15 titoli nazionali e 24 coppe d’Irlanda fanno dello Shamrock Rovers il club più titolato del paese. Otto stadi cambiati dal 1987 ad oggi sono invece valsi agli Hoops il sarcastico nomignolo di homeless d’Irlanda. Ovvero i senza tetto, costretti per un abbondante ventennio a mendicare ospitalità nei più svariati stadi di Dublino (RDS Arena, Santry Stadium, Richmond Park, Tolka Park e Dalymount Park), ma una volta anche a Cork, 240 chilometri dalla capitale, dopo che nel 1987 gli allora proprietari, la famiglia Kilcoyne, vendettero lo storico Glenmalure Park, attivo dal 1922, per ragioni squisitamente speculative.
La sollevazione popolare scaturita a Ringsend (il quartiere di Dublino dove è nato lo Shamrock) e dintorni, è stata il preludio ad un periodo caratterizzato più dalle dispute legali che dai successi in campo; nel 2002 un consorzio di tifosi, il 440 Club, ha preso il controllo della società salvandola dal fallimento grazie ad una sottoscrizione popolare che ha ripianato i debiti; nel 2009 è stato finalmente inaugurato il Tallaght Stadium, impianto da 5700 posti. Lo Shamrock Rovers, la cui maglia a strisce orizzontali verdi e bianche ricorda quella del Celtic Glasgow (ma in realtà la scelta della casacca è stata un omaggio ai cattolici nord-irlandesi del Belfast Celtic), è tornato così ad avere una casa.
La Juventus si troverà di fronte una squadra vigorosa e atleticamente rodata, dal momento che la League of Ireland è uno dei campionati che vengono disputati nell’anno solare, da marzo a novembre. Il pericolo maggiore per i bianconeri si chiama Gary Twigg, attaccante scozzese laureatosi capocannoniere e miglior giocatore del campionato irlandese nel 2009. Thomas Stewart, esterno sinistro nel diligente e attendista 4-5-1 schierato dal tecnico Micheal O’Neill in Europa, è invece l’autore della rete decisiva in Israele contro il Bnei Yehuda che ha permesso agli Hoops di passare il turno. Una qualificazione nella quale hanno rivestito un ruolo fondamentale anche il nazionale nord-irlandese Alan Mannus, autore tra i pali di almeno tre interventi decisivi.
mercoledì 28 luglio 2010
giovedì 22 luglio 2010
Super League 2010/2011: spunti iniziali
Cinque temi per la nuova stagione della Super League svizzera.
1. Chi fermerà il Basilea? I renani di Thorsten Fink restano la squadra da battere. Lo scorso anno riuscirono a vincere nonostante una partenza ad handicap a causa delle difficoltà di ambientamento del nuovo tecnico. Oggi invece, con il 3-2 allo Zurigo nell’esordio, i rossoblu hanno dimostrato di essere già a pieno regime. In rosa il Basilea annovera il miglior centrocampista del campionato (l’ivoriano Yapi, scippato ai rivali dello Young Boys), due punte (Frei e Streller) da venti gol a stagione, un portiere (Sommer) tra i più interessanti della Super League, un leader carismatico in mediana (Huggel) e una serie di giovani interessanti (Inkoom, Shaqiri, Stocker, Zoua). Una superiorità talmente manifesta che renderebbe l’eventuale mancata vittoria del titolo nazionale un’autentica impresa. Alla rovescia.
2. Paghi uno, perdi due. Uno dei principali colpi di mercato, se non addirittura quello più importante, lo ha messo a segno lo Young Boys prelevando dal San Gallo il classe 88 Moreno Costanzo. Ex ala riconvertita in numero 10, nella passata stagione Costanzo aveva colpito per la capacità di calarsi subito in un contesto importante come la Super League, dopo i positivi esordi nella serie cadetta elvetica. Peccato che lo Young Boys abbia nel frattempo perso due elementi chiave nel 3-4-3 di Vlado Petkovic: il già citato Yapi e l’attaccante ivoriano Doumbia, quest’ultimo passato al CSKA Mosca. I bernesi pertanto si collocano più vicini alla zona coppe europee, dove se la vedranno con i due club di Zurigo e il sempre temibile Lucerna della coppia Yakin-Ianu (peccato per la partenza di un Chiumiento fortemente deciso a ritentare l’avventura all’estero), piuttosto che a quella del titolo nazionale.
3. La legge di Constantin. Il presidente del Sion Christian Constantin è un signore pieno di grana abituato a fare ciò che vuole. Tanto, se qualcosa va male, può sempre permettersi di schierare uno stuolo di avvocati che, a suon di ricorsi, rimettono tutto a posto. Fece così qualche anno fa quando riuscì ad iscrivere il Sion alla Challenge League a ottobre (!!), ha replicato oggi. La Federazione svizzera blocca il mercato del Sion quale sanzione per le irregolarità nel trasferimento del nazionale egiziano El Hadary? Nessun problema, Constantin compra lo stesso e poi ricorre in tribunale. Ecco così alla prima giornata, sul campo del Bellinzona, i vallesani in campo con tutti i neo-acquisti: l’ex Ajax Ogararu, il centrale olandese Dingsdag, il mediano Lacerda (dallo Strasburgo). Curiosamente quest’anno il Sion sembra essere, sulla carta, di buon livello: le geometrie di Obradovic, il dinamismo di Zambrella, la solidità di Vanczak. Una squadra che può combinare qualcosa di interessante. Anche senza avvocati.
4. Volti nuovi. L’impronunciabile Kukuruzovic è un esterno destro classe 89 che ha rivestito un ruolo chiave nella promozione del Thun lo scorso anno. Lo ha prelevato lo Zurigo, sperando che riesca dove il prodotto locale Nikci ha finora fallito. Il Grasshoppers che per esigenze di bilancio è costretto a vendere quanto più possibile, non può che investire sui giovani. Il centrocampista destro Lang (87), arrivato dall’Aarau, è atteso al salto di qualità. Capocannoniere delle Challenge League 2009/2010 nel Vaduz, il tedesco Proschwitz (86) quest’anno dovrà garantire al Thun le reti salvezza. All’esordio, contro lo Young Boys, ha già timbrato il cartellino. Buon segno. Forte è anche l’attesa per l’attaccante camerunese Zoua (91), già scalpitante lo scorso anno nel Basilea alle spalle della coppia Frei-Streller.
5. Si salvi chi può. Mentre in Challenge League il Canton Ticino festeggia la contemporanea presenza di tre squadre (Chiasso, Locarno e Lugano), un gradino più sopra la posizione del Bellinzona scricchiola vistosamente. Già salvatosi lo scorso anno dopo un sofferto play-off contro il Lugano al termine di una stagione pessima, il club granata non ha apportato sostanziali modifiche ad una rosa di modesto spessore tecnico. Troppi elementi cardine sono over 30: Lustrinelli in attacco, Sermeter in cabina di regia (il 36enne rimane, sotto il profilo qualitativo, il miglior elemento della squadra), Edusei in mediana, il neo-acquisto Pergl dietro. In attesa della firma dell’ex Azzurro Diana. Il Bellinzona dovrà sostanzialmente fare la corsa su tre squadre: un San Gallo indebolito dal mercato, un grigio Neuchatel Xamax e la neopromossa Thun. Ma sarà dura.
1. Chi fermerà il Basilea? I renani di Thorsten Fink restano la squadra da battere. Lo scorso anno riuscirono a vincere nonostante una partenza ad handicap a causa delle difficoltà di ambientamento del nuovo tecnico. Oggi invece, con il 3-2 allo Zurigo nell’esordio, i rossoblu hanno dimostrato di essere già a pieno regime. In rosa il Basilea annovera il miglior centrocampista del campionato (l’ivoriano Yapi, scippato ai rivali dello Young Boys), due punte (Frei e Streller) da venti gol a stagione, un portiere (Sommer) tra i più interessanti della Super League, un leader carismatico in mediana (Huggel) e una serie di giovani interessanti (Inkoom, Shaqiri, Stocker, Zoua). Una superiorità talmente manifesta che renderebbe l’eventuale mancata vittoria del titolo nazionale un’autentica impresa. Alla rovescia.
2. Paghi uno, perdi due. Uno dei principali colpi di mercato, se non addirittura quello più importante, lo ha messo a segno lo Young Boys prelevando dal San Gallo il classe 88 Moreno Costanzo. Ex ala riconvertita in numero 10, nella passata stagione Costanzo aveva colpito per la capacità di calarsi subito in un contesto importante come la Super League, dopo i positivi esordi nella serie cadetta elvetica. Peccato che lo Young Boys abbia nel frattempo perso due elementi chiave nel 3-4-3 di Vlado Petkovic: il già citato Yapi e l’attaccante ivoriano Doumbia, quest’ultimo passato al CSKA Mosca. I bernesi pertanto si collocano più vicini alla zona coppe europee, dove se la vedranno con i due club di Zurigo e il sempre temibile Lucerna della coppia Yakin-Ianu (peccato per la partenza di un Chiumiento fortemente deciso a ritentare l’avventura all’estero), piuttosto che a quella del titolo nazionale.
3. La legge di Constantin. Il presidente del Sion Christian Constantin è un signore pieno di grana abituato a fare ciò che vuole. Tanto, se qualcosa va male, può sempre permettersi di schierare uno stuolo di avvocati che, a suon di ricorsi, rimettono tutto a posto. Fece così qualche anno fa quando riuscì ad iscrivere il Sion alla Challenge League a ottobre (!!), ha replicato oggi. La Federazione svizzera blocca il mercato del Sion quale sanzione per le irregolarità nel trasferimento del nazionale egiziano El Hadary? Nessun problema, Constantin compra lo stesso e poi ricorre in tribunale. Ecco così alla prima giornata, sul campo del Bellinzona, i vallesani in campo con tutti i neo-acquisti: l’ex Ajax Ogararu, il centrale olandese Dingsdag, il mediano Lacerda (dallo Strasburgo). Curiosamente quest’anno il Sion sembra essere, sulla carta, di buon livello: le geometrie di Obradovic, il dinamismo di Zambrella, la solidità di Vanczak. Una squadra che può combinare qualcosa di interessante. Anche senza avvocati.
4. Volti nuovi. L’impronunciabile Kukuruzovic è un esterno destro classe 89 che ha rivestito un ruolo chiave nella promozione del Thun lo scorso anno. Lo ha prelevato lo Zurigo, sperando che riesca dove il prodotto locale Nikci ha finora fallito. Il Grasshoppers che per esigenze di bilancio è costretto a vendere quanto più possibile, non può che investire sui giovani. Il centrocampista destro Lang (87), arrivato dall’Aarau, è atteso al salto di qualità. Capocannoniere delle Challenge League 2009/2010 nel Vaduz, il tedesco Proschwitz (86) quest’anno dovrà garantire al Thun le reti salvezza. All’esordio, contro lo Young Boys, ha già timbrato il cartellino. Buon segno. Forte è anche l’attesa per l’attaccante camerunese Zoua (91), già scalpitante lo scorso anno nel Basilea alle spalle della coppia Frei-Streller.
