Dopo aver visto Daley Blind giocare una partita pressoché perfetta al centro della difesa del Groningen impegnato all’Amsterdam ArenA contro l’Ajax, il tecnico degli ajacidi Martin Jol è sbottato. Facciamo come gli inglesi, ha detto, e introduciamo una sorta di gentlemen’s agreement tra i club che impedisca ad un giocatore in prestito di scendere in campo nelle partite contro il club che ne detiene il cartellino. Jol ha infatti sudato freddo quando Blind ha liberato a tu per tu davanti a Stekelenburg l’attaccante sloveno Tim Matavz, che però ha fallito l’occasione. Per il lanciatissimo Ajax di questo girone di ritorno (scavalcato il Psv in classifica, Twente nel mirino distante quattro punti), un eventuale passo falso casalingo contro il Groningen avrebbe potuto essere letale per le ambizioni di titolo. Non è andata così, ma Jol vuole evidentemente cautelarsi da ogni rischio, anche in previsione delle partite contro Willem II, dove militano gli ajacidi Jan-Arie van der Heijden e Mitchell Donald, e soprattutto Nec Nijmegen, con quel Jeffrey Sarpong che già in Coppa d’Olanda aveva fatto la voce grossa in casa del “suo” club. Perché a volte non esiste miglior motivazione che scendere in campo contro la squadra in cui vorresti tornare a giocare.
Proprio la Eredivisie è stata teatro, nel recente passato, di due casi di prestiti che hanno “danneggiato” la casa madre. Si sono verificati entrambi nella stagione 2006/2007, quando il Psv Eindhoven si aggiudicò il titolo all’ultima giornata bruciando al fotofinish Ajax e Az Alkmaar. I primi persero il titolo per differenza reti, anzi, per un solo gol di scarto. Forse proprio quello realizzato da Jan Vertronghen nel 2-2 ottenuto dal club di Amsterdam tempo prima contro il modesto Rkc Waalwijck, club nel quale il difensore belga era stato mandato a farsi le ossa. “Jan si è portato appresso questo trauma per cinque mesi”, ha dichiarato Jol nella sua fresca invettiva contro i prestiti. All’Az però successe anche di peggio. In testa alla classifica alla penultima giornata, il club allora guidato da Louis van Gaal perse 2-1 a Rotterdam sul campo di un Excelsior guidato dalla lucida regia di Kees Luijckx, che annichilì l’intera mediana dell’Az. Poi è tornato ad Alkmaar, dove non ha avuto fortuna. Per l’Az dunque, oltre al danno, anche la beffa.
mercoledì 31 marzo 2010
martedì 30 marzo 2010
Preview CSKA Mosca
I nomi illustri non fanno una squadra. Lo sa bene il CSKA Mosca, che per raggiungere il suo miglior piazzamento di sempre – i quarti di finale - nella storia della Champions League, si è affidato allo sconosciuto Leonid Slutskiy, arrivato nell’ottobre 2009 per restituire un’identità ad una squadra scombussolata dalle non felici gestioni di Zico e Juande Ramos, quest’ultima durata la bellezza di un mese e mezzo. Maestri dal punto di vista economico piuttosto che da quello tattico. Ma in periodo di recessione, che ha colpito anche il nuovo Eldorado calcistico della Russian Premier League (vedi il fallimento del Fc Mosca), i tagli non guardano in faccia a nessuno. Tanto più quando si scopre, come ha fatto la squadra russa più vincente del nuovo millennio (tre titoli nazionali, cinque coppe di Russia e la Coppa Uefa nel 2005), che meno è meglio.
CSKA significa Club Sportivo Centrale dell’Esercito. Ai tempi dell’URSS era la squadra dell’Armata Rossa. Ai tempi della globalizzazione invece il suo comandante ha gli occhi a mandorla e i capelli platinati, si chiama Honda (nessuna parentela però con la famosa casa automobilistica nipponica) e guida un plotone comprendente serbi, cileni, cechi e brasiliani. Pagato 6 milioni di euro lo scorso gennaio agli olandesi del Vvv Venlo, Honda è destinato a raccogliere l’eredità di Daniel Carvalho, il grande protagonista della Coppa Uefa vinta cinque anni fa, quale cervello della squadra moscovita. La personalità non gli manca (nel Vvv era capitano nonostante non parlasse una sola parola di olandese), il talento nemmeno. Gli esordi sono più che confortanti: 2 gol nelle prime tre partite di campionato, più la rete decisiva, su punizione, che è valsa al CSKA il passaggio ai quarti di Champions ai danni del favorito Siviglia.
L’artiglieria del CSKA è pericolosa dalla lunga distanza. Le bombe da fuori di Milos Krasic (nazionale serbo ambito da numerosi club europei di prima fascia, 4 reti nell’attuale Champions) e Mark Gonzalez (cileno ex Liverpool e Betis) hanno colpito il Siviglia, sopperendo alla mancanza di una prima punta con il vizio del gol. Il ceco Tomas Necid infatti si è segnalato in Europa più come assist-man che in qualità di finalizzatore, mentre non è finora pervenuto il brasiliano Guilherme, stellina del Cruzeiro finita in doppia cifra nel 2007 e nel 2008, mai però a suo agio nel freddo del Luzhniki.
