domenica 13 febbraio 2011

La guerra di Spagna

Quando ha lasciato l’Ajax per la Spagna, Johan Cruijff ha scelto il Barcellona rispetto al Real Madrid in quanto “non avrei mai potuto giocare per una squadra associata a Franco”. Quando nel Clàsico de la Verguenza (il Classico della vergogna) dagli spalti del Camp Nou sono piovute sulla testa di Luis Figo bottiglie di whisky, monete e una testa di maiale, l’allora presidente del Barcellona Joan Gaspart ha accusato il portoghese, ex blaugrana passato alle merengues, di essersi incaricato di battere tutti i calci d’angolo allo scopo di provocare i tifosi. Nel suo libro “Camì d’Itaca” edito nel 2006, l’ex difensore del Barcellona Presas Oleguer ha introdotto un paragrafo nel seguente modo: “Quando Carrero Blanco vinse la gara di salto in alto […]”. L’ammiraglio Blanco, braccio destro di Franco lungo tutto il periodo della dittatura, venne fatto esplodere da 100 chili di esplosivo che sbalzarono la sua auto ad oltre 30 metri di altezza.

Tre esempi, ma avrebbero potuto essere un centinaio, di ciò che il giornalista inglese Phil Ball ha definito con il termine di morbo nel suo (fondamentale) libro sulla storia del calcio spagnolo, intitolato appunto “Morbo”. Una parola intraducibile per indicare una rivalità che trascende l’aspetto sportivo affondando le proprie radici nella storia, nella cultura e nei costumi di un paese. In poche parole, Real Madrid contro Barcellona. Castiglia contro Catalogna. Potere centrale contro autonomia locale. Monarchia contro Repubblica. Madrid, ovvero il cuore dello stato, il centro – geografico e simbolico – dell’intera Spagna. Barcellona, la culla di tutte le idee radicali e progressiste prodotte tra ‘800 e ‘900: sindacalismo, federalismo, anarchismo, comunismo.

La guerra civile spagnola (1936-39) e la successiva dittatura del caudillo Francisco Franco (1939-1975) hanno trasformato una sana rivalità di campanile in morbo. La polarizzazione tra le due società, ed i rispettivi tifosi, ha raggiunto un tale punto di non ritorno da rendere estremamente difficile tracciare il confine tra realtà e ipotesi di complotto che sfiorano la paranoia. Secondo l’ottica madridista il Real Madrid è stato più utile a Franco che non viceversa; secondo il barcellonismo i bianchi della capitale non erano altro che una versione ante litteram della Dinamo Berlino, la squadra della Stasi nella Germania Est.

Il regime di Franco non tollerava alcun impulso autonomista. L’utilizzo di lingue quali il basco e il catalano venne proibito. Era vietato registrare i bambini con un nome basco o catalano (proprio in opposizione a tale regola Cruijff chiamò suo figlio Jordi), nonché parlare queste lingue, pena la tortura e la prigione. E’ innegabile che per il Barcellona e la sua gente l’atmosfera non era delle migliori. Diversi episodi legati al Real Madrid rimangono oscuri. Nel 1943 i blancos battono nella semifinale di Copa del Rey il Barcellona 11-1, dopo che l’andata si era conclusa 3-0 per i catalani. Si è parlato di minacce ai giocatori blaugrana da parte del responsabile della sicurezza nazionale nel pre-partita. Nel 1953 il Real si inserisce in maniera poco limpida nella trattativa tra Barcellona e River Plate per l’acquisto di Alfredo Di Stefano, dando vita ad un contenzioso con la società blaugrana che la Federcalcio spagnola risolve con una salomonica, ma poco credibile, decisione: il giocatore giocherà per entrambi i club, un anno a testa. Il Barcellona rifiuta l’accordo, e Di Stefano prende la via di Madrid.

