venerdì 14 gennaio 2011

La tela del ragno

Dossier sulla calciopoli belga pubblicato sul trimestrale "Linea Bianca" (parte 2/4)

Normalmente l’importo scommesso su una partita del campionato belga di Jupiler League si aggira attorno 30-50mila euro. Su Sint Truiden-La Louviere del 29 ottobre 2005 l’agenzia inglese di scommesse Betfair rileva invece puntate per oltre 500mila euro. La settimana dopo, per la trasferta del Sint Truiden in casa del Cercle Brugge, le cifre superano i 250mila euro. Tom van der Weghe, giornalista della citata trasmissione televisiva Panorama, vola a Londra per parlare direttamente con Betfair, quindi chiede e ottiene il permesso di recarsi a Shangai. Ufficialmente in Cina le scommesse sono illegali. Per evitare guai con la legge, molte società di betting sono registrate a Honk Kong, Macao o Londra, ma riescono ad operare tranquillamente anche a Pechino e dintorni perché altre sono le priorità della polizia e, di conseguenza, la ricerca delle agenzie di scommesse illegali non è propriamente in cima alla lista delle priorità del governo cinese. Anche perché, secondo quanto scritto dal giornalista sportivo Yang Ming nel suo libro “Fischietti Neri”, dedicato al ruolo ricoperto dall’industria illegale delle scommesse sul calcio in Cina, il giro di soldi generato da questo mercato si attesta attorno ai 15 miliardi di dollari. Una parte dei quali restano in Cina, mentre il resto viene investito sul mercato europeo per aggiustare le partite. Il sistema non è particolarmente complesso. Si individua un club di fascia medio-bassa, meglio se in un campionato di secondo piano, e lo si alletta proponendogli iniezioni di denaro fresco. Se il club si trova finanziariamente alla canna del gas si procede a rilevarlo, generalmente mediante fantomatiche cordate capitanate da uomini di paglia; in caso contrario si chiedono precise garanzie alla dirigenza del club, vincolando il denaro all’inserimento nell’organigramma societario di qualche pedina chiave: un direttore tecnico, un manager, un allenatore. Il passo successivo è l’individuazione degli anelli deboli all’interno della squadra. Un giocatore che ha problemi finanziari, uno che usa abitualmente cocaina, oppure che mantiene un tenore di vita superiore a quei 75-90mila euro garantiti in media da una società belga di non primissimo piano. 15-20mila euro rappresentano un incentivo più che sufficiente per convincere il soggetto a soddisfare i desideri dei suoi nuovi “amici”. Gli ordini arrivano via sms, mediante incontri privati in qualche stanza d’albergo, o tramite i famigerati pizzini.
E’ un foglietto di carta marrone quello che Cliff Mardulier stringe nella mano in un privè del disco-dancing La Roca di Lier. Gli era stato consegnato direttamente da Zheung Ye in una camera d’albergo dell’Astrid Park Plaza Hotel di Anversa, dove il giocatore era stato ricevuto assieme ai compagni di squadra Laurent Fassotte e Laurent Delorge. Quella sera di fronte a lui è invece seduto il suo allenatore, Paul Put. Aprile 2005, il Lierse è atteso da una trasferta a Genk. E deve perdere. Solo così può arrivare il denaro che Ye, il nuovo investitore del club, ha promesso a dirigenza e allenatore.
«Mister, ci ho pensato tutta notte. Non me la sento di fare una papera di proposito. Non può chiedermi questo».
«Cliff, ti ho forse parlato di fare una papera? »
«Mi ha detto quanti saranno i palloni che andrò a raccogliere in fondo alla rete durante la partita. Sono le sue parole».
«Certo, perché so che andrà così. Ma tu Cliff non devi preoccuparti. Devi solo lasciar fare. Sono nove i giocatori che sono stati comprati. Nove».
In quell’incontro con il Genk il tecnico Paul Put manderà in campo la squadra riserve. Lo stesso farà Albert Cartier, allenatore del La Louviere, nella medesima trasferta nell’ex città mineraria. Se nel Lierse Ye si presenta come investitore, nel La Louviere è invece l’autentico uomo ombra di una società completamente controllata dai suoi sodali. Ci sono Denis e Allatta, c’è il manager Chris Benoit, ci sono allenatori (prima Cartier, poi Gilbert Bodart) scelti non certamente per le proprie idee calcistiche all’avanguardia. Sono sette gli incontri truccati dal La Louviere tra la stagione 2004/2005 e quella successiva. O meglio, sette sono gli incontri nei quali sono state trovate le prove del tarocco. A questi si aggiungono le partite falsate dal Lierse, il cui ex allenatore Put ha ammesso in sede giudiziaria le proprie colpe. Uno dei pochi rei confessi dell’intera vicenda. L’esempio di Put non è stato seguito da Bodart, personaggio conosciuto anche in Italia per aver giocato come portiere con Brescia e Ravenna. Licenziato nel 2005 dall’Ostenda in quanto sospettato di scommettere sulle partite della propria squadra, lo scandalo La Louviere lo ha solo sfiorato. La tattica del “non so niente, non ho visto né sentito niente e, se ero presente, dormivo” ha pagato, nonostante durante la bufera sia stato scaricato dall’avvocato Denis.
«Sono l’avvocato del La Louviere, non dei suoi dipendenti».
«Signor Denis, ma alcuni di questi dipendenti -chiamiamoli così- sono implicati in faccende delle quali il club che lei difende, e quindi i suoi proprietari, non poteva non sapere».
«Signori, se vengo fotografato seduto vicino al papa non implica automaticamente che io sia un prete. E delle azioni personali del signor Bodart il La Louviere non è assolutamente responsabile».
L’appuntamento con la galera per Bodart era comunque solo rinviato. Un anno e mezzo dopo l’ex giocatore viene arrestato con l’accusa di essere l’informatore di un gruppo di rapinatori penetrati nelle Grotte di Han, una delle maggiori attrazione turistiche dell’intero Belgio. Bodart, lasciato il calcio dopo un’ultima dimenticabile esperienza sulla panchina del Wevelgem City, aveva trovato un impiego presso il citato complesso speleologico, sito nelle Ardenne nei pressi del villaggio di Han-sur-Lesse. Il lupo insomma perde il pelo ma non il vizio.

(2-continua)

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