5. Si salvi chi può. Mentre in Challenge League il Canton Ticino festeggia la contemporanea presenza di tre squadre (Chiasso, Locarno e Lugano), un gradino più sopra la posizione del Bellinzona scricchiola vistosamente. Già salvatosi lo scorso anno dopo un sofferto play-off contro il Lugano al termine di una stagione pessima, il club granata non ha apportato sostanziali modifiche ad una rosa di modesto spessore tecnico. Troppi elementi cardine sono over 30: Lustrinelli in attacco, Sermeter in cabina di regia (il 36enne rimane, sotto il profilo qualitativo, il miglior elemento della squadra), Edusei in mediana, il neo-acquisto Pergl dietro. In attesa della firma dell’ex Azzurro Diana. Il Bellinzona dovrà sostanzialmente fare la corsa su tre squadre: un San Gallo indebolito dal mercato, un grigio Neuchatel Xamax e la neopromossa Thun. Ma sarà dura.
mercoledì 21 luglio 2010
In tasca ai procuratori finiscono 200 milioni l'anno
Il terzino del Manchester United Gary Neville è stato uno dei primi ad aprire il fuoco contro di loro. “Let’s kick’em out”, disse il 16 febbraio 2007. Cacciamoli fuori. Il bersaglio erano i procuratori, i nuovi padroni di un calcio consegnatosi senza colpo ferire nelle mani delle televisioni. E’ un universo sfaccettato e complesso quello degli agenti di calcio; c’è il professionista serio, il faccendiere, l’esibizionista, il tessitore occulto, l’amico degli amici. Un mondo intricato che gravita attorno a quella gallina dalle uova d’oro che è diventato il calcio dalla metà degli anni Novanta. Un mondo spesso oscuro, poco decifrabile dai non addetti ai lavori, che trae vantaggio dal pressoché completo vuoto normativo della materia. E’ questa la molla che ha spinto la Commissione Europea, all’inizio dello scorso anno, ad aprire un’inchiesta sui procuratori sportivi all’interno della UE. Chi Sono? Quanti sono? Quanto guadagnano? Le risposte sono contenute in un dossier di 300 pagine che gli uomini di Bruxelles hanno appena reso pubblico. Con risultati sconcertanti.
Nei soli paesi dell’Unione Europea il numero dei procuratori sportivi legalmente riconosciuti (ovvero in possesso di regolare licenza FIFA) ammonta a 3.575, dei quali quasi tremila sono attivi nel mondo del calcio. Francia e Inghilterra primeggiano nel numero di agenti dei cosiddetti “altri sport” (rispettivamente 187 e 131), mentre riguardo al calcio la palma d’oro spetta all’Italia, che di procuratori ne annovera ben 563, per una media di un agente ogni sei giocatori (considerati quelli dalla Serie A alla Seconda Divisione di Lega Pro). Tanti procuratori, scarsissimo spirito corporativo; in Italia l’89% degli agenti possiede una propria società. In Inghilterra la cifra si abbassa al 70%, in Germania al 19%, in Spagna addirittura all’8%. In totale nell’intera comunità europea meno di un terzo dei procuratori è affiliata ad un’associazione di agenti. Un capitolo a parte lo meritano invece gli agenti senza licenza; la Commissione Europea ne ha stimati 837, alcuni dei quali operanti nel calcio di altissimo livello. Ne è un esempio il caso di John Terry.
L’azienda calcio è una macchina da soldi. 200 milioni di euro è la cifra, stimata per difetto dalla Commissione Europea, che finisce ogni anno nelle tasche dei procuratori, con o senza licenza. L’indiscusso leader del mercato è il portoghese Jorge Mendes, il procuratore di Josè Mourinho, Cristiano Ronaldo e Deco. La sua azienda, la Gestifute, possiede un valore di mercato stimato attorno ai 435 milioni di euro. Ogni area geografica ha il suo padrone: in Spagna c’è Gines Carnaval; in Inghilterra (ma anche in Russia ed Ucraina) il controverso Pini Zahavi; in Germania Roger Wittman; in Argentina Fernando Hidalgo; in Uruguay Francisco “Paco” Casal; nell’Europa centrale gli austriaci della Stars & Friends GmbH; in Scandinavia Karsten Aabrink, che conduce anche un programma sportivo alla domenica sera sull’emittente TV3. Quando si dice non farsi mancare niente dalla vita.
Cosa c’è alla base della sproporzione numerica tra i procuratori calcistici e quelli degli altri sport? La risposta è fin troppo semplice: gli introiti. Il salario di uno dei primi varia da un minimo di 13.000 ad un massimo di 3.750.000 euro, per una media di 1.881.500 euro all’anno. Ovvero quattro volte tanto quella di un agente del basket NBA (410.000), cinque volte quella di uno dell’automobilismo (325.000), ben dieci volte quella di uno del ciclismo (184.000) e del tennis (172.500). Solo i procuratori della boxe negli Stati Uniti si avvicinano ai colleghi del dorato mondo pallonaro grazie ad un guadagno medio di 1.022.500. Dal punto di vista dei guadagni minimi però solo l’atletica (6.000) è inferiore al calcio (i già citati 13.000); un segno della concorrenza feroce e del livello di saturazione dell’ambiente.
“Il potere sempre crescente acquisito dai procuratori”, commenta Thomas Lindrup, presidente dell’Associazione Calciatori danese, “non è imputabile solo alle cattive politiche gestionali di molti club, ma anche agli stessi giocatori. Molti dei quali, troppo giovani o semplicemente troppo pigri, tendono a delegare ogni aspetto della loro vita professionale ad un'altra persona. Ben vengano pertanto le azioni intraprese da Bruxelles”. L’obiettivo dell’inchiesta condotta dalla Comunità Europea è quello di costituire una base di partenza per una regolamentazione del settore, già auspicata dalla ECA (European Clubs Association) e da numerosi addetti ai lavori. Niente cacciata dei mercanti dal tempo, come si augurava il buon Neville; solo un po’ di salutare pulizia nella giungla del pallone.
Fonte: Il Giornale
Nei soli paesi dell’Unione Europea il numero dei procuratori sportivi legalmente riconosciuti (ovvero in possesso di regolare licenza FIFA) ammonta a 3.575, dei quali quasi tremila sono attivi nel mondo del calcio. Francia e Inghilterra primeggiano nel numero di agenti dei cosiddetti “altri sport” (rispettivamente 187 e 131), mentre riguardo al calcio la palma d’oro spetta all’Italia, che di procuratori ne annovera ben 563, per una media di un agente ogni sei giocatori (considerati quelli dalla Serie A alla Seconda Divisione di Lega Pro). Tanti procuratori, scarsissimo spirito corporativo; in Italia l’89% degli agenti possiede una propria società. In Inghilterra la cifra si abbassa al 70%, in Germania al 19%, in Spagna addirittura all’8%. In totale nell’intera comunità europea meno di un terzo dei procuratori è affiliata ad un’associazione di agenti. Un capitolo a parte lo meritano invece gli agenti senza licenza; la Commissione Europea ne ha stimati 837, alcuni dei quali operanti nel calcio di altissimo livello. Ne è un esempio il caso di John Terry.
L’azienda calcio è una macchina da soldi. 200 milioni di euro è la cifra, stimata per difetto dalla Commissione Europea, che finisce ogni anno nelle tasche dei procuratori, con o senza licenza. L’indiscusso leader del mercato è il portoghese Jorge Mendes, il procuratore di Josè Mourinho, Cristiano Ronaldo e Deco. La sua azienda, la Gestifute, possiede un valore di mercato stimato attorno ai 435 milioni di euro. Ogni area geografica ha il suo padrone: in Spagna c’è Gines Carnaval; in Inghilterra (ma anche in Russia ed Ucraina) il controverso Pini Zahavi; in Germania Roger Wittman; in Argentina Fernando Hidalgo; in Uruguay Francisco “Paco” Casal; nell’Europa centrale gli austriaci della Stars & Friends GmbH; in Scandinavia Karsten Aabrink, che conduce anche un programma sportivo alla domenica sera sull’emittente TV3. Quando si dice non farsi mancare niente dalla vita.
Cosa c’è alla base della sproporzione numerica tra i procuratori calcistici e quelli degli altri sport? La risposta è fin troppo semplice: gli introiti. Il salario di uno dei primi varia da un minimo di 13.000 ad un massimo di 3.750.000 euro, per una media di 1.881.500 euro all’anno. Ovvero quattro volte tanto quella di un agente del basket NBA (410.000), cinque volte quella di uno dell’automobilismo (325.000), ben dieci volte quella di uno del ciclismo (184.000) e del tennis (172.500). Solo i procuratori della boxe negli Stati Uniti si avvicinano ai colleghi del dorato mondo pallonaro grazie ad un guadagno medio di 1.022.500. Dal punto di vista dei guadagni minimi però solo l’atletica (6.000) è inferiore al calcio (i già citati 13.000); un segno della concorrenza feroce e del livello di saturazione dell’ambiente.
“Il potere sempre crescente acquisito dai procuratori”, commenta Thomas Lindrup, presidente dell’Associazione Calciatori danese, “non è imputabile solo alle cattive politiche gestionali di molti club, ma anche agli stessi giocatori. Molti dei quali, troppo giovani o semplicemente troppo pigri, tendono a delegare ogni aspetto della loro vita professionale ad un'altra persona. Ben vengano pertanto le azioni intraprese da Bruxelles”. L’obiettivo dell’inchiesta condotta dalla Comunità Europea è quello di costituire una base di partenza per una regolamentazione del settore, già auspicata dalla ECA (European Clubs Association) e da numerosi addetti ai lavori. Niente cacciata dei mercanti dal tempo, come si augurava il buon Neville; solo un po’ di salutare pulizia nella giungla del pallone.
Fonte: Il Giornale
martedì 20 luglio 2010
Switzerland focusing on Euro 2012 qualification
At the World Cup, Switzerland earned the distinction of being the only side able to score a goal against tournament winners Spain – although perhaps Gelson Fernandes’ shot should have been ruled out due to a foul. Maybe Swiss supporters allowed their expectations to soar too high after that win, as missing qualification for the last 16 was widely viewed as a failure in the Alpine country. And the result which placed the most criticism on the team was, understandably, Switzerland’s 0-0 draw with the weakest side in the group, Honduras.
However, now is the time for the Nati to forget about South Africa and stop regretting a missed opportunity. The country’s Super League is set to begin at the end of the week, and then on the 11th August the national team will return to action, taking part in a friendly against Austria in Klagenfurt. On 3rd September, Switzerland will line up against Australia at St. Gallen’s AFG Arena, before beginning their Euro 2012 qualifying campaign just four days later, against England. Hosting the English in Basel, who also have something to prove after the World Cup, will be tough. The Swiss also have Bulgaria, Wales and Montenegro in Group G.
