Calcisticamente parlando, gli italiani sono maestri in tante cose. Nel vincere i Mondiali, ad esempio, ma anche nel creare fenomeni di carta da agitare come spauracchio alla vigilia di ogni grande kermesse internazionale. Molti ricordano alla vigilia di Giappone/Corea 2002 il terzino destro dell’Ecuador Ulises De La Cruz, dipinto come una versione potenziata di Cafu. Oppure l’attaccante norvegese Tore Andre Flo a Francia 98, apparentemente un incrocio da Van Basten e Rummenigge, tanto da meritarsi (ma solo in Italia) il soprannome di “Flonaldo”. Oggi sembra essere arrivato il turno di Shane Smeltz, l’elemento di spicco della Nuova Zelanda che affronterà gli Azzurri il prossimo 20 giugno. Uno status che l’attaccante degli All Whites ha raggiunto dopo aver mandato ko la Serbia in un’amichevole disputata lo scorso 29 maggio. Anche la Nuova Zelanda insomma fa paura. Ma forse si sta esagerando un poco.
Il miglior giocatore dei Kiwi, alla seconda partecipazione alla fase finale di un Mondiale dopo Spagna 1982, è un attaccante che in Inghilterra non è riuscito ad andare oltre la Football League Two, ovvero la quarta divisione. Si chiama Shane Smeltz, un ragazzone di un metro e 85 nato a Göppingen, in Germania, e da un paio d’anni il bomber più temuto di tutta l’Oceania. In Europa Smeltz ha vissuto la sua stagione migliore quattro anni fa nell’AFC Wimbledon, dove ha chiuso l’annata da capocannoniere con 26 gol. Piccola ma doverosa precisazione: la squadra militava nella Isthmian League Premier Division, vale a dire il settimo livello del calcio inglese. Tornato nell’emisfero australe, l’attaccante ha vinto due volte consecutivamente la Scarpa d’Oro della A-League australiana quale bomber del torneo, ed è anche risultato il miglior marcatore della Nuova Zelanda durante le qualificazioni con 8 gol. Gli avversari però si chiamavano Isole Figi, Vanuatu e Nuova Caledonia, non certo Brasile e Italia, anche se agli uomini di Lippi Smeltz un golletto è comunque riuscito a realizzarlo lo scorso anno nel 4-3 con cui gli Azzurri hanno sconfitto la Nuova Zelanda in amichevole.
Quell’incontro fu il triste preludio al naufragio dell’Italia in Confederations Cup, competizione che per contro ha visto i neozelandesi tornare a casa soddisfatti dopo aver conquistato il loro primo punto in assoluto in una competizione ufficiale FIFA. Lo Special One dei Kiwi risponde al nome di Ricki Herbert, ex nazionale presente nell’82 in terra iberica, che è riuscito nell’impresa di restituire competitività ad una selezione che solamente nel 2006 si era vista scavalcare nel girone di qualificazione ai mondiali addirittura dalle Isole Salomone. In un paese dove il calcio è solamente il quarto sport più popolare dietro a rugby, cricket e vela, Herbert ha portato allo stadio 35mila persone, record assoluto in Nuova Zelanda, in occasione del play-off contro il Bahrein.
Il percorso degli All Whites verso il Sudafrica è stato ovviamente agevolato dalla migrazione dell’Australia nella federazione asiatica. Non è però in discussione la capacità di Herbert di aver saputo estrarre, grazie ad uno stile di gioco che mischia fisicità e atletismo con un kick’n run di stampo britannico molto anni Ottanta, il meglio da un gruppo di onesti operai del pallone che sbarcano il lunario sparsi tra Australia, Stati Uniti, Danimarca, Scozia e Inghilterra, in quest’ultimo caso spesso nelle divisioni inferiori (capitan Ryan Nelsen, difensore del Blackburn Rovers, rappresenta l’eccezione).
Il calcio delle stelle e dei lustrini non dunque è di casa ad Auckland e dintorni, dove l’unica squadra interamente professionista, il Wellington Phoenix, che regala cinque elementi alla rosa Mondiale, milita nel campionato australiano. Con buoni risultati, alla luce delle semifinali dei play-off raggiunti lo scorso anno, miglior risultato di sempre per un club neozelandese. Anche sulla loro panchina siede Ricki Herbert, che un libro di recente pubblicazione ha ribattezzato The Kiwi Football Great. Attenzione pertanto a lui ed a Smeltz. Anche se, onestamente, l’Italia ha conosciuto pericoli ben maggiori.
Fonte: Il Giornale
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