Nel 1969, nel corso di un Clàsico valevole per i quarti di finale della Copa del Generalissimo (così era stata ribattezzata la coppa nazionale durante l’era Franco), l’arbitro Emilio Guruceta fischia un rigore per il Real Madrid nonostante il fallo fosse stato commesso un metro fuori area. Il Barça, sconfitto 2-0 all’andata, stava conducendo 1-0. Il Camp Nou erutta fuoco e fiamme. Diversi blaugrana abbandonano il campo, e solo l’intervento del tecnico Vic Buckingham li convince a rientrare. A due minuti dal termine l’incontro viene sospeso per invasione di campo da parte dei tifosi catalani. La terna arbitrale viene assediata negli spogliatoi prima di uscire dallo stadio sotto scorta. Guruceta verrà sospeso sei giornate per non aver portato a termine la partita. Il Real vincerà la coppa. Per il Barcellona l’episodio rappresenta la prova lampante che gli arbitri sono al soldo di Madrid. La questione si riapre nel 1997, quando il presidente dell’Anderlecht Constant Vanden Stock ammette di aver corrotto Guruceta in un incontro di Coppa Uefa. Riguardo a quel Clàsico però non è mai stata trovata alcuna prova.

Franco in realtà tifava Atletico Aviación (così si chiamava all’epoca l’Atletico Madrid), club molto vicino agli ambienti che si erano sollevati contro la Repubblica di Spagna. La definizione del Real quale “animale domestico della dittatura”, ad opera di Jimmy Burns nell’ultra-fazioso “Barça: a people’s passion”, trova scarso riscontro nelle statistiche. Durante il franchismo il Barcellona ha vinto otto titoli nazionali, con una doppietta campionato-coppa nella stagione 58-59 sotto la guida di Helenio Herrera. Inoltre, nei primi anni Cinquanta, i catalani hanno centrato i seguenti piazzamenti: primo-primo-secondo-secondo-secondo. Tra il 1932 e il 1954 invece il Real Madrid ha messo in bacheca la miseria di tre coppe nazionali. Poi è arrivato un certo Di Stefano, con alle spalle uno squadrone tra i migliori mai visti in Europa. I ripetuti successi in Coppa Campioni hanno indubbiamente aiutato l’immagine di Franco, alle prese negli anni Cinquanta con una Spagna in condizioni economiche disastrose a causa dei mancati aiuti del Piano Marshall. Il regime infatti, pur essendo rimasto neutrale durante la seconda guerra mondiale, non aveva mai nascosto le proprie simpatie per Adolf Hitler e le potenze dell’Asse.

Il Barcellona è stata la prima squadra ad eliminare il Real Madrid dalla Coppa dei Campioni. Dopo aver perso in semifinale nel 1959 (doppio 3-1 per le merengues), i catalani si sono vendicati nell’edizione successiva: 2-2 al Santiago Bernabeu, con l’inglese Arthur Ellis che assegna un rigore al Barça nonostante la bandiera alzata del guardalinee a segnalare il fuorigioco del brasiliano Evaristo, che poi avrebbe subito il fallo; 2-1 al Camp Nou, con un altro inglese, Reg Leaf, capace di annullare quattro reti, tre delle quali al Real. Un dettaglio per il barcellonismo, anzi, l’ulteriore prova che senza arbitri spagnoli il Real Madrid è molto più vulnerabile. Tipico di ogni dietrologia: gli errori in buonafede sono solo quelli a favore della propria squadra.

Talvolta il morbo colpisce la memoria. Tutti a Barcellona ricordano Josep Sunyol, presidente del Barcellona ucciso dalle milizie franchiste durante la guerra civile. Nessuna citazione invece per Antonio Ortega, presidente del Real Madrid sul finire degli anni Trenta, ex colonnello dell’esercito repubblicano, imprigionato durante il regime e inghiottito per sempre nel nulla. Per contro a Madrid tocca leggere pubblicazioni quali Historia del Fútbol Español, prodotta dal magazine destrorso Epoca, dove il Barcellona finalista di Coppa Campioni 1960 viene rinchiuso in un minuscolo box, un piccolo intruso tra pagine e pagine di magniloquenti celebrazioni dei successi madridisti. Quasi non fosse una notizia particolarmente degna di nota per il calcio spagnolo.
No, Real Madrid-Barcellona non è un derby. E’ molto di più.

Fonte: Guerin Sportivo

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