Switzerland have though, been handed a boost. Coach Ottmar Hitzfeld was widely linked with taking over the German national team, but Joachim Loew extended his contract, leaving the former Bayern Munich boss with more energy than ever to lead the Swiss to Euro 2012 – that’s the plan at least.
Having become a real power in youth football, winning the 2002 Under-17 European Championship and the 2009 Under-17 World Cup, the Alpine country must now introduce a breath of fresh air into the senior side. Hitzfeld could well be the right man to bring this talent-growing process to fruition, trying hard to find the perfect balance between old heads and up and coming youngsters.
While none of the 23-man party which travelled to South Africa have announced their intention to quit the national team it is, nevertheless, difficult to see a future in the red jersey for so many players over 30. Particularly at risk must be Blaise Nkufo, Hakan Yakin, Ludovic Magnin, Stephane Grichting and Benjamin Huggel.
Hitzfeld will no doubt be encouraged by the youngsters queuing up to stake a claim for a spot in his starting eleven. 18-year-old defender/midfielder Xherdan Shaquiri – amongst the five youngest players at the 2010 World Cup; midfielders Xavier Hochstrasser, Blerim Dzemaili, Fabian Lustenberger and Valentin Stocker; number 10 Moreno Costanzo; and striker Nassim Ben Khalifa, winner of the Silver Ball awarded to the second best player at the FIFA 2009 Youth Championship.
It would be wrong though to believe that Hitzfeld will throw the baby out with the bathwater however, and the 61-year-old will count on a number of existing stars to help him build a new Swiss team. Goalkeeper Diego Benaglio enhanced his reputation in South Africa with some excellent showings, while defender Philippe Senderos – if he can stay injury-free – has another chance, this time with Fulham, to prove Arsene Wenger wasn’t wrong to pay Servette £3M for his services in 2002. Hard-worker Gokhan Inler is another in good shape, adding to the midfield, and striker Eren Derdiyok, despite being just 22, is a raw diamond who has shown he has the quality to shine on the international stage.
"One thing is certain", said Peter Knäbel, Switzerland’s technical director, "we must improve, but there will not be any revolution. According to the international press and pundits, we have one of the best youth systems in the world, but some people here in Switzerland criticise it. The reason? A goalless and – I admit – disappointing draw against Honduras. It’s unbelievable. I know we can do better, especially addressing the lack of creativity in our play. however, we should never forget that for a small country like ours, strong organisation is vital. Radical changes are unecessary and even dangerous."
Indeed, for Switzerland the next 18 months will be about finding the correct balance between new and old, between change and more of the same. If they can succeed then the future will continue to be bright.
Fonte: Inside Futbol
However, now is the time for the Nati to forget about South Africa and stop regretting a missed opportunity. The country’s Super League is set to begin at the end of the week, and then on the 11th August the national team will return to action, taking part in a friendly against Austria in Klagenfurt. On 3rd September, Switzerland will line up against Australia at St. Gallen’s AFG Arena, before beginning their Euro 2012 qualifying campaign just four days later, against England. Hosting the English in Basel, who also have something to prove after the World Cup, will be tough. The Swiss also have Bulgaria, Wales and Montenegro in Group G.
Switzerland have though, been handed a boost. Coach Ottmar Hitzfeld was widely linked with taking over the German national team, but Joachim Loew extended his contract, leaving the former Bayern Munich boss with more energy than ever to lead the Swiss to Euro 2012 – that’s the plan at least.
Having become a real power in youth football, winning the 2002 Under-17 European Championship and the 2009 Under-17 World Cup, the Alpine country must now introduce a breath of fresh air into the senior side. Hitzfeld could well be the right man to bring this talent-growing process to fruition, trying hard to find the perfect balance between old heads and up and coming youngsters.
While none of the 23-man party which travelled to South Africa have announced their intention to quit the national team it is, nevertheless, difficult to see a future in the red jersey for so many players over 30. Particularly at risk must be Blaise Nkufo, Hakan Yakin, Ludovic Magnin, Stephane Grichting and Benjamin Huggel.
Hitzfeld will no doubt be encouraged by the youngsters queuing up to stake a claim for a spot in his starting eleven. 18-year-old defender/midfielder Xherdan Shaquiri – amongst the five youngest players at the 2010 World Cup; midfielders Xavier Hochstrasser, Blerim Dzemaili, Fabian Lustenberger and Valentin Stocker; number 10 Moreno Costanzo; and striker Nassim Ben Khalifa, winner of the Silver Ball awarded to the second best player at the FIFA 2009 Youth Championship.
It would be wrong though to believe that Hitzfeld will throw the baby out with the bathwater however, and the 61-year-old will count on a number of existing stars to help him build a new Swiss team. Goalkeeper Diego Benaglio enhanced his reputation in South Africa with some excellent showings, while defender Philippe Senderos – if he can stay injury-free – has another chance, this time with Fulham, to prove Arsene Wenger wasn’t wrong to pay Servette £3M for his services in 2002. Hard-worker Gokhan Inler is another in good shape, adding to the midfield, and striker Eren Derdiyok, despite being just 22, is a raw diamond who has shown he has the quality to shine on the international stage.
"One thing is certain", said Peter Knäbel, Switzerland’s technical director, "we must improve, but there will not be any revolution. According to the international press and pundits, we have one of the best youth systems in the world, but some people here in Switzerland criticise it. The reason? A goalless and – I admit – disappointing draw against Honduras. It’s unbelievable. I know we can do better, especially addressing the lack of creativity in our play. however, we should never forget that for a small country like ours, strong organisation is vital. Radical changes are unecessary and even dangerous."
Indeed, for Switzerland the next 18 months will be about finding the correct balance between new and old, between change and more of the same. If they can succeed then the future will continue to be bright.
Fonte: Inside Futbol
lunedì 12 luglio 2010
Olanda-Spagna 0-1: le pagelle
Stekelenburg 7.5 – Degna conclusione di un grande Mondiale. Subito reattivo su Sergio Ramos, provvidenziale su Fabregas, incolpevole contro Iniesta. Forse è finalmente sbocciato un grande portiere.
Van der Wiel 5 – Soldatino diligente che rispetta le consegne, le rare volte che si spinge in avanti non combina nulla di buono. E difensivamente non è irreprensibile.
Heitinga 7 – Prestazione di grande carattere. Reattivo e concentrato come mai prima in Sudafrica, salva un tiro a colpo di sicuro di Villa e si segnala per diversi anticipi. Nel finale si immola su Iniesta e viene espulso.
Mathijsen 7 – Lotta su ogni pallone, e se Villa combina poco il merito è anche suo. Gioca d’anticipo, è meno duro di Heitinga ma ugualmente efficace.
Van Bronckhorst 6.5 – Partita di sostanza, controlla senza troppi problemi il fumoso Pedro, maggiormente in difficoltà contro Jesus Navas, che lo punta ripetutamente. Ma se la cava con l’esperienza.
(Braafheid 6 – Esordio Mondiale senza infamia né lode, sta sulle sue preoccupandosi solo di non far partire Jesus Navas)
De Jong 5.5 – Mediano con licenza di uccidere, da codice penale il colpo di karate ai danni di Xabi Alonso. Solo ammonito, gioca il resto della gara con il freno a mano tirato. Meno brillante del solito.
(Van der Vaart 5.5 – E’ sfortunato, perché il suo goffo tentativo di rinvio riconsegna la palla alla Spagna, che segna. Bravo a essere al limite dell’area in copertura, però difendere non è propriamente il suo mestiere…)
Van Bommel 7 – Un grande giocatore. E’ il primo a pressare “alto” il portatore di palla, ed è sempre il primo a proporsi fuori dalla propria area per impostare l’azione. Durissimo ma indispensabile.
Robben 5 – Il calcio è anche questo. Il migliore dei quattro in avanti è anche colui che si divora due colossali occasioni. Capita anche ai più bravi.
Sneijder 6 – La verticalizzazione che manda Robben in porta è un gioiello. Per il resto partita oscura, di grande sacrificio. Tanta corsa, specie senza palla, e meno lucidità del solito in costruzione.
Kuijt 5 – Subisce Sergio Ramos sulla destra senza trovare adeguate contromisure. Clamoroso quando nel primo tempo si fa saltare come un pivellino in area di rigore. In avanti poi ne azzecca davvero poche.
(Elia 5 – Non combina nulla)
Van Persie 5.5 – Timido miglioramento rispetto alle ultime partite, lotta e sgomita chiuso nella morsa Puyol-Piquè e produce un paio di sponde interessanti. Però non tira mai in porta, quasi fosse un Giardino qualsiasi.
Van der Wiel 5 – Soldatino diligente che rispetta le consegne, le rare volte che si spinge in avanti non combina nulla di buono. E difensivamente non è irreprensibile.
Heitinga 7 – Prestazione di grande carattere. Reattivo e concentrato come mai prima in Sudafrica, salva un tiro a colpo di sicuro di Villa e si segnala per diversi anticipi. Nel finale si immola su Iniesta e viene espulso.
Mathijsen 7 – Lotta su ogni pallone, e se Villa combina poco il merito è anche suo. Gioca d’anticipo, è meno duro di Heitinga ma ugualmente efficace.
Van Bronckhorst 6.5 – Partita di sostanza, controlla senza troppi problemi il fumoso Pedro, maggiormente in difficoltà contro Jesus Navas, che lo punta ripetutamente. Ma se la cava con l’esperienza.
(Braafheid 6 – Esordio Mondiale senza infamia né lode, sta sulle sue preoccupandosi solo di non far partire Jesus Navas)
De Jong 5.5 – Mediano con licenza di uccidere, da codice penale il colpo di karate ai danni di Xabi Alonso. Solo ammonito, gioca il resto della gara con il freno a mano tirato. Meno brillante del solito.
(Van der Vaart 5.5 – E’ sfortunato, perché il suo goffo tentativo di rinvio riconsegna la palla alla Spagna, che segna. Bravo a essere al limite dell’area in copertura, però difendere non è propriamente il suo mestiere…)
Van Bommel 7 – Un grande giocatore. E’ il primo a pressare “alto” il portatore di palla, ed è sempre il primo a proporsi fuori dalla propria area per impostare l’azione. Durissimo ma indispensabile.
Robben 5 – Il calcio è anche questo. Il migliore dei quattro in avanti è anche colui che si divora due colossali occasioni. Capita anche ai più bravi.
Sneijder 6 – La verticalizzazione che manda Robben in porta è un gioiello. Per il resto partita oscura, di grande sacrificio. Tanta corsa, specie senza palla, e meno lucidità del solito in costruzione.
Kuijt 5 – Subisce Sergio Ramos sulla destra senza trovare adeguate contromisure. Clamoroso quando nel primo tempo si fa saltare come un pivellino in area di rigore. In avanti poi ne azzecca davvero poche.
