenza tra i partecipanti della nazionale vice-campione del mondo, ovvero l’Olanda. La Federcalcio olandese accetta la proposta senza nemmeno interpellare giocatori e squadre di club, ottenendo in cambio un rifiuto generalizzato e pressoché unanime nel partire per il Sol Levante per affrontare una massacrante tourné a poche settimane dall’inizio della nuova stagione calcistica. L’impasse viene risolto dal presidente dell’Fc Amsterdam Dé Stoop; datemi le maglie oranje, dice, e in Giappone ci porto i miei. Una squadra di Eerste Divisie (Serie B, campionato in cui l’Fc era retrocesso l’anno precedente) scende così in campo spacciandosi per la nazionale olandese; una truffa gigantesca riuscita perfettamente grazie al beneplacito della Federcalcio giapponese, coinvolta nella mascherata. Ma oltre alla goliardia rimane poco, soprattutto nelle casse del club, per nulla sostenute da risultati sportivi di una qualche rilevanza; il principio della fine si materializza con l’abbandono dell’Olympisch Stadion, troppo grande per la media spettatori della squadra, poi nel 1982 arriva il fallimento. Da quel momento l’Fc Amsterdam rivive solo in qualche sporadica riunione di reduci (Jongbloed, Rensenbrink) all’insegna della nostalgia e dei bei tempi andati. Quando l’età matura non aveva ancora cancellato la capacità di sognare.
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lunedì 22 marzo 2010
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