Detto del 19enne Dzagoev, il “nuovo Arshavin” passato nel giro di un anno dalle giovanili del Krylya Sovetov alla nazionale e al riconoscimento quale miglior giovane del calcio russo, il CSKA torna autoctono nelle retrovie con i fratelli Berezutski, l’esperto centrale Ignashevich, il mediano Aldonin e il “Santon russo” Shchennikov, 18 anni. Un pacchetto arretrato solido ma in difficoltà contro squadre dalla manovra veloce. In porta poi Igor Akinfeev, miglior portiere russo 2009, rappresenta una sorta di terno al lotto, capace di alternare prestazioni super, vedi il derby pareggiato 0-0 contro la Dinamo Mosca due settimane fa, ad errori imbarazzanti, come quello commesso venerdì scorso sul campo del Anzhi Makhachkala.
Per l’Inter una nuova campagna di Russia dopo quella dello scorso autunno contro il Rubin Kazan. Anche questa volta non sarà facile, nonostante l’obbligo del pronostico favorevole.
Fonte: Il Giornale
CSKA significa Club Sportivo Centrale dell’Esercito. Ai tempi dell’URSS era la squadra dell’Armata Rossa. Ai tempi della globalizzazione invece il suo comandante ha gli occhi a mandorla e i capelli platinati, si chiama Honda (nessuna parentela però con la famosa casa automobilistica nipponica) e guida un plotone comprendente serbi, cileni, cechi e brasiliani. Pagato 6 milioni di euro lo scorso gennaio agli olandesi del Vvv Venlo, Honda è destinato a raccogliere l’eredità di Daniel Carvalho, il grande protagonista della Coppa Uefa vinta cinque anni fa, quale cervello della squadra moscovita. La personalità non gli manca (nel Vvv era capitano nonostante non parlasse una sola parola di olandese), il talento nemmeno. Gli esordi sono più che confortanti: 2 gol nelle prime tre partite di campionato, più la rete decisiva, su punizione, che è valsa al CSKA il passaggio ai quarti di Champions ai danni del favorito Siviglia.
L’artiglieria del CSKA è pericolosa dalla lunga distanza. Le bombe da fuori di Milos Krasic (nazionale serbo ambito da numerosi club europei di prima fascia, 4 reti nell’attuale Champions) e Mark Gonzalez (cileno ex Liverpool e Betis) hanno colpito il Siviglia, sopperendo alla mancanza di una prima punta con il vizio del gol. Il ceco Tomas Necid infatti si è segnalato in Europa più come assist-man che in qualità di finalizzatore, mentre non è finora pervenuto il brasiliano Guilherme, stellina del Cruzeiro finita in doppia cifra nel 2007 e nel 2008, mai però a suo agio nel freddo del Luzhniki.
Detto del 19enne Dzagoev, il “nuovo Arshavin” passato nel giro di un anno dalle giovanili del Krylya Sovetov alla nazionale e al riconoscimento quale miglior giovane del calcio russo, il CSKA torna autoctono nelle retrovie con i fratelli Berezutski, l’esperto centrale Ignashevich, il mediano Aldonin e il “Santon russo” Shchennikov, 18 anni. Un pacchetto arretrato solido ma in difficoltà contro squadre dalla manovra veloce. In porta poi Igor Akinfeev, miglior portiere russo 2009, rappresenta una sorta di terno al lotto, capace di alternare prestazioni super, vedi il derby pareggiato 0-0 contro la Dinamo Mosca due settimane fa, ad errori imbarazzanti, come quello commesso venerdì scorso sul campo del Anzhi Makhachkala.
Per l’Inter una nuova campagna di Russia dopo quella dello scorso autunno contro il Rubin Kazan. Anche questa volta non sarà facile, nonostante l’obbligo del pronostico favorevole.
Fonte: Il Giornale
lunedì 29 marzo 2010
Quando Walker valeva Sneijder
Accadeva esattamente otto anni fa, il 29 marzo 2002. Una squadra giovanile ad un passo dalla finale di coppa nazionale. Un evento più unico che raro, che quel venerdì sera all’Amsterdam ArenA rischiò seriamente di avverarsi. Lo Jong Ajax scendeva in campo di fronte a 19mila persone per affrontare l’Utrecht, nella prima delle due semifinali di coppa d’Olanda edizione 2001/2002. Nei Paesi Bassi infatti la coppa nazionale è un torneo aperto all’iscrizione non solo delle società dilettantistiche, come accade in numerosi altri stati (Italia esclusa), ma anche alle sezioni giovanili dei club professionistici. Lo Jong Ajax aveva iniziato la propria avventura il 10 agosto dell’anno prima infliggendo un rotondo 5-1 agli amatori dell’Huizen, per poi proseguire con altri due successi ai danni di ADO’20 e Volendam, che avevano garantito alla squadra guidata da Jan Olde Riekerink il primato del girone e la conseguente qualificazione alla fase ad eliminazione diretta. Dove i ragazzi terribili di Amsterdam hanno la meglio su Haarlem, De Graafschap, Twente e Stormvogels Telstar.
Ecco quindi l’Utrecht, il cui terzino Stijn Vreven dichiara prima del fischio di inizio di essere disposto a mangiarsi le scarpe se la sua squadra dovesse uscire contro “quei topolini”. Parole che, dietro la facciata provocatoria, non riescono a mascherare un più che giustificato timore di andare incontro ad una figuraccia, tanto più che Ajax e Utrecht sono club divisi da un’accesa rivalità modello Juventus-Fiorentina. Gli ospiti sono in buon momento: la squadra può contare su diversi giocatori “di categoria” (l’ex Udinese Wapenaar tra i pali, il play belga Tanghe a centrocampo, il centrale Zwaanswijk, la punta Glusevic), ai quali si uniscono un paio di giovani dal promettente avvenire: l’esterno sinistro Dave van der Bergh e soprattutto la punta Dirk Kuijt.