(Elia 5 – Non combina nulla)
Van Persie 5.5 – Timido miglioramento rispetto alle ultime partite, lotta e sgomita chiuso nella morsa Puyol-Piquè e produce un paio di sponde interessanti. Però non tira mai in porta, quasi fosse un Giardino qualsiasi.
domenica 11 luglio 2010
Wesley Sneijder Standing on the Brink of History
The World Cup final at Soccer City in Johannesburg will mark Wesley Sneijder’s last game of an amazing season. The Dutchman had arrived in South Africa off the back of a remarkable Serie A, Coppa Italia and Champions League treble. Now, the Real Madrid reject is hoping to add a World Cup winners’ medal to his collection to complete a perfect year. In fact, if Holland defeat Spain, then the Inter midfielder will become only the second player – after Pelè – to have won a domestic title, a national cup and the major club competition and World Cup on the bounce.
Pelè picked up a treble in 1962 with Santos, scoring a brace in a 3-0 win over Penarol to lift the Copa Libertadores. Then the Brazilian legend travelled with the Selecao side that won the 1962 World Cup in Chile. One dark cloud was that Pelè picked up an injury when attempting a long range drive in Brazil’s second game against Czechoslovakia and never recovered to reclaim a starting spot in the tournament. The World Cup wasn’t actually where the silverware ended though – Pelè went on to pick up the Intercontinental Cup soon afterwards.
Sneijder could too. The Dutchman could become the first European player to complete this ‘Grand Slam’, as in December he will head off to the United Arab Emirates with Inter to contest the FIFA Club World Cup. Sitting side by side with Pelè would be quite an achievement for someone forced out of the Bernebau last summer with the arrival of Cristiano Ronaldo.
In 1974, seven Germans, Franz Beckenbauer, Gerd Müller, Paul Breitner, Uli Hoeness, Hans-Josef Kapellmann, Hans-Georg Schwarzenbeck and Sepp Maier, themselves came close to joining Pelè’s exclusive club, as they picked up the European Cup with Bayern Munich and the World Cup with West Germany. However, this band of Germans lost their domestic cup final to Eintracht Frankfurt.
At this World Cup, Sneijder has been impressive, of that there is little doubt. The Inter man has turned it on in every game he has played and with his strike against Uruguay joined Holland’s all-time top scorers top ten. Sneijder has equalled his team-mate Robin van Persie and also Leen Vente – a striker who scored 19 goals in just 21 games between 1933 and 1940. The 26-year-old is now just five goals behind the legendary Marco van Basten and is the second highest scoring midfielder, behind only Kick Smit, who netted 26 times between the late 1930s and the 1950s.
In the two great international competitions, the World Cup and European Championship, Sneijder is as productive as Ruud van Nistelrooy. The Inter player has seven goals so far – five in the current World Cup and two at Euro 2008. Only three players can claim to have done better than Sneijder and Van Nistelrooy: Patrick Kluivert, Johnny Rep (both with eight goals) and Dennis Bergkamp (10 goals). The former Ajax man also seems to be Holland’s lucky charm. If he scores, the Dutch will not lose. So far, Sneijder has scored 19 goals in 18 games, and of those the Oranje won 17 and drew one.
It is no surprise therefore that Holland have marched on and that Wesley Sneijder is in contention for the Golden Boot. Capped 67 times so far, Sneijder has five goals to his name in South Africa, having scored the winner in the 1-0 win over Japan, struck again in the last 16 win over Slovakia, and then netting a brace in the quarter final against Brazil. Add another against Uruguay in the crucial semi-final, and Sneijder has every right to feel very pleased with his work in Africa. It seems that with every goal the midfield live-wire snatches, another Dutch record falls. Currently, the Utrecht-born star is equal with Rob Rensenbrink and Johan Neeskens as Holland’s top scorer at a World Cup: Neeskens bagged five in 1974, while Rensenbrink did the same four years later in Argentina.
The road back to a World Cup final has been a long one for Holland and while great hopes were placed on Sneijder when he made his international debut at the age of just 18, the midfielder soon knew the pain of disappointment: Sneijder featured in the 2006 World Cup and both the 2004 and 2008 European Championships. Now, he has helped his team back to where they feel they belong and if he can succeed where Dutch icons like Johan Cruyff, Marco van Basten and Dennis Bergkamp failed, they might write a history book just for Sneijder all on his own. From a land of so many legends it’s not easy to stand out, but Wesley Sneijder is doing just that.
Fonte: Inside Futbol
Pelè picked up a treble in 1962 with Santos, scoring a brace in a 3-0 win over Penarol to lift the Copa Libertadores. Then the Brazilian legend travelled with the Selecao side that won the 1962 World Cup in Chile. One dark cloud was that Pelè picked up an injury when attempting a long range drive in Brazil’s second game against Czechoslovakia and never recovered to reclaim a starting spot in the tournament. The World Cup wasn’t actually where the silverware ended though – Pelè went on to pick up the Intercontinental Cup soon afterwards.
Sneijder could too. The Dutchman could become the first European player to complete this ‘Grand Slam’, as in December he will head off to the United Arab Emirates with Inter to contest the FIFA Club World Cup. Sitting side by side with Pelè would be quite an achievement for someone forced out of the Bernebau last summer with the arrival of Cristiano Ronaldo.
In 1974, seven Germans, Franz Beckenbauer, Gerd Müller, Paul Breitner, Uli Hoeness, Hans-Josef Kapellmann, Hans-Georg Schwarzenbeck and Sepp Maier, themselves came close to joining Pelè’s exclusive club, as they picked up the European Cup with Bayern Munich and the World Cup with West Germany. However, this band of Germans lost their domestic cup final to Eintracht Frankfurt.
At this World Cup, Sneijder has been impressive, of that there is little doubt. The Inter man has turned it on in every game he has played and with his strike against Uruguay joined Holland’s all-time top scorers top ten. Sneijder has equalled his team-mate Robin van Persie and also Leen Vente – a striker who scored 19 goals in just 21 games between 1933 and 1940. The 26-year-old is now just five goals behind the legendary Marco van Basten and is the second highest scoring midfielder, behind only Kick Smit, who netted 26 times between the late 1930s and the 1950s.
In the two great international competitions, the World Cup and European Championship, Sneijder is as productive as Ruud van Nistelrooy. The Inter player has seven goals so far – five in the current World Cup and two at Euro 2008. Only three players can claim to have done better than Sneijder and Van Nistelrooy: Patrick Kluivert, Johnny Rep (both with eight goals) and Dennis Bergkamp (10 goals). The former Ajax man also seems to be Holland’s lucky charm. If he scores, the Dutch will not lose. So far, Sneijder has scored 19 goals in 18 games, and of those the Oranje won 17 and drew one.
It is no surprise therefore that Holland have marched on and that Wesley Sneijder is in contention for the Golden Boot. Capped 67 times so far, Sneijder has five goals to his name in South Africa, having scored the winner in the 1-0 win over Japan, struck again in the last 16 win over Slovakia, and then netting a brace in the quarter final against Brazil. Add another against Uruguay in the crucial semi-final, and Sneijder has every right to feel very pleased with his work in Africa. It seems that with every goal the midfield live-wire snatches, another Dutch record falls. Currently, the Utrecht-born star is equal with Rob Rensenbrink and Johan Neeskens as Holland’s top scorer at a World Cup: Neeskens bagged five in 1974, while Rensenbrink did the same four years later in Argentina.
The road back to a World Cup final has been a long one for Holland and while great hopes were placed on Sneijder when he made his international debut at the age of just 18, the midfielder soon knew the pain of disappointment: Sneijder featured in the 2006 World Cup and both the 2004 and 2008 European Championships. Now, he has helped his team back to where they feel they belong and if he can succeed where Dutch icons like Johan Cruyff, Marco van Basten and Dennis Bergkamp failed, they might write a history book just for Sneijder all on his own. From a land of so many legends it’s not easy to stand out, but Wesley Sneijder is doing just that.
Fonte: Inside Futbol
venerdì 9 luglio 2010
Van Bommel e Stekelenburg: la classe media al potere
Negli anni Settanta era la squadra di Johan Cruijff e del calcio totale; negli Ottanta era invece diventata la Milanda del trio rossonero Gullit-Van Basten-Rijkaard; oggi quella guidata da Bert van Marwijk può essere definita la ModernOlanda, perché capace di unire talento ed efficacia come raramente visto in passato. E’ la nazionale dei celebrati Sneijder e Robben, ma anche quella di coloro che in patria vengono definiti i “waterdragers”, i portatori d’acqua. Giocatori di quantità al servizio della squadra e delle sue stelle, elementi imprescindibili per gli equilibri tattici dei tulipani. Mark van Bommel, Nigel de Jong, Maarten Stekelenburg, Dirk Kuijt, Joris Mathijsen. Non è gente da pallone d’oro. Da titolo mondiale però si.
Per due di questi giocatori, Sudafrica 2010 costituisce la rivincita nei confronti di una delle più grandi icone di sempre del calcio oranje, Marco van Basten, il precedente ct dalla nazionale che per quattro anni ha diviso stampa e opinione pubblica con le sue scelte radicali, talvolta poco indovinate. E’ il caso di Mark van Bommel, l’allenatore in campo della nazionale olandese, il comandante attorno al quale si rifugia la truppa nei momenti difficili. Non piace agli amanti del bel calcio, Van Bommel; troppo rude, provocatorio, scontroso, in mezzo al campo palla o gamba per lui fa poca differenza. Con Van Basten non ci prendeva: idee di gioco troppo diverse. Così un giorno ha deciso di chiudere con la maglia oranje. Lo fece pubblicamente, dichiarando che, se avesse potuto, avrebbe terminato la carriera giocando per la Germania. L’importante era non trovarsi più Van Basten tra i piedi.
Van Bommel è ritornato in nazionale grazie a Bert van Marwijk, suo suocero. Uno a cui il giocatore deve tutto, dal momento che fu proprio l’attuale ct a farne decollare la carriera quando, a fine anni Novanta, lo riconvertì nel Fortuna Sittard da ala in centrocampista centrale. Nel nuovo ruolo Van Bommel, che un paio di anni prima era stato scartato dall’Ajax di Van Gaal, condusse il piccolo club del Limburgo fino alla finale di Coppa d’Olanda, che saltò per squalifica. Ma ormai il decollo era avvenuto, per un viaggio che avrebbe toccato Eindhoven (Psv), Barcellona e Monaco di Baviera (Bayern). Un curriculum che costituisce un alibi di ferro contro qualsiasi accusa di nepotismo. Al Mondiale è sparito ogni dubbio residuo.
Dubbi ne esistevano parecchi anche nei confronti di Maarten Stekelenburg, portiere nel giro della nazionale fin dal 2004 ma sempre rimasto nell’ombra di Edwin van der Sar. Anche perché l’estremo dell’Ajax cresceva meno di quanto ci si aspettasse, tanto che proprio Van Basten, durante il suo periodo alla guida del club di Amsterdam, finì con il togliergli la maglia da titolare. Maarten l’eterna promessa che non sbocciava mai, il brutto anatroccolo che l’Olanda ricordava come il primo portiere nella storia della nazionale ad essere stato espulso (nel 2008 contro l’Australia). La finale di Sudafrica 2010 è anche merito suo, dei suoi interventi decisivi negli ottavi su Vittek e, soprattutto, nei quarti su Kakà e Maicon. Anche Stekelenburg è un “waterdrager”, appartenente alla classe media dei portieri, lontano da qualsiasi classifica sui migliori del mondo nel ruolo. Eppure oggigiorno è “un ottimo portiere”. Parola di Jan Jongbloed, l’uomo che ha difeso i pali dei tulipani in due finali mondiali. Maarten è finalmente diventato grande.
