mercoledì 3 febbraio 2010

Con Gedo

Più esperti del Ghana, più tecnici dell’Algeria, più strutturati di Nigeria e Camerun, più umili della Costa d’Avorio. L’Egitto campione d’Africa per la terza volta consecutiva, la settima in totale, ha vinto sotto tutti i punti di vista. La miglior squadra, dotata del maggior numero di giocatori capaci di costituire per il collettivo un valore aggiunto. Quello che i vari Eto’o, Drogba e Obi Mikel non sono riusciti a fare. Il tecnico dei Faraoni Hassan Shehata ha compiuto l’ennesimo capolavoro, reso ancora più difficile questa volta dall’assenza di due pezzi da novanta della sua nazionale quali Zaki e, soprattutto, Aboutrika, entrambi infortunati. In copertina ci è finito Gedo con i suoi 5 gol (l’ultimo dei quali ha deciso la finale), tutti realizzati da subentrato. Ma la palma del miglior giocatore del torneo la merita Ahmed Hassan, splendido 34enne dalle lucide geometrie, alle quali unisce corsa, grinta e tanto carisma. Giunto con tutta probabilità all’ultimo atto della sua carriera con l’Egitto, Hassan, interno destro nella mediana a cinque di Shehata, aveva rischiato di chiudere la sua avventura nel peggiore dei modi quando, nei quarti di finale, una sua autorete di testa aveva portato in vantaggio il Camerun. Ma è stato proprio lui a pareggiare i conti con una botta dalla distanza, per poi ripetersi nei supplementari e fissare, grazie anche a Gedo, il punteggio sul definitivo 3-1.
Equilibrio, organizzazione, varietà di soluzioni: queste le armi dell’Egitto. Senza il bulldozer Zaki davanti si sono alternati, in fase realizzativa, Meteeb e Zidan; meglio il primo nella fase a gironi, uscito alla distanza il talento dell’Amburgo, un solo gol, però splendido, in semifinale contro l’Algeria. In difesa Gomaa e Said hanno fatto valere tutta la loro esperienza, permettendo al numero uno El-Hadary di non ripetere le prestazioni monstre del 2008. Non le ha ripetute nemmeno uno stranamente spento Hosny, due anni fa miglior giocatore della manifestazione e oggi tra i meno brillanti della compagine. L’Egitto ha sofferto le squadre chiuse e impostate ad agire di rimessa; l’Algeria della prima mezz’ora in semifinale (vinta 4-0, ma è stato necessario un rigore generosissimo per sbrogliare la matassa), il Ghana finalista. I Faraoni però sono sempre riusciti ad imporsi con il cinismo della grande squadra.
Capitolo Ghana. Gli uomini di Rajevac meritano solo applausi. Si sono presentati ai blocchi di partenza falcidiati dalle defezioni, hanno perso subito il loro elemento migliore (Essien) eppure si sono guadagnati la finale con prestazioni di rara maturità ed efficacia, pur se esteticamente tutt’altro che esaltanti. Ma per una squadra imbottita, nell’undici titolare, di giocatori classe 88, 89 e 90, questo basta e avanza. I migliori sono stati proprio i baby: Agyemang Badu davanti alla difesa, Kwadwo Asamoah a cavallo tra la mediana e l’attacco, Samuel Inkoom sull’out destro, Andrè Ayew qualche metro più avanti. Asamoah Gyan ha invece messo più di una pezza sulla mancanza di un bomber da area di rigore del Ghana, un difetto ormai cronico pagato a caro prezzo in finale. Evidentemente né Adiyiah né Osei, a differenza di alcuni loro coetanei, sono ritenuti pronti dal ct a vestire la maglia da titolare. Se ne riparlerà in Sudafrica.
Uscendo dalla cerchia delle finaliste, Angola 2010 si farà ricordare per l’eccellente Peter Odemwingie (Nigeria), una seconda punta coi fiocchi; per le accelerazioni di Christopher e Felix Katongo, il cui Zambia ha dovuto arrendersi immeritatamente alla Nigeria nei quarti solo dopo i rigori; per l’ottimo Gabon messo in campo da Alain Giresse nell’esordio contro il Camerun (una lezione di tattica al connazionale Paul Le Guen); per il muro difensivo dell’Algeria, squadra ad una sola dimensione, sufficiente però per arrivare in semifinale pur priva di una punta degna di questo nome (quale, senza scomodare nomi di primissimo piano, l’angolano Flavio o lo zambiano Jacob Mulenga); per l’emozionante rimonta del Mali contro l’Angola, da 0-4 a 4-4 negli ultimi dodici minuti; per l’approccio mostrato dal Mozambico del tecnico olandese Nooij, coraggioso nell’affrontare un torneo al di sopra delle proprie possibilità giocando un calcio veloce fatto di sovrapposizioni, verticalizzazioni e tanta circolazione di palla. La difesa imbarazzante e la tecnica approssimativa degli interpreti erano però limiti invalicabili.

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