L’Ajax per contro deve rinunciare a John Heitinga e Steven Pienaar, entrambi cooptati dalla selezione maggiore, nonché al suo elemento più talentuoso, Wesley Sneijder (che verrà premiato a fine stagione quale miglior giocatore dello Jong Ajax), out per infortunio. La formazione pertanto è la seguente: Stekelenburg in porta, coppia centrale composta da Pasanen e Kras, con Mofokeng terzino destro e Valencia sull’out opposto; centrocampo a tre con Obodai, Fronio Walker e Stefano Seedorf (cugino di Clarence), quindi tridente d’attacco con Quansah punta centrale, supportato ai lati da Bechan e Culina. Nel corso dell’incontro entreranno in campo Nando Rafael, Jelle Van Damme e Nigel de Jong.
La temibile coppia d’attacco Kuijt-Glusevic non perdona, e dopo 62 minuti l’Utrecht conduce per due reti a zero. Sogno finito? Non per Nando Rafael, che prima riapre il match con tiro secco dal limite, quindi, a cinque minuti dalla fine, incorna un cross di Valencia ristabilendo la parità. Sugli spalti dell’Amsterdam ArenA compare lo striscione con la scritta “the youth has the future”. I supplementari si aprono ancora con un guizzo di Rafael, sventato però miracolosamente da Wapenaar. Dall’altro lato del campo però anche il collega Stekelenburg ha parecchio lavoro da svolgere. L’epilogo più logico sono i calci di rigore. Dove non sbaglia nessuno fino al settimo tiro, quando arriva l’errore decisivo di Pasanen.
Era un’ottima annata, quella, per lo Jong Ajax, come dimostrato dalla carriera dei giocatori in campo quel giorno. Alcuni di loro sono diventati nazionali (Stekelenburg, De Jong, Pasanen, Culina, Van Damme, più gli assenti Heitinga, Pienaar e Sneijder), altri sono comunque diventati titolari in squadre di Eredivisie (ad esempio Quansah, che ha arretrato il suo raggio di azione a centrocampo ed oggi è uno dei migliori giocatori della rivelazione Heracles Almelo). Quel 29 marzo però il più pronto per il grande salto nel professionismo sembrò il brasiliano Americo Fronio Walker, difensore centrale/mediano lucido e di grande temperamento. Ma come talvolta accade, la promessa non è stata mantenuta. Dopo un anno in prestito al GBA in Belgio, Walker e tornato in patria nell’Atletico Mineiro prima di perdersi nel magma delle divisioni inferiori. Eppure all'epoca valeva Wesley Sneijder.
PS L’Utrecht perderà quella finale 3-2 contro…..l’Ajax.
Ecco quindi l’Utrecht, il cui terzino Stijn Vreven dichiara prima del fischio di inizio di essere disposto a mangiarsi le scarpe se la sua squadra dovesse uscire contro “quei topolini”. Parole che, dietro la facciata provocatoria, non riescono a mascherare un più che giustificato timore di andare incontro ad una figuraccia, tanto più che Ajax e Utrecht sono club divisi da un’accesa rivalità modello Juventus-Fiorentina. Gli ospiti sono in buon momento: la squadra può contare su diversi giocatori “di categoria” (l’ex Udinese Wapenaar tra i pali, il play belga Tanghe a centrocampo, il centrale Zwaanswijk, la punta Glusevic), ai quali si uniscono un paio di giovani dal promettente avvenire: l’esterno sinistro Dave van der Bergh e soprattutto la punta Dirk Kuijt.
L’Ajax per contro deve rinunciare a John Heitinga e Steven Pienaar, entrambi cooptati dalla selezione maggiore, nonché al suo elemento più talentuoso, Wesley Sneijder (che verrà premiato a fine stagione quale miglior giocatore dello Jong Ajax), out per infortunio. La formazione pertanto è la seguente: Stekelenburg in porta, coppia centrale composta da Pasanen e Kras, con Mofokeng terzino destro e Valencia sull’out opposto; centrocampo a tre con Obodai, Fronio Walker e Stefano Seedorf (cugino di Clarence), quindi tridente d’attacco con Quansah punta centrale, supportato ai lati da Bechan e Culina. Nel corso dell’incontro entreranno in campo Nando Rafael, Jelle Van Damme e Nigel de Jong.
La temibile coppia d’attacco Kuijt-Glusevic non perdona, e dopo 62 minuti l’Utrecht conduce per due reti a zero. Sogno finito? Non per Nando Rafael, che prima riapre il match con tiro secco dal limite, quindi, a cinque minuti dalla fine, incorna un cross di Valencia ristabilendo la parità. Sugli spalti dell’Amsterdam ArenA compare lo striscione con la scritta “the youth has the future”. I supplementari si aprono ancora con un guizzo di Rafael, sventato però miracolosamente da Wapenaar. Dall’altro lato del campo però anche il collega Stekelenburg ha parecchio lavoro da svolgere. L’epilogo più logico sono i calci di rigore. Dove non sbaglia nessuno fino al settimo tiro, quando arriva l’errore decisivo di Pasanen.
Era un’ottima annata, quella, per lo Jong Ajax, come dimostrato dalla carriera dei giocatori in campo quel giorno. Alcuni di loro sono diventati nazionali (Stekelenburg, De Jong, Pasanen, Culina, Van Damme, più gli assenti Heitinga, Pienaar e Sneijder), altri sono comunque diventati titolari in squadre di Eredivisie (ad esempio Quansah, che ha arretrato il suo raggio di azione a centrocampo ed oggi è uno dei migliori giocatori della rivelazione Heracles Almelo). Quel 29 marzo però il più pronto per il grande salto nel professionismo sembrò il brasiliano Americo Fronio Walker, difensore centrale/mediano lucido e di grande temperamento. Ma come talvolta accade, la promessa non è stata mantenuta. Dopo un anno in prestito al GBA in Belgio, Walker e tornato in patria nell’Atletico Mineiro prima di perdersi nel magma delle divisioni inferiori. Eppure all'epoca valeva Wesley Sneijder.