Fonte: Il Giornale
Per due di questi giocatori, Sudafrica 2010 costituisce la rivincita nei confronti di una delle più grandi icone di sempre del calcio oranje, Marco van Basten, il precedente ct dalla nazionale che per quattro anni ha diviso stampa e opinione pubblica con le sue scelte radicali, talvolta poco indovinate. E’ il caso di Mark van Bommel, l’allenatore in campo della nazionale olandese, il comandante attorno al quale si rifugia la truppa nei momenti difficili. Non piace agli amanti del bel calcio, Van Bommel; troppo rude, provocatorio, scontroso, in mezzo al campo palla o gamba per lui fa poca differenza. Con Van Basten non ci prendeva: idee di gioco troppo diverse. Così un giorno ha deciso di chiudere con la maglia oranje. Lo fece pubblicamente, dichiarando che, se avesse potuto, avrebbe terminato la carriera giocando per la Germania. L’importante era non trovarsi più Van Basten tra i piedi.
Van Bommel è ritornato in nazionale grazie a Bert van Marwijk, suo suocero. Uno a cui il giocatore deve tutto, dal momento che fu proprio l’attuale ct a farne decollare la carriera quando, a fine anni Novanta, lo riconvertì nel Fortuna Sittard da ala in centrocampista centrale. Nel nuovo ruolo Van Bommel, che un paio di anni prima era stato scartato dall’Ajax di Van Gaal, condusse il piccolo club del Limburgo fino alla finale di Coppa d’Olanda, che saltò per squalifica. Ma ormai il decollo era avvenuto, per un viaggio che avrebbe toccato Eindhoven (Psv), Barcellona e Monaco di Baviera (Bayern). Un curriculum che costituisce un alibi di ferro contro qualsiasi accusa di nepotismo. Al Mondiale è sparito ogni dubbio residuo.
Dubbi ne esistevano parecchi anche nei confronti di Maarten Stekelenburg, portiere nel giro della nazionale fin dal 2004 ma sempre rimasto nell’ombra di Edwin van der Sar. Anche perché l’estremo dell’Ajax cresceva meno di quanto ci si aspettasse, tanto che proprio Van Basten, durante il suo periodo alla guida del club di Amsterdam, finì con il togliergli la maglia da titolare. Maarten l’eterna promessa che non sbocciava mai, il brutto anatroccolo che l’Olanda ricordava come il primo portiere nella storia della nazionale ad essere stato espulso (nel 2008 contro l’Australia). La finale di Sudafrica 2010 è anche merito suo, dei suoi interventi decisivi negli ottavi su Vittek e, soprattutto, nei quarti su Kakà e Maicon. Anche Stekelenburg è un “waterdrager”, appartenente alla classe media dei portieri, lontano da qualsiasi classifica sui migliori del mondo nel ruolo. Eppure oggigiorno è “un ottimo portiere”. Parola di Jan Jongbloed, l’uomo che ha difeso i pali dei tulipani in due finali mondiali. Maarten è finalmente diventato grande.
Fonte: Il Giornale
giovedì 8 luglio 2010
La nuova Olanda promossa dai nonni "capelloni"
Una trentina abbondante di anni dopo, gli allievi stanno per superare i maestri. Dove hanno mancato l’Olanda di Michels nel 1974 e quella di Happel nel 1978, entrambe finaliste sconfitte nel Mondiale, potrebbe invece riuscire la versione 2010, solida, moderna e non più schiava dell’estetica, guidata da Bert van Marwijk. Ed ecco allora gli oranje che stanno per compiere l’impresa giudicati da coloro che in passato ci hanno provato, e in alcuni casi si sono fermati solo ad un passo da essa. Oggi il cerchio si sta per chiudere.
Maarten Stekelenburg 7.5. “E’ stato uno dei portieri meno impegnati in tutto il Mondiale, e questo avrebbe potuto nuocergli. Invece, quando lo hanno chiamato in causa, ha sempre risposto con prontezza. Ciò significa sicurezza e grande concentrazione. Ha raggiunto la piena maturità.” (Piet Schrijvers)
Gregory Van der Wiel 7. “Non sempre si è visto il Van der Wiel dell’Ajax, arrembante in attacco e puntuale in chiusura. In difesa però non ha mai commesso errori, confermando il proprio spessore internazionale”. (Willy Dullens)
John Heitinga 6.5. “Sebbene nasce terzino destro, i miglioramenti come centrale sono evidenti. Più sicuro accanto a Mathijsen, con il quale forma una coppia affidabile, che con Ooijer”. (Gerrie Muhren)
Joris Mathijsen 7. “Ormai un veterano della selezione, non è appariscente ma la sua importanza si nota soprattutto quando manca. Come contro il Brasile”. (Keje Molenaar)
Giovanni Van Bronckhorst 6.5. “Un Mondiale in linea con la sua carriera: tecnica di prim’ordine non sempre supportata dalla necessaria continuità di rendimento. Ma l’esperienza di Gio è importante in una squadra piuttosto giovane.” (Edo Ophof)
Nigel De Jong 8. “Sprizza voglia di vincere da tutti i pori. L’agonismo però non va mai a scapito della disciplina. Una qualità da grandissimo giocatore, il cui lavoro oscuro risulta essere tanto prezioso quanto le giocate dei compagni più famosi”. (Dick Schneider)
Mark Van Bommel 7.5. “Il comandante della squadra, il leader attorno al quale ci si stringe nei momenti di difficoltà. Il suo ritorno in nazionale è stato un toccasana per gli equilibri tattici dell’Olanda”. (Jan Peters)
Arjen Robben 7.5. “Con lui in campo gli oranje partono, psicologicamente, con una marcia in più. Gioca con il cuore, a volte eccede nella ricerca del numero, ma stiamo parlando della miglior ala dai tempi di Marc Overmars”. (Brian Roy)
Wesley Sneijder 8. “Un fenomeno. Punto. Ogni partita del Mondiale lo ha visto protagonista. Conosce alla perfezione i tempi di gioco, sa quando accelerare e quando addormentare la manovra. Inoltre possiede tiro, personalità, carisma. Di più non saprei cosa chiedere”. (Kees Kist)
Dirk Kuijt 7.5. “In campo lo trovi sempre nella posizione più utile alla squadra. Attacca e difende con la medesima intensità. Pochi esterni possono vantarsi di aver disinnescato uno come Maicon. In quanto a spirito di sacrificio, è il numero uno” (John Rep)
Robin van Persie 6. “Il vero Van Persie in Sudafrica non si è mai visto, ed è un peccato. L’impegno non è mai mancato, però come prima punta ha fatto rimpiangere sia Kuijt che Huntelaar”. (Arnold Scholten)
Bert van Marwijk 8. “La parola chiave della sua gestione è: tranquillità. Quella che è riuscita a trasmettere ai giocatori, mai così bravi nel gestire la pressione. La sua Olanda ha avuto la fortuna dalla propria parte, è innegabile, ma ha anche giocato un buon calcio. E alla fine è arrivata dove merita.” (Wim van Hanegem)
Fonte: Il Giornale
Maarten Stekelenburg 7.5. “E’ stato uno dei portieri meno impegnati in tutto il Mondiale, e questo avrebbe potuto nuocergli. Invece, quando lo hanno chiamato in causa, ha sempre risposto con prontezza. Ciò significa sicurezza e grande concentrazione. Ha raggiunto la piena maturità.” (Piet Schrijvers)
Gregory Van der Wiel 7. “Non sempre si è visto il Van der Wiel dell’Ajax, arrembante in attacco e puntuale in chiusura. In difesa però non ha mai commesso errori, confermando il proprio spessore internazionale”. (Willy Dullens)
John Heitinga 6.5. “Sebbene nasce terzino destro, i miglioramenti come centrale sono evidenti. Più sicuro accanto a Mathijsen, con il quale forma una coppia affidabile, che con Ooijer”. (Gerrie Muhren)
Joris Mathijsen 7. “Ormai un veterano della selezione, non è appariscente ma la sua importanza si nota soprattutto quando manca. Come contro il Brasile”. (Keje Molenaar)
Giovanni Van Bronckhorst 6.5. “Un Mondiale in linea con la sua carriera: tecnica di prim’ordine non sempre supportata dalla necessaria continuità di rendimento. Ma l’esperienza di Gio è importante in una squadra piuttosto giovane.” (Edo Ophof)
Nigel De Jong 8. “Sprizza voglia di vincere da tutti i pori. L’agonismo però non va mai a scapito della disciplina. Una qualità da grandissimo giocatore, il cui lavoro oscuro risulta essere tanto prezioso quanto le giocate dei compagni più famosi”. (Dick Schneider)
Mark Van Bommel 7.5. “Il comandante della squadra, il leader attorno al quale ci si stringe nei momenti di difficoltà. Il suo ritorno in nazionale è stato un toccasana per gli equilibri tattici dell’Olanda”. (Jan Peters)
Arjen Robben 7.5. “Con lui in campo gli oranje partono, psicologicamente, con una marcia in più. Gioca con il cuore, a volte eccede nella ricerca del numero, ma stiamo parlando della miglior ala dai tempi di Marc Overmars”. (Brian Roy)
Wesley Sneijder 8. “Un fenomeno. Punto. Ogni partita del Mondiale lo ha visto protagonista. Conosce alla perfezione i tempi di gioco, sa quando accelerare e quando addormentare la manovra. Inoltre possiede tiro, personalità, carisma. Di più non saprei cosa chiedere”. (Kees Kist)
Dirk Kuijt 7.5. “In campo lo trovi sempre nella posizione più utile alla squadra. Attacca e difende con la medesima intensità. Pochi esterni possono vantarsi di aver disinnescato uno come Maicon. In quanto a spirito di sacrificio, è il numero uno” (John Rep)
Robin van Persie 6. “Il vero Van Persie in Sudafrica non si è mai visto, ed è un peccato. L’impegno non è mai mancato, però come prima punta ha fatto rimpiangere sia Kuijt che Huntelaar”. (Arnold Scholten)
Bert van Marwijk 8. “La parola chiave della sua gestione è: tranquillità. Quella che è riuscita a trasmettere ai giocatori, mai così bravi nel gestire la pressione. La sua Olanda ha avuto la fortuna dalla propria parte, è innegabile, ma ha anche giocato un buon calcio. E alla fine è arrivata dove merita.” (Wim van Hanegem)
Fonte: Il Giornale
Olanda-Uruguay 3-2: le pagelle
Stekelenburg 5 – La prima brutta partita del suo Mondiale. L’errore tecnico sul gol di Forlán è clamoroso, e regala insicurezza a tutta la squadra. Bravo invece nella ripresa a negargli il raddoppio su punizione.
