Un signor Rossi in salsa oranje, il ct olandese Bert van Marwijk. Viso da pacioso e sereno uomo di mezza età, elegante, sobrio, modi educati. Quel tipo di persone che si possono incontrare ovunque, dietro ad uno sportello in banca, alla guida di un autobus oppure in un negozio di lingerie del centro, e delle quali ci si dimentica un secondo dopo averle salutate. Per Lambertus (Bert) van Marwijk non sarà così. In un mondo come quello del calcio popolato da professori, santoni, polemisti e tuttologi, questa volta sotto i riflettori è finito l’uomo comune. E rischia pure di vincere il Mondiale.
Naturalmente Van Marwijk non è commissario tecnico della nazionale olandese per caso, né tantomeno il classico uomo di paglia messo sulla panchina con il solo compito di non disturbare i galli nel pollaio. Quest’ultima una specie che ha sempre proliferato nello spogliatoio oranje, causando non pochi danni. E allora serviva un uomo d’ordine, un pompiere capace di spegnere sul nascere i fuochi delle liti interne, un mediatore abile nello smorzare i toni e allentare la pressione. Ma serviva anche un allenatore capace di plasmare una gruppo pieno di talento in una squadra solida ed equilibrata. Missione compiuta, senza troppi fronzoli.
Se Josè Mourinho è considerato una manna per i giornalisti, Van Marwijk ne rappresenta un vero e proprio incubo. Mai una polemica o una parola sopra le righe, atteggiamenti sempre cordiali e conferenze stampa spesso ai limiti della noia. Hanno provato ad attaccarlo sulla convocazione di Mark van Bommel, il marito di sua figlia Andra, e sull’esclusione di Ruud van Nistelrooy; lo hanno stuzzicato sui pessimi rapporti che intercorrono tra Wesley Sneijder e Robin van Persie; hanno parlato dell’Olanda come di una squadra che gioca solo di rimessa, un’eresia nella patria del calcio totale. Van Marwijk non si è mai scomposto. Le risposte le ha fornite il campo: 24 partite consecutive senza sconfitte, nove vittorie negli ultimi nove incontri, semifinale ai Mondiali dopo aver messo ko il Brasile per la prima volta dal 1974.
Eppure il curriculum vitae dell’attuale ct dei tulipani non forniva propriamente l’identikit ideale per un candidato alla panchina di una delle prime nazionali al mondo. Da giocatore Van Marwijk era un’ala sinistra di medio livello che aveva speso tutta la propria carriera in provincia, togliendosi però la soddisfazione di aver vestito, anche se solo per 45 minuti, la maglia della nazionale olandese, in un’amichevole a Belgrado nel maggio del ’75 persa 3-0 contro la Jugoslavia. Da allenatore la musica è cambiata poco: tanta gavetta in provincia, l’acuto della Coppa Uefa vinta nel 2002 con il Feyenoord, un’esperienza poco felice in Bundesliga in un Borussia Dortmund sommerso dai debiti, e poco altro (una coppa d’Olanda nel 2008, sempre con il Feyenoord).
L’Olanda del suo predecessore, Marco van Basten, era tutta chiacchiere e distintivo, un giorno fuoco e fiamme (3-0 all’Italia e 4-1 alla Francia a Euro 2008) e quello successivo petardi bagnati (il ko contro la Russia nei quarti del medesimo torneo); con Van Marwijk la forma è stata messa al servizio della sostanza. Perché dietro ai Robben e agli Sneijder, i veri protagonisti del mondiale in maglia arancione si chiamano Stekelenburg, Van Bommel, De Jong e Kuijt; un portiere, due mediani e il giocatore meno talentuoso, insuperabile però per spirito di sacrificio e gioco di squadra, del reparto offensivo. La classe media in paradiso. Questo è il segreto, e il calcio, di Bert van Marwijk. Il Normal One che ha saputo mettere in riga una squadra di speciali.
Fonte: Il Giornale
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