PS L’Utrecht perderà quella finale 3-2 contro…..l’Ajax.
sabato 27 marzo 2010
Una finale Classica
La finale di Coppa d’Olanda 2010 vedrà di fronte le due rivali per eccellenza del calcio olandese, Ajax e Feyenoord. Gli ajacidi hanno demolito 6-0 a Deventer i cadetti del Go Ahead Eagles, confermando il proprio momento di forma strepitoso. Poco da raccontare dell’incontro, con l’Ajax già in vantaggio dopo undici minuti grazie ad un destro di Demy de Zeeuw. I padroni di casa, privi di numerosi titolari, non reagiscono. Marko Pantelic raddoppia, poi è festa nell’ultimo quarto d’ora per Siem de Jong, Dennis Rommedahil, Christian Eriksen e Nicolas Lodeiro, questi ultimi due al primo gol ufficiale in maglia biancorossa. L’Ajax approda in finale con uno score di 27 reti realizzate in 5 partite. Solo nella stagione 60/61 la squadra di Amsterdam era riuscita a fare meglio, totalizzando ben 40 reti in 9 incontri, e vincendo la coppa.
L’ultimo ostacolo per l’Ajax é rappresentato dal Feyenoord, che mercoledì ha negato al Twente di Steve McClaren la seconda finale di coppa consecutiva, dopo quella dello scorso anno persa ai rigori contro l’Heerenveen. I Tukkers, superiori agli avversari dal punto di vista della compattezza e della fluidità di manovra, non sono stati in grado di chiudere la partita nel momento più propizio, ovvero il primo tempo. Con un Feyenoord capace di produrre in quarantacinque minuti un solo di tiro nello specchio della porta avversaria con il 17enne Castaignos, il Twente ha sciupato malamente diverse occasioni, pagando dazio ad un reparto offensivo rimaneggiato per due terzi (fuori gli affaticati Stoch e Nkufo, dentro Parker e Luuk de Jong). La rete di Ruiz, arrivata su assist di De Jong dopo una palla persa di Wijnaldum ed una dormita di Fer, ha rappresentato il minimo risultato con il massimo sforzo. Insufficiente però per contenere la reazione nella ripresa di un Feyenoord rivitalizzato dall’ingresso di Roy Makaay accanto a Castaignos, con conseguente passaggio ad un attacco a due. Largo ai vecchi, per una volta; tra i pali il 41enne Van Dijk mostra sempre sicurezza e personalità, al resto ci pensano Van Bronckhorst, che pareggia i conti con un tiro nell’angolino lontano, e Makaay, implacabile nel finalizzare un bello spunto di Fer. I McClaren boys invece si fermano sul palo colpito da Tiotè.
L’ultimo ostacolo per l’Ajax é rappresentato dal Feyenoord, che mercoledì ha negato al Twente di Steve McClaren la seconda finale di coppa consecutiva, dopo quella dello scorso anno persa ai rigori contro l’Heerenveen. I Tukkers, superiori agli avversari dal punto di vista della compattezza e della fluidità di manovra, non sono stati in grado di chiudere la partita nel momento più propizio, ovvero il primo tempo. Con un Feyenoord capace di produrre in quarantacinque minuti un solo di tiro nello specchio della porta avversaria con il 17enne Castaignos, il Twente ha sciupato malamente diverse occasioni, pagando dazio ad un reparto offensivo rimaneggiato per due terzi (fuori gli affaticati Stoch e Nkufo, dentro Parker e Luuk de Jong). La rete di Ruiz, arrivata su assist di De Jong dopo una palla persa di Wijnaldum ed una dormita di Fer, ha rappresentato il minimo risultato con il massimo sforzo. Insufficiente però per contenere la reazione nella ripresa di un Feyenoord rivitalizzato dall’ingresso di Roy Makaay accanto a Castaignos, con conseguente passaggio ad un attacco a due. Largo ai vecchi, per una volta; tra i pali il 41enne Van Dijk mostra sempre sicurezza e personalità, al resto ci pensano Van Bronckhorst, che pareggia i conti con un tiro nell’angolino lontano, e Makaay, implacabile nel finalizzare un bello spunto di Fer. I McClaren boys invece si fermano sul palo colpito da Tiotè.
venerdì 26 marzo 2010
Romelu Lukaku Blitzing Belgian Football with Anderlecht
Despite being just 16 years old, Romelu Lukaku is already considered as arguably the most talented player in all of Anderlecht’s history. The Belgian-Congolese forward recently bagged his 15th Jupiler League goal and in doing so became the youngest top scorer ever in Belgium’s top flight. At 16 years, 10 months and eight days, Lukaku beat the record set by Maurice Bunyan, who netted 25 goals when he was just 17 years and seven months old with RC Brussel in the 1911/12 season.
The country’s top flight has, under the rules of a new format, seen its regular season end. Now, teams placed one to six (Anderlecht, Club Brugge, Gent, Kortrijk, Sint-Truidense and Zulte Waregem) will play off for the title, starting with half the points gained during the normal campaign. After a fantastic regular season, Lukaku’s Anderlecht surely can’t fail to win the Jupiler League.
Romelu Lukaku is the son of former player Roger Lukaku, who spent the majority of his career in Belgium, with a brief stint in Turkey with Genclerbirligi. When his son was 15, Roger Lukaku advised him to reject a €1M offer from English side Chelsea, not wanting him to leave Brussels too soon. “Romelu must first complete his studies and development”, warned his father. Lukaku senior surely knew the case of Nii Lamptey, one of the most gifted players seen in Belgium, who did not though live up to his billing. Lamptey too broke into the professional game with Anderlecht.