Boulharouz 5.5 – Parte piuttosto bene, segnalandosi per una bella diagonale in chiusura su Forlán. Poi perde confidenza ed inizia a picchiare. Da brividi uno svarione nella ripresa che costringe Stekelenburg ad un’uscita fuori area.
Heitinga 6 – Prestazione sufficiente, non commette errori vistosi. Lucido nell’assedio finale dell’Uruguay.
Mathijsen 6 – Come il compagno di reparto Heitinga, anche lui senza infamia e senza lode. E’ troppo lontano da Forlán quando questi scocca il tiro dell’1-1, ma le colpe del gol vanno ricercate altrove…
Van Bronckhorst 7 – Il gol è un gioiello, pur con la gentile collaborazione di Muslera. Il resto è su alti livelli, come mai visto finora in Sudafrica.
De Zeeuw 6 – Ha un altro passo rispetto a De Jong, ma dovrebbe compensare con una maggiore lucidità in fase di costruzione. Non ci riesce, complice anche una pedata (involontaria) ricevuta in piena faccia da Caceres. Non rientra dopo l’intervallo.
(Van der Vaart 6.5 – Da centrocampista centrale puro, buon impatto sulla partita. Si sacrifica in fase di non possesso, regala vitalità in costruzione, pur pestandosi i piedi con Sneijder).
Van Bommel 6 – Sottotono rispetto ai suoi standard. Risponde colpo su colpo all’aggressività del centrocampo uruguaiano, ma senza la consueta lucidità.
Robben 6.5 – Il gol del 3-1, bello e inedito (lo realizza di testa, non propriamente una specialità della casa), riscatta una prova opaca. Si divora il 4-1.
(Elia sv)
Sneijder 6.5 – Riesce ad essere nuovamente decisivo anche in una partita che lo ha visto per larghi tratti fuori dal gioco. Nove volte su dieci la palla del 2-1 non sarebbe entrata in porta. E’ proprio la sua stagione.
Kuijt 7 – Scalda subito le mani a Muslera, poi pennella un assist delizioso per il 3-1 di Robben, infine è lui a sbrogliare una situazione scabrosa in area di rigore nel finale, con gli uruguaiani tutti in avanti e gli olandesi con i brividi sulla schiena. Non sempre è preciso, ma non è un automa.
Van Persie 5.5 – Ad un certo punto, frustrato, lascia a Robben il ruolo di punta centrale e prova a partire largo sulle fasce. Sempre un tocco di palla di troppo. Mezzo voto in più per il tacco che manda in porta Robben. Sul 3-1 Olanda però
Boulharouz 5.5 – Parte piuttosto bene, segnalandosi per una bella diagonale in chiusura su Forlán. Poi perde confidenza ed inizia a picchiare. Da brividi uno svarione nella ripresa che costringe Stekelenburg ad un’uscita fuori area.
Heitinga 6 – Prestazione sufficiente, non commette errori vistosi. Lucido nell’assedio finale dell’Uruguay.
Mathijsen 6 – Come il compagno di reparto Heitinga, anche lui senza infamia e senza lode. E’ troppo lontano da Forlán quando questi scocca il tiro dell’1-1, ma le colpe del gol vanno ricercate altrove…
Van Bronckhorst 7 – Il gol è un gioiello, pur con la gentile collaborazione di Muslera. Il resto è su alti livelli, come mai visto finora in Sudafrica.
De Zeeuw 6 – Ha un altro passo rispetto a De Jong, ma dovrebbe compensare con una maggiore lucidità in fase di costruzione. Non ci riesce, complice anche una pedata (involontaria) ricevuta in piena faccia da Caceres. Non rientra dopo l’intervallo.
(Van der Vaart 6.5 – Da centrocampista centrale puro, buon impatto sulla partita. Si sacrifica in fase di non possesso, regala vitalità in costruzione, pur pestandosi i piedi con Sneijder).
Van Bommel 6 – Sottotono rispetto ai suoi standard. Risponde colpo su colpo all’aggressività del centrocampo uruguaiano, ma senza la consueta lucidità.
Robben 6.5 – Il gol del 3-1, bello e inedito (lo realizza di testa, non propriamente una specialità della casa), riscatta una prova opaca. Si divora il 4-1.
(Elia sv)
Sneijder 6.5 – Riesce ad essere nuovamente decisivo anche in una partita che lo ha visto per larghi tratti fuori dal gioco. Nove volte su dieci la palla del 2-1 non sarebbe entrata in porta. E’ proprio la sua stagione.
Kuijt 7 – Scalda subito le mani a Muslera, poi pennella un assist delizioso per il 3-1 di Robben, infine è lui a sbrogliare una situazione scabrosa in area di rigore nel finale, con gli uruguaiani tutti in avanti e gli olandesi con i brividi sulla schiena. Non sempre è preciso, ma non è un automa.
Van Persie 5.5 – Ad un certo punto, frustrato, lascia a Robben il ruolo di punta centrale e prova a partire largo sulle fasce. Sempre un tocco di palla di troppo. Mezzo voto in più per il tacco che manda in porta Robben. Sul 3-1 Olanda però
lunedì 5 luglio 2010
Bert van Marwijk, un Normal One davvero speciale
Un signor Rossi in salsa oranje, il ct olandese Bert van Marwijk. Viso da pacioso e sereno uomo di mezza età, elegante, sobrio, modi educati. Quel tipo di persone che si possono incontrare ovunque, dietro ad uno sportello in banca, alla guida di un autobus oppure in un negozio di lingerie del centro, e delle quali ci si dimentica un secondo dopo averle salutate. Per Lambertus (Bert) van Marwijk non sarà così. In un mondo come quello del calcio popolato da professori, santoni, polemisti e tuttologi, questa volta sotto i riflettori è finito l’uomo comune. E rischia pure di vincere il Mondiale.
Naturalmente Van Marwijk non è commissario tecnico della nazionale olandese per caso, né tantomeno il classico uomo di paglia messo sulla panchina con il solo compito di non disturbare i galli nel pollaio. Quest’ultima una specie che ha sempre proliferato nello spogliatoio oranje, causando non pochi danni. E allora serviva un uomo d’ordine, un pompiere capace di spegnere sul nascere i fuochi delle liti interne, un mediatore abile nello smorzare i toni e allentare la pressione. Ma serviva anche un allenatore capace di plasmare una gruppo pieno di talento in una squadra solida ed equilibrata. Missione compiuta, senza troppi fronzoli.
Se Josè Mourinho è considerato una manna per i giornalisti, Van Marwijk ne rappresenta un vero e proprio incubo. Mai una polemica o una parola sopra le righe, atteggiamenti sempre cordiali e conferenze stampa spesso ai limiti della noia. Hanno provato ad attaccarlo sulla convocazione di Mark van Bommel, il marito di sua figlia Andra, e sull’esclusione di Ruud van Nistelrooy; lo hanno stuzzicato sui pessimi rapporti che intercorrono tra Wesley Sneijder e Robin van Persie; hanno parlato dell’Olanda come di una squadra che gioca solo di rimessa, un’eresia nella patria del calcio totale. Van Marwijk non si è mai scomposto. Le risposte le ha fornite il campo: 24 partite consecutive senza sconfitte, nove vittorie negli ultimi nove incontri, semifinale ai Mondiali dopo aver messo ko il Brasile per la prima volta dal 1974.
Eppure il curriculum vitae dell’attuale ct dei tulipani non forniva propriamente l’identikit ideale per un candidato alla panchina di una delle prime nazionali al mondo. Da giocatore Van Marwijk era un’ala sinistra di medio livello che aveva speso tutta la propria carriera in provincia, togliendosi però la soddisfazione di aver vestito, anche se solo per 45 minuti, la maglia della nazionale olandese, in un’amichevole a Belgrado nel maggio del ’75 persa 3-0 contro la Jugoslavia. Da allenatore la musica è cambiata poco: tanta gavetta in provincia, l’acuto della Coppa Uefa vinta nel 2002 con il Feyenoord, un’esperienza poco felice in Bundesliga in un Borussia Dortmund sommerso dai debiti, e poco altro (una coppa d’Olanda nel 2008, sempre con il Feyenoord).
L’Olanda del suo predecessore, Marco van Basten, era tutta chiacchiere e distintivo, un giorno fuoco e fiamme (3-0 all’Italia e 4-1 alla Francia a Euro 2008) e quello successivo petardi bagnati (il ko contro la Russia nei quarti del medesimo torneo); con Van Marwijk la forma è stata messa al servizio della sostanza. Perché dietro ai Robben e agli Sneijder, i veri protagonisti del mondiale in maglia arancione si chiamano Stekelenburg, Van Bommel, De Jong e Kuijt; un portiere, due mediani e il giocatore meno talentuoso, insuperabile però per spirito di sacrificio e gioco di squadra, del reparto offensivo. La classe media in paradiso. Questo è il segreto, e il calcio, di Bert van Marwijk. Il Normal One che ha saputo mettere in riga una squadra di speciali.
Fonte: Il Giornale
Naturalmente Van Marwijk non è commissario tecnico della nazionale olandese per caso, né tantomeno il classico uomo di paglia messo sulla panchina con il solo compito di non disturbare i galli nel pollaio. Quest’ultima una specie che ha sempre proliferato nello spogliatoio oranje, causando non pochi danni. E allora serviva un uomo d’ordine, un pompiere capace di spegnere sul nascere i fuochi delle liti interne, un mediatore abile nello smorzare i toni e allentare la pressione. Ma serviva anche un allenatore capace di plasmare una gruppo pieno di talento in una squadra solida ed equilibrata. Missione compiuta, senza troppi fronzoli.
Se Josè Mourinho è considerato una manna per i giornalisti, Van Marwijk ne rappresenta un vero e proprio incubo. Mai una polemica o una parola sopra le righe, atteggiamenti sempre cordiali e conferenze stampa spesso ai limiti della noia. Hanno provato ad attaccarlo sulla convocazione di Mark van Bommel, il marito di sua figlia Andra, e sull’esclusione di Ruud van Nistelrooy; lo hanno stuzzicato sui pessimi rapporti che intercorrono tra Wesley Sneijder e Robin van Persie; hanno parlato dell’Olanda come di una squadra che gioca solo di rimessa, un’eresia nella patria del calcio totale. Van Marwijk non si è mai scomposto. Le risposte le ha fornite il campo: 24 partite consecutive senza sconfitte, nove vittorie negli ultimi nove incontri, semifinale ai Mondiali dopo aver messo ko il Brasile per la prima volta dal 1974.
Eppure il curriculum vitae dell’attuale ct dei tulipani non forniva propriamente l’identikit ideale per un candidato alla panchina di una delle prime nazionali al mondo. Da giocatore Van Marwijk era un’ala sinistra di medio livello che aveva speso tutta la propria carriera in provincia, togliendosi però la soddisfazione di aver vestito, anche se solo per 45 minuti, la maglia della nazionale olandese, in un’amichevole a Belgrado nel maggio del ’75 persa 3-0 contro la Jugoslavia. Da allenatore la musica è cambiata poco: tanta gavetta in provincia, l’acuto della Coppa Uefa vinta nel 2002 con il Feyenoord, un’esperienza poco felice in Bundesliga in un Borussia Dortmund sommerso dai debiti, e poco altro (una coppa d’Olanda nel 2008, sempre con il Feyenoord).
L’Olanda del suo predecessore, Marco van Basten, era tutta chiacchiere e distintivo, un giorno fuoco e fiamme (3-0 all’Italia e 4-1 alla Francia a Euro 2008) e quello successivo petardi bagnati (il ko contro la Russia nei quarti del medesimo torneo); con Van Marwijk la forma è stata messa al servizio della sostanza. Perché dietro ai Robben e agli Sneijder, i veri protagonisti del mondiale in maglia arancione si chiamano Stekelenburg, Van Bommel, De Jong e Kuijt; un portiere, due mediani e il giocatore meno talentuoso, insuperabile però per spirito di sacrificio e gioco di squadra, del reparto offensivo. La classe media in paradiso. Questo è il segreto, e il calcio, di Bert van Marwijk. Il Normal One che ha saputo mettere in riga una squadra di speciali.
Fonte: Il Giornale
sabato 3 luglio 2010
Olanda-Brasile 2-1: le pagelle
Stekelenburg 7.5 – Una buona fetta di qualificazione passa dalla sue mani. Nel primo tempo toglie a Kakà la palla del 2-0, e la partita sarebbe finita lì. Sempre sicuro.
Van der Wiel 6 – Nel primo tempo è il terzino bloccato e banale visto finora in Sudafrica, nella ripresa torna ad aggredire lo spazio ed a proporsi come sa fare. Ma in semifinale non ci sarà per squalifica.
Heitinga 4 – Contro un avversario di altissimo livello come il Brasile riemergono prepotentemente tutte le sue lacune. Imbarazzante l’errore di movimento sul gol di Robinho. Sempre in difficoltà.
Ooijer 5 – Anche lui colpevole dell’autostrada spalancata al filtrante di Felipe Melo per il vantaggio brasiliano, si riscatta parzialmente con un paio di chiusure all’ultimo respiro. Ma è costantemente in affanno.
Van Bronckhorst 5.5 – Nel primo tempo Maicon lo punta e, prevedibilmente (vista la differenza di età e di passo), lo salta. Poi l’interista si placa sino a scomparire, e Gio sentitamente ringrazia.
De Jong 7 – E’ battaglia vera in mezzo al campo, e lui ci si butta a capofitto, trovando anche il tempo di far ripartire l’azione. Grande prestazione. Ammonito, sarà squalificato.
Van Bommel 6 – Meno in palla del solito, provoca fin dall’inizio Felipe Melo con il compito, riuscito, di fargli saltare i nervi. Idiota era, lo juventino, e idiota resta (copyright. Vittorio Feltri). Van Bommel lo sa e agisce di conseguenza.
Robben 6.5 – Per fermarlo Bastos deve ricorrere al fallo sistematico; idem il sostituto del giocatore del Lione, Gilberto. La sua imprevedibilità rimane una delle armi più letali dell’Olanda, anche se contro il Brasile non sempre le magie gli riescono.
Sneijder 7 – Strano il calcio. Primo tempo da 4, abulico e irritante. Poi le due fiammate: autogol di Melo su un suo cross, quindi stoccata decisiva di testa dall’area piccola. E Wesley, il peggiore in campo (con Heitinga) fino a quel momento, diventa l’uomo-partita.
Kuijt 6 – Sebbene schierato come esterno sinistro alto, il suo primo compito è quello di contenere le avanzate di Maicon. Vita dura. Poco lucido, e spesso impreciso, in avanti.. Ma la spizzata di testa per la rete di Sneijder è sua.
Van Persie 5 – Ennesimo nulla di fatto, nonostante l’impegno non si discuta. Stritolato nella morsa Lucio-Juan nel primo tempo, mai pericoloso, due punizioni calciate orribilmente.
(Huntelaar 5 – La goffaggine e la lentezza con la quale addomestica in area, tutto solo, la palla del possibile 3-1, giustificano il voto).
Van der Wiel 6 – Nel primo tempo è il terzino bloccato e banale visto finora in Sudafrica, nella ripresa torna ad aggredire lo spazio ed a proporsi come sa fare. Ma in semifinale non ci sarà per squalifica.
Heitinga 4 – Contro un avversario di altissimo livello come il Brasile riemergono prepotentemente tutte le sue lacune. Imbarazzante l’errore di movimento sul gol di Robinho. Sempre in difficoltà.
Ooijer 5 – Anche lui colpevole dell’autostrada spalancata al filtrante di Felipe Melo per il vantaggio brasiliano, si riscatta parzialmente con un paio di chiusure all’ultimo respiro. Ma è costantemente in affanno.
Van Bronckhorst 5.5 – Nel primo tempo Maicon lo punta e, prevedibilmente (vista la differenza di età e di passo), lo salta. Poi l’interista si placa sino a scomparire, e Gio sentitamente ringrazia.
De Jong 7 – E’ battaglia vera in mezzo al campo, e lui ci si butta a capofitto, trovando anche il tempo di far ripartire l’azione. Grande prestazione. Ammonito, sarà squalificato.
Van Bommel 6 – Meno in palla del solito, provoca fin dall’inizio Felipe Melo con il compito, riuscito, di fargli saltare i nervi. Idiota era, lo juventino, e idiota resta (copyright. Vittorio Feltri). Van Bommel lo sa e agisce di conseguenza.
Robben 6.5 – Per fermarlo Bastos deve ricorrere al fallo sistematico; idem il sostituto del giocatore del Lione, Gilberto. La sua imprevedibilità rimane una delle armi più letali dell’Olanda, anche se contro il Brasile non sempre le magie gli riescono.
Sneijder 7 – Strano il calcio. Primo tempo da 4, abulico e irritante. Poi le due fiammate: autogol di Melo su un suo cross, quindi stoccata decisiva di testa dall’area piccola. E Wesley, il peggiore in campo (con Heitinga) fino a quel momento, diventa l’uomo-partita.
Kuijt 6 – Sebbene schierato come esterno sinistro alto, il suo primo compito è quello di contenere le avanzate di Maicon. Vita dura. Poco lucido, e spesso impreciso, in avanti.. Ma la spizzata di testa per la rete di Sneijder è sua.
Van Persie 5 – Ennesimo nulla di fatto, nonostante l’impegno non si discuta. Stritolato nella morsa Lucio-Juan nel primo tempo, mai pericoloso, due punizioni calciate orribilmente.
(Huntelaar 5 – La goffaggine e la lentezza con la quale addomestica in area, tutto solo, la palla del possibile 3-1, giustificano il voto).
venerdì 2 luglio 2010
Attenti a quei due: un paio di spunti sulla coppia Suarez-Forlán
La paura fa novanta, proprio come i gol stagionali di Luis Suarez e Diego Forlán, la coppia d’attacco più caliente del Mondiale. Da giugno 2009 ad oggi Suarez ha infilato la palla in rete 56 volte (49 con l’Ajax, 7 con l’Uruguay), mentre il sodale Forlan si è dovuto “accontentare” di 34 (28 con l’Atletico Madrid). Reti che si contano, ma soprattutto si pesano. Forlán ha condotto l’Atletico Madrid al successo in Europa League, decidendo anche la finale contro il Fulham; Suarez ha eguagliato il primato di prolificità per uno straniero nella Eredivisie olandese, detenuto dal serbo Mateja Kezman, mettendosi alle spalle gente come Romario, Ronaldo e Jari Litmanen. Entrambi oggi stanno facendo vivere alla Celeste un’avventura Mondiale come non accadeva da quarant’anni, ovvero da quando a Mexico 70 l’Uruguay di Mazurkiewicz, Espárrago e Cubilla, che bloccò sullo 0-0 l’Italia nel gruppo eliminatorio, venne fermato in semifinale dal Brasile di Pelè.
Suarez e Forlán, non certo i due giocatori più attesi del Mondiale. Il primo, sempre in doppia cifra fin dagli esordi nel Nacional Montevideo e, in Europa, nel Groningen, con appiccicata l’etichetta di bomber di provincia, perché in Olanda, o in altri campionati “minori”, dicono che segnare sia più facile (poi però i flop mondiali si chiamano Anelka, Gilardino e Rooney). Il secondo sempre ignorato dai club di vertice dopo la non esaltante esperienza nel Manchester United (i tifosi lo chiamavano Diego Birtles, accostandolo ad un famoso divora-gol degli anni Ottanta Garry Birtles, una sorta di Egidio Calloni d’Albione), a dispetto delle caterve di reti dispensate con Villareal e Atletico Madrid, che gli sono valse anche due Scarpe d’Oro.
Per sfruttare al meglio il talento della coppia il ct Oscar Washington Tabarez ha ridisegnato la squadra: cassato il 3-4-1-2 proposto nel brutto esordio contro la Francia, ecco un 4-3-3 con Suarez prima punta e Forlán più arretrato, quasi in posizione di regista, con libertà di movimento pressoché assoluta. Hanno completato il quadro l’inserimento di Edinson Cavani sull’ala destra, e un’impalcatura solida retta in mediana dalla coppia Egidio Arevalo-Diego Perez e nelle retrovie da Diego Lugano. Risultato: doppietta di Forlán al Sudafrica, reti decisive di Suarez contro Messico e Corea del Sud. Per quest’ultimo l’ottimo Mondiale fin qui disputato rappresenta un motivo di orgoglio particolare, considerando che ad undici anni fu costretto a rifiutare la convocazione ad uno stage di selezione per le nazionali giovanili uruguaiane perché la sua famiglia non aveva nemmeno i soldi per comprargli le scarpe.
Suarez e Forlán stanno riuscendo dove Alvaro Recoba ha più volte fallito: regalare all’Uruguay sprazzi di quell’antica gloria che, a cavallo tra gli anni Venti e i Cinquanta, aveva portato in bacheca due coppe del mondo, due ori olimpici e cinque coppe America, mettendo in mostra campioni quali la Maravilha Negra Andrade, Juan Alberto Schiaffino e Alcides Ghiggia. Dopo il 1970 invece il buio, con l’Uruguay che fa notizia per i calci piuttosto che per il calcio: al Mondiale 86 Josè Batista regala alla sua squadra il primato dell’espulsione più veloce in una coppa del mondo facendosi cacciare dal campo, nel match contro la Scozia, dopo soli 55 secondi. Nell’ultimo ventennio, infine, tante aspettative puntualmente frustrate da risultati modesti: proprio la storia, in estremi sintesi, di Recoba. Acqua passata. Oggi i cieli sopra Montevideo sono tornati a colorarsi di celeste. Come la maglia di una storica nazionale.