When Lamptey was a teenager he was considered Africa’s answer to Pele, awarded with the Golden Ball at the 1991 FIFA Under-17 World Championship. The youngster made his debut at 16 for Anderlecht, becoming the youngest ever scorer in European competition. Lamptey went on to lead Ghana’s Under-20 team to the final of the 1993 FIFA Under-20 World Championship (the Black Stars losing out to Brazil 2-1), also winning a bronze medal at the 1992 Olympic Games in Barcelona. It then came as little surprise when Lamptey swapped Belgium for Holland and Anderlecht for PSV Eindhoven, arriving at the Phillips Stadion as a superstar. For the Ghana man though, the career at the top of the game never quite happened as he suffered a string of failures which soon burnt him out far ahead of time. Lamptey became very well travelled, playing in China, Turkey, Germany, the Middle East and even South America, but wherever he went he was never able to arrest his decline, or rediscover the promise of his youth.
Lamptey serves as a warning for Lukaku. Instead the youngster has another role model, Didier Drogba, to whom he has often been compared by the Belgian press. Physically strong, the young Anderlecht striker has pace, power, a good head and shot (with his left foot) and is able to hold the ball up with ease, bringing those around him into the game. In this season’s Europa League, Lukaku showed he could score outside Belgium too, managing two against Ajax and in the process becoming the third youngest goalscorer ever in European competition, behind of course Lamptey and IFK Gothenburg’s Niklas Barkroth. He followed those goals up with strikes against Athletic Bilbao and Hamburg.
The Antwerp born striker was irresistable at youth level: 68 goals scored with FC Brussels, 59 with Anderlecht’s Under-15s, 34 with their Under-17s and 26 with the club’s Under-19s. On 13th May, 2009, Lukaku signed his first professional contract with the Belgian giants, making his debut just 11 days later in the championship playoff return match with Standard Liege. In the process he became the youngest player to wear the Anderlecht shirt, just as it was for stars like Paul van Himst, Nii Lamptey, Celestine Babayaro and Anthony Vanden Borre.
This season has seen Paars-wit coach Ariel Jacobs ease the 16-year-old steadily into the starting eleven. On 3rd March, 2010, Lukaku made his senior debut for Belgium in a friendly against Croatia in yet a further sign as to the esteem in which he is held. Off the pitch Lukaku also saw his Anderlecht shirt become the most expensive item sold in a bring and buy sale organised by SOS Kinderdorf, the world’s largest charity dedicated to orphaned and abandoned children. It fetched €4,511.
Indeed, the future looks very bright for Romelu Lukaku, but it remains essential that he heeds the words of his father and does not move too soon. It is a view others share. “There’s no doubt about his qualities.” said Chelsea owner Roman Abramovich’s personal advisor and former PSV chief scout Piet de Visser. “Is Lukaku ready for a top club? Not yet in my opinion, and of course he needs to improve and gain experience. Actually Anderlecht is the best club for his development. It would be sad to see him at Chelsea sitting on the bench. What will he learn then?”
In the summer of 2008 Everton bought Marouane Fellaini for €20M from Standard Liege and in so doing made the midfielder the most expensive Belgian player ever. Few would bet against that record not being broken by Lukaku, Belgian football’s next big thing. And if he achieves what many believe he can, then that €4,511 paid for his shirt might seem like very good business indeed.
Fonte: Inside Futbol
The country’s top flight has, under the rules of a new format, seen its regular season end. Now, teams placed one to six (Anderlecht, Club Brugge, Gent, Kortrijk, Sint-Truidense and Zulte Waregem) will play off for the title, starting with half the points gained during the normal campaign. After a fantastic regular season, Lukaku’s Anderlecht surely can’t fail to win the Jupiler League.
Romelu Lukaku is the son of former player Roger Lukaku, who spent the majority of his career in Belgium, with a brief stint in Turkey with Genclerbirligi. When his son was 15, Roger Lukaku advised him to reject a €1M offer from English side Chelsea, not wanting him to leave Brussels too soon. “Romelu must first complete his studies and development”, warned his father. Lukaku senior surely knew the case of Nii Lamptey, one of the most gifted players seen in Belgium, who did not though live up to his billing. Lamptey too broke into the professional game with Anderlecht.
When Lamptey was a teenager he was considered Africa’s answer to Pele, awarded with the Golden Ball at the 1991 FIFA Under-17 World Championship. The youngster made his debut at 16 for Anderlecht, becoming the youngest ever scorer in European competition. Lamptey went on to lead Ghana’s Under-20 team to the final of the 1993 FIFA Under-20 World Championship (the Black Stars losing out to Brazil 2-1), also winning a bronze medal at the 1992 Olympic Games in Barcelona. It then came as little surprise when Lamptey swapped Belgium for Holland and Anderlecht for PSV Eindhoven, arriving at the Phillips Stadion as a superstar. For the Ghana man though, the career at the top of the game never quite happened as he suffered a string of failures which soon burnt him out far ahead of time. Lamptey became very well travelled, playing in China, Turkey, Germany, the Middle East and even South America, but wherever he went he was never able to arrest his decline, or rediscover the promise of his youth.
Lamptey serves as a warning for Lukaku. Instead the youngster has another role model, Didier Drogba, to whom he has often been compared by the Belgian press. Physically strong, the young Anderlecht striker has pace, power, a good head and shot (with his left foot) and is able to hold the ball up with ease, bringing those around him into the game. In this season’s Europa League, Lukaku showed he could score outside Belgium too, managing two against Ajax and in the process becoming the third youngest goalscorer ever in European competition, behind of course Lamptey and IFK Gothenburg’s Niklas Barkroth. He followed those goals up with strikes against Athletic Bilbao and Hamburg.
The Antwerp born striker was irresistable at youth level: 68 goals scored with FC Brussels, 59 with Anderlecht’s Under-15s, 34 with their Under-17s and 26 with the club’s Under-19s. On 13th May, 2009, Lukaku signed his first professional contract with the Belgian giants, making his debut just 11 days later in the championship playoff return match with Standard Liege. In the process he became the youngest player to wear the Anderlecht shirt, just as it was for stars like Paul van Himst, Nii Lamptey, Celestine Babayaro and Anthony Vanden Borre.
This season has seen Paars-wit coach Ariel Jacobs ease the 16-year-old steadily into the starting eleven. On 3rd March, 2010, Lukaku made his senior debut for Belgium in a friendly against Croatia in yet a further sign as to the esteem in which he is held. Off the pitch Lukaku also saw his Anderlecht shirt become the most expensive item sold in a bring and buy sale organised by SOS Kinderdorf, the world’s largest charity dedicated to orphaned and abandoned children. It fetched €4,511.
Indeed, the future looks very bright for Romelu Lukaku, but it remains essential that he heeds the words of his father and does not move too soon. It is a view others share. “There’s no doubt about his qualities.” said Chelsea owner Roman Abramovich’s personal advisor and former PSV chief scout Piet de Visser. “Is Lukaku ready for a top club? Not yet in my opinion, and of course he needs to improve and gain experience. Actually Anderlecht is the best club for his development. It would be sad to see him at Chelsea sitting on the bench. What will he learn then?”
In the summer of 2008 Everton bought Marouane Fellaini for €20M from Standard Liege and in so doing made the midfielder the most expensive Belgian player ever. Few would bet against that record not being broken by Lukaku, Belgian football’s next big thing. And if he achieves what many believe he can, then that €4,511 paid for his shirt might seem like very good business indeed.
Fonte: Inside Futbol
giovedì 25 marzo 2010
Il giocatore della settimana: Blaise Nkufo
Una presenza impalpabile, verrebbe da dire spettrale, non fosse per quella pelle color ebano. Un corricchiare in campo in attesa di una palla di quelle giuste, e vuoi che non ne arrivi almeno una in novanta minuti quando alle tue spalle agiscono un veterano dell’assist (Perez), un piccoletto indemoniato ma un pò nervoso (Stoch) ed un dionoccolato tuttofare (Ruiz) alle prese con una stagione in cui trasforma in oro tutto ciò che luccica? Ed infatti quella palla arriva. Nella prima metà della ripresa del big match di Eindhoven tra Psv e Twente, cinque punti di distacco in classifica a favore degli ospiti, parziale di 1-0 per i padroni di casa. Uno spiraglio, un corridoio, la coppia Rodriguez-Salcido che si apre. La palla di Ruiz taglia lo spazio. L’impalpabile presenza d’ebano diventa tutto ad un tratto viva, concreta, reale. Uno sguardo alla porta, nessun avversario di fronte, eccetto il portiere. Una frazione di secondo per prendere la mira, poi il tiro, preciso, imparabile, sotto l’incrocio. Blaise Nkufo pareggia. Il Twente esce indenne da Eindhoven e supera l’esame di maturità. Il sogno della Eredivisie può continuare.
La rete numero 112 in Eredivisie di Nkufo pesa come un macigno. L’attaccante svizzero-congolese è finito in doppia cifra per la settima stagione consecutiva. L’ultima, dal momento che ha già annunciato la propria partenza in estate per gli Stati Uniti, dove spenderà gli ultimi scampoli di carriera tra le fila dei Seattle Sounders. Tra due mesi sapremo l’esatto valore di questo regalo d’addio lasciato da Nkufo ad una squadra, e ad una tifoseria, che lo adora per tutto ciò che ha fatto in questi sette anni, nonostante il giocatore tutt’oggi non sappia spiaccicare una sola parola di olandese. Ma un attaccante deve saper parlare innanzitutto con i gol, e da questo punto di vista Nkufo non è rimasto in silenzio un solo istante. Chiudere con la conquista del titolo rappresenterebbe la classica ciliegina sulla torta.
La rete numero 112 in Eredivisie di Nkufo pesa come un macigno. L’attaccante svizzero-congolese è finito in doppia cifra per la settima stagione consecutiva. L’ultima, dal momento che ha già annunciato la propria partenza in estate per gli Stati Uniti, dove spenderà gli ultimi scampoli di carriera tra le fila dei Seattle Sounders. Tra due mesi sapremo l’esatto valore di questo regalo d’addio lasciato da Nkufo ad una squadra, e ad una tifoseria, che lo adora per tutto ciò che ha fatto in questi sette anni, nonostante il giocatore tutt’oggi non sappia spiaccicare una sola parola di olandese. Ma un attaccante deve saper parlare innanzitutto con i gol, e da questo punto di vista Nkufo non è rimasto in silenzio un solo istante. Chiudere con la conquista del titolo rappresenterebbe la classica ciliegina sulla torta.