Fonte: Il Giornale
Suarez e Forlán, non certo i due giocatori più attesi del Mondiale. Il primo, sempre in doppia cifra fin dagli esordi nel Nacional Montevideo e, in Europa, nel Groningen, con appiccicata l’etichetta di bomber di provincia, perché in Olanda, o in altri campionati “minori”, dicono che segnare sia più facile (poi però i flop mondiali si chiamano Anelka, Gilardino e Rooney). Il secondo sempre ignorato dai club di vertice dopo la non esaltante esperienza nel Manchester United (i tifosi lo chiamavano Diego Birtles, accostandolo ad un famoso divora-gol degli anni Ottanta Garry Birtles, una sorta di Egidio Calloni d’Albione), a dispetto delle caterve di reti dispensate con Villareal e Atletico Madrid, che gli sono valse anche due Scarpe d’Oro.
Per sfruttare al meglio il talento della coppia il ct Oscar Washington Tabarez ha ridisegnato la squadra: cassato il 3-4-1-2 proposto nel brutto esordio contro la Francia, ecco un 4-3-3 con Suarez prima punta e Forlán più arretrato, quasi in posizione di regista, con libertà di movimento pressoché assoluta. Hanno completato il quadro l’inserimento di Edinson Cavani sull’ala destra, e un’impalcatura solida retta in mediana dalla coppia Egidio Arevalo-Diego Perez e nelle retrovie da Diego Lugano. Risultato: doppietta di Forlán al Sudafrica, reti decisive di Suarez contro Messico e Corea del Sud. Per quest’ultimo l’ottimo Mondiale fin qui disputato rappresenta un motivo di orgoglio particolare, considerando che ad undici anni fu costretto a rifiutare la convocazione ad uno stage di selezione per le nazionali giovanili uruguaiane perché la sua famiglia non aveva nemmeno i soldi per comprargli le scarpe.
Suarez e Forlán stanno riuscendo dove Alvaro Recoba ha più volte fallito: regalare all’Uruguay sprazzi di quell’antica gloria che, a cavallo tra gli anni Venti e i Cinquanta, aveva portato in bacheca due coppe del mondo, due ori olimpici e cinque coppe America, mettendo in mostra campioni quali la Maravilha Negra Andrade, Juan Alberto Schiaffino e Alcides Ghiggia. Dopo il 1970 invece il buio, con l’Uruguay che fa notizia per i calci piuttosto che per il calcio: al Mondiale 86 Josè Batista regala alla sua squadra il primato dell’espulsione più veloce in una coppa del mondo facendosi cacciare dal campo, nel match contro la Scozia, dopo soli 55 secondi. Nell’ultimo ventennio, infine, tante aspettative puntualmente frustrate da risultati modesti: proprio la storia, in estremi sintesi, di Recoba. Acqua passata. Oggi i cieli sopra Montevideo sono tornati a colorarsi di celeste. Come la maglia di una storica nazionale.
Fonte: Il Giornale
giovedì 1 luglio 2010
World Cup Quarter-final: Holland vs Brazil Match Preview
Boring football is the new Dutch style
So far Holland have shown they are a solid, but unspectacular team. Bert van Marwijk’s men scored a perfect winning record in the group stage, and breezed past Slovakia in the last 16 with little effort. Despite qualifying for the quarter-finals, there have been reasons to be concerned about the quality of the football on show. However, saving the best for last seems to be Holland’s new approach.
The Oranje’s "water-carriers" more than stars have impressed so far. Nigel de Jong and Mark van Bommel, the two defensive midfielders in Van Marwijk’s 4-2-3-1 system, have helped the midfield to be largely functional and protect the back four. Up front, Wesley Sneijder is perhaps the only Dutchman trying to improve the fluidity of Holland’s play, while the rest of the team appear to be waiting for Arjen Robben to fully recover from his hamstring injury.
Under Van Marwijk, Holland have stretched their longest ever unbeaten streak to 23 games, currently the longest in international football. Although the coach has gone on record as saying he too has been frustrated by the lack of panache shown by his side, he always remembers the end result is his priority. The coach will continue with his radical (by Dutch standards), if unpopular, approach until the end.
Favourites Brazil choose substance over style
Brazil is perhaps the only country in which every result at a World Cup is considered a failure if victory at the final does not arrive at the end of the tournament. Dunga’s men opened the competition with a poor display against North Korea, but soon learned from this and easily dispatched the Ivory Coast in their next match, finishing with a draw against Portugal. While Chile were beaten in the last 16, Brazil’s philosophy of joga bonito doesn’t seem to have a natural home within the Seleção anymore. Dunga has shown his men the value of patience as Brazil wait until their opponents make a mistake and hit them hard with a fast moving quality attack.
With Kaka still searching for his best form, the inspiration has come from Robinho and Luis Fabiano. The latter showed his worth by netting a pair against the Ivory Coast, then scoring the second goal in the comfortable 3-0 win over Chile. Is it enough to stop the Brazilian public dreaming of Ronaldinho, Alexandre Pato and Adriano? Perhaps. Indeed, the side is extremely well balanced with Lucio and Juan looking comfortable alongside full backs Maicon and Michel Bastos.
Swapping good football for pragmatism in order to triumph has caused Dunga savage criticism back home. The coach however has hit back, saying that even his most ardent critics cannot quibble with his results: The Confederations Cup in 2009, top spot in their qualifying group and the 2007 Copa America. No Brazilian flair? Dunga takes no notice of that, and as with his opposite number van Marwijk, will continue with his radical, if largely unpopular, choice.
Players to watch
Holland – Arjen Robben: The Bayern Munich winger can add speed and fantasy to the Oranje, two things they’ve missed so far. Provided Robben starts the game he should prove a constant thorn in the side of the Brazilian defence, forcing left back Michel Bastos to pay less attention to his attacking duties. Although the winger has not yet hit peak fitness, he did notch the opening goal against Slovakia. Robben was also key in Holland’s 2-1 win over Cameroon – his World Cup debut – hitting the inside of the post with a powerful shot and providing Klaas-Jan Huntelaar with the assist for the winning goal.
Brazil – Maicon: Brazil’s right back opened the scoring in the country’s first match against North Korea, slotting home from an unlikely angle. The Inter man’s unique mix of speed and strength along the right flank can be the perfect weapon against the Dutch defence, considering that along the way he will meet 37-year-old Giovanni van Bronckhorst. In the last 16 Maicon kept Chile’s dangerous wingers Mark Gonzalez and Jean Beausejour relatively quiet.
Match prediction
On paper Brazil vs Holland should be a triumph of attacking and spectacular football, but that expectation looks unlikely to be met. The win at all costs mentality held by both Van Marwijk and Dunga is not the best guarantee of a thrilling match. Both coaches will focus on strong tactical organisation, patiently waiting for the other side to make a mistake. This quarter-final looks set to be a game of chess, where the smartest, or even the luckiest, will prevail. In the end a close contest, probably heading towards a goalless draw that Brazil will win on penalties.
Fonte: Inside Futbol
So far Holland have shown they are a solid, but unspectacular team. Bert van Marwijk’s men scored a perfect winning record in the group stage, and breezed past Slovakia in the last 16 with little effort. Despite qualifying for the quarter-finals, there have been reasons to be concerned about the quality of the football on show. However, saving the best for last seems to be Holland’s new approach.
The Oranje’s "water-carriers" more than stars have impressed so far. Nigel de Jong and Mark van Bommel, the two defensive midfielders in Van Marwijk’s 4-2-3-1 system, have helped the midfield to be largely functional and protect the back four. Up front, Wesley Sneijder is perhaps the only Dutchman trying to improve the fluidity of Holland’s play, while the rest of the team appear to be waiting for Arjen Robben to fully recover from his hamstring injury.
Under Van Marwijk, Holland have stretched their longest ever unbeaten streak to 23 games, currently the longest in international football. Although the coach has gone on record as saying he too has been frustrated by the lack of panache shown by his side, he always remembers the end result is his priority. The coach will continue with his radical (by Dutch standards), if unpopular, approach until the end.
Favourites Brazil choose substance over style
Brazil is perhaps the only country in which every result at a World Cup is considered a failure if victory at the final does not arrive at the end of the tournament. Dunga’s men opened the competition with a poor display against North Korea, but soon learned from this and easily dispatched the Ivory Coast in their next match, finishing with a draw against Portugal. While Chile were beaten in the last 16, Brazil’s philosophy of joga bonito doesn’t seem to have a natural home within the Seleção anymore. Dunga has shown his men the value of patience as Brazil wait until their opponents make a mistake and hit them hard with a fast moving quality attack.
With Kaka still searching for his best form, the inspiration has come from Robinho and Luis Fabiano. The latter showed his worth by netting a pair against the Ivory Coast, then scoring the second goal in the comfortable 3-0 win over Chile. Is it enough to stop the Brazilian public dreaming of Ronaldinho, Alexandre Pato and Adriano? Perhaps. Indeed, the side is extremely well balanced with Lucio and Juan looking comfortable alongside full backs Maicon and Michel Bastos.
Swapping good football for pragmatism in order to triumph has caused Dunga savage criticism back home. The coach however has hit back, saying that even his most ardent critics cannot quibble with his results: The Confederations Cup in 2009, top spot in their qualifying group and the 2007 Copa America. No Brazilian flair? Dunga takes no notice of that, and as with his opposite number van Marwijk, will continue with his radical, if largely unpopular, choice.
Players to watch
Holland – Arjen Robben: The Bayern Munich winger can add speed and fantasy to the Oranje, two things they’ve missed so far. Provided Robben starts the game he should prove a constant thorn in the side of the Brazilian defence, forcing left back Michel Bastos to pay less attention to his attacking duties. Although the winger has not yet hit peak fitness, he did notch the opening goal against Slovakia. Robben was also key in Holland’s 2-1 win over Cameroon – his World Cup debut – hitting the inside of the post with a powerful shot and providing Klaas-Jan Huntelaar with the assist for the winning goal.
Brazil – Maicon: Brazil’s right back opened the scoring in the country’s first match against North Korea, slotting home from an unlikely angle. The Inter man’s unique mix of speed and strength along the right flank can be the perfect weapon against the Dutch defence, considering that along the way he will meet 37-year-old Giovanni van Bronckhorst. In the last 16 Maicon kept Chile’s dangerous wingers Mark Gonzalez and Jean Beausejour relatively quiet.
Match prediction
On paper Brazil vs Holland should be a triumph of attacking and spectacular football, but that expectation looks unlikely to be met. The win at all costs mentality held by both Van Marwijk and Dunga is not the best guarantee of a thrilling match. Both coaches will focus on strong tactical organisation, patiently waiting for the other side to make a mistake. This quarter-final looks set to be a game of chess, where the smartest, or even the luckiest, will prevail. In the end a close contest, probably heading towards a goalless draw that Brazil will win on penalties.
Fonte: Inside Futbol
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