lunedì 22 marzo 2010
Momenti di gloria: Fc Amsterdam
Un tabaccaio part-time con simpatie anarchiche come icona; una fotomodella apparsa nuda davanti alle telecamere dell’emittente VPRO come madrina; una statua divenuta il simbolo della controcultura hippy-ecologista olandese come logo societario. Nessuna squadra, nemmeno l’Ajax di Johan Cruijff, ha saputo incarnare lo spirito rivoluzionario del ’68 come l’Fc Amsterdam di Jan Jongbloed, di lady Phil Bloom e dell’Het Lieverdje (il Piccolo Monello), la statua sita in piazza Spui nella capitale dei Paesi Bassi. Una combriccola talmente fuori dagli schemi da far rifiutare all’amministrazione comunale di Amsterdam persino un incontro con i propri dirigenti. Ma l’Fc Amsterdam rappresentava anche una bella fetta di storia del calcio cittadino, avendo progressivamente incluso nei propri ranghi tre club storici che avevano contribuito alla diffusione e all’affermazione di questo sport in terra olandese: De Volewijckers, Blauw-Wit e Dws. Un collettivo dell’altra Amsterdam; questa può essere la definizione più appropriata per definire i cugini-rivali dell’Ajax lungo tutti gli anni Settanta.
Se il Blauw-Wit era una società che pescava i propri sostenitori tra la media borghesia e la classe lavoratrice di ideologia moderata, il De Volewijckers faceva invece riferimento al popolo di fede comunista, molti dei quali erano stati membri attivi della resistenza durante l’occupazione nazista, quando anche una semplice partita di campionato diventava il pretesto per un regolamento di conti con i collaborazionisti. Evento che si avverava puntualmente quando il De Volewijckers si recava in trasferta a Den Haag per affrontare l’Ado, squadra i cui tifosi, ieri come oggi, pendevano decisamente a destra. Ma mentre il Blauw-Wit si caratterizzava soprattutto per le auto dei supporter dipinte a strisce orizzontali bianco-blu e per avere tra le proprie stelle Martin Koeman, papà di Ronald ed Erwin, il De Volewijckers poteva mostrare una bacheca in cui era presente un titolo nazionale, vinto nel 1944 in piena Seconda Guerra Mondiale. Un successo inaspettato che interrompeva il filotto di due campionati consecutivi dell’odiatissimo Ado Den Haag.
Ancora più esaltante era però il curriculum vitae del Dws; retrocesso in Seconda Divisione nel 1962, stagione che per la prima e unica volta aveva visto andare in scena ben dodici di derby di Amsterdam, stante la contemporanea presenza dei quattro club in Eredivisie, la squadra “dotata di forza di volontà” (questo il significato dell’acronimo Dws) era risalita due anni dopo vincendo clamorosamente il campionato. Non fu però puro caso, dal momento che il presidente Solleveld aveva messo mano al portafoglio presentando una società dotata di un apparato completamente professionista, comprendente una scuola calcio, talent scout a tempo pieno e nuove figure di staff quale quella del direttore tecnico. Non mancavano ovviamente i grandi giocatori, da Jongbloed a Rinus Israel, da Frits Flinkevleugel a Henk Wery fino a Frans Geurtsen, capocannoniere del campionato con 28 gol. L’anno successivo l’avventura in Coppa dei Campioni del Dws si ferma ai quarti di finali contro il Vasas Györ allenato da Nandor Hidegkuti, una delle leggende della Grande Ungheria, dopo aver fatto strage di palle gol sia all’Olympisch Stadion che in Ungheria.
Dagli inizi degli anni Settanta ecco invece l’Fc Amsterdam, i cui momenti migliori si collocano tra il 1973 e il 1975 con un quinto posto in Eredivisie e la conseguente partecipazione alla Coppa Uefa la stagione seguente. Dove, dopo l’Hibernian La Valletta, dall’urna esce l’Inter di Mazzola, Facchetti e Boninsegna. Il 23 ottobre 1974 gli olandesi si presentano in campo reduci da una serata a base di rum e coca cola, ma passano solo pochi minuti dal fischio d’inizio e Nico Jansen batte Bordon gelando i 30mila di San Siro e facendo la felicità dell’unico tifoso dell’Fc Amsterdam (Cor Visser, pubblicitario del quotidiano Het Parool) arrivato a Milano per sostenere la propria squadra. Jansen colpisce di nuovo a inizio ripresa, poi Boninsegna dimezza lo svantaggio ribattendo in rete un rigore che Jongbloed gli aveva respinto, mentre pochi minuti dopo tocca a Theo Husers calciare alto dal dischetto. Reti inviolate invece due settimane dopo ad Amsterdam. L’eliminazione dell’Inter da parte di un manipolo di semi-sconosciuti fa scalpore sia in Italia che in Olanda. La festa europea dell’Fc finisce ai quarti di finale per mano del Colonia di Dieter Müller.
Nell’agosto del 1979 la rete televisiva giapponese Tokyo Channel Tv organizza un torneo amichevole per festeggiare i propri quindici anni di vita, e richiede la presenza tra i partecipanti della nazionale vice-campione del mondo, ovvero l’Olanda. La Federcalcio olandese accetta la proposta senza nemmeno interpellare giocatori e squadre di club, ottenendo in cambio un rifiuto generalizzato e pressoché unanime nel partire per il Sol Levante per affrontare una massacrante tourné a poche settimane dall’inizio della nuova stagione calcistica. L’impasse viene risolto dal presidente dell’Fc Amsterdam Dé Stoop; datemi le maglie oranje, dice, e in Giappone ci porto i miei. Una squadra di Eerste Divisie (Serie B, campionato in cui l’Fc era retrocesso l’anno precedente) scende così in campo spacciandosi per la nazionale olandese; una truffa gigantesca riuscita perfettamente grazie al beneplacito della Federcalcio giapponese, coinvolta nella mascherata. Ma oltre alla goliardia rimane poco, soprattutto nelle casse del club, per nulla sostenute da risultati sportivi di una qualche rilevanza; il principio della fine si materializza con l’abbandono dell’Olympisch Stadion, troppo grande per la media spettatori della squadra, poi nel 1982 arriva il fallimento. Da quel momento l’Fc Amsterdam rivive solo in qualche sporadica riunione di reduci (Jongbloed, Rensenbrink) all’insegna della nostalgia e dei bei tempi andati. Quando l’età matura non aveva ancora cancellato la capacità di sognare.
Palmares
nessuno
Se il Blauw-Wit era una società che pescava i propri sostenitori tra la media borghesia e la classe lavoratrice di ideologia moderata, il De Volewijckers faceva invece riferimento al popolo di fede comunista, molti dei quali erano stati membri attivi della resistenza durante l’occupazione nazista, quando anche una semplice partita di campionato diventava il pretesto per un regolamento di conti con i collaborazionisti. Evento che si avverava puntualmente quando il De Volewijckers si recava in trasferta a Den Haag per affrontare l’Ado, squadra i cui tifosi, ieri come oggi, pendevano decisamente a destra. Ma mentre il Blauw-Wit si caratterizzava soprattutto per le auto dei supporter dipinte a strisce orizzontali bianco-blu e per avere tra le proprie stelle Martin Koeman, papà di Ronald ed Erwin, il De Volewijckers poteva mostrare una bacheca in cui era presente un titolo nazionale, vinto nel 1944 in piena Seconda Guerra Mondiale. Un successo inaspettato che interrompeva il filotto di due campionati consecutivi dell’odiatissimo Ado Den Haag.
Ancora più esaltante era però il curriculum vitae del Dws; retrocesso in Seconda Divisione nel 1962, stagione che per la prima e unica volta aveva visto andare in scena ben dodici di derby di Amsterdam, stante la contemporanea presenza dei quattro club in Eredivisie, la squadra “dotata di forza di volontà” (questo il significato dell’acronimo Dws) era risalita due anni dopo vincendo clamorosamente il campionato. Non fu però puro caso, dal momento che il presidente Solleveld aveva messo mano al portafoglio presentando una società dotata di un apparato completamente professionista, comprendente una scuola calcio, talent scout a tempo pieno e nuove figure di staff quale quella del direttore tecnico. Non mancavano ovviamente i grandi giocatori, da Jongbloed a Rinus Israel, da Frits Flinkevleugel a Henk Wery fino a Frans Geurtsen, capocannoniere del campionato con 28 gol. L’anno successivo l’avventura in Coppa dei Campioni del Dws si ferma ai quarti di finali contro il Vasas Györ allenato da Nandor Hidegkuti, una delle leggende della Grande Ungheria, dopo aver fatto strage di palle gol sia all’Olympisch Stadion che in Ungheria.
Dagli inizi degli anni Settanta ecco invece l’Fc Amsterdam, i cui momenti migliori si collocano tra il 1973 e il 1975 con un quinto posto in Eredivisie e la conseguente partecipazione alla Coppa Uefa la stagione seguente. Dove, dopo l’Hibernian La Valletta, dall’urna esce l’Inter di Mazzola, Facchetti e Boninsegna. Il 23 ottobre 1974 gli olandesi si presentano in campo reduci da una serata a base di rum e coca cola, ma passano solo pochi minuti dal fischio d’inizio e Nico Jansen batte Bordon gelando i 30mila di San Siro e facendo la felicità dell’unico tifoso dell’Fc Amsterdam (Cor Visser, pubblicitario del quotidiano Het Parool) arrivato a Milano per sostenere la propria squadra. Jansen colpisce di nuovo a inizio ripresa, poi Boninsegna dimezza lo svantaggio ribattendo in rete un rigore che Jongbloed gli aveva respinto, mentre pochi minuti dopo tocca a Theo Husers calciare alto dal dischetto. Reti inviolate invece due settimane dopo ad Amsterdam. L’eliminazione dell’Inter da parte di un manipolo di semi-sconosciuti fa scalpore sia in Italia che in Olanda. La festa europea dell’Fc finisce ai quarti di finale per mano del Colonia di Dieter Müller.
Nell’agosto del 1979 la rete televisiva giapponese Tokyo Channel Tv organizza un torneo amichevole per festeggiare i propri quindici anni di vita, e richiede la presenza tra i partecipanti della nazionale vice-campione del mondo, ovvero l’Olanda. La Federcalcio olandese accetta la proposta senza nemmeno interpellare giocatori e squadre di club, ottenendo in cambio un rifiuto generalizzato e pressoché unanime nel partire per il Sol Levante per affrontare una massacrante tourné a poche settimane dall’inizio della nuova stagione calcistica. L’impasse viene risolto dal presidente dell’Fc Amsterdam Dé Stoop; datemi le maglie oranje, dice, e in Giappone ci porto i miei. Una squadra di Eerste Divisie (Serie B, campionato in cui l’Fc era retrocesso l’anno precedente) scende così in campo spacciandosi per la nazionale olandese; una truffa gigantesca riuscita perfettamente grazie al beneplacito della Federcalcio giapponese, coinvolta nella mascherata. Ma oltre alla goliardia rimane poco, soprattutto nelle casse del club, per nulla sostenute da risultati sportivi di una qualche rilevanza; il principio della fine si materializza con l’abbandono dell’Olympisch Stadion, troppo grande per la media spettatori della squadra, poi nel 1982 arriva il fallimento. Da quel momento l’Fc Amsterdam rivive solo in qualche sporadica riunione di reduci (Jongbloed, Rensenbrink) all’insegna della nostalgia e dei bei tempi andati. Quando l’età matura non aveva ancora cancellato la capacità di sognare.
Palmares
nessuno
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