In sei mesi Frank de Boer ha riportato ad Amsterdam quel titolo nazionale che mancava da sette anni, e che costituiva un fardello psicologico sempre più pesante. Catapultato sulla panchina dell’Ajax come semplice traghettatore dopo le dimissioni di Martin Jol, l’ex nazionale oranje si è guadagnato la conferma sul campo, mostrando abilità nell’unire competenze tecnico-tattiche a capacità gestionale. Una dote, quest’ultima, pressoché indispensabile in una società turbolenta come quella ajacide. Rispetto ai predecessori Van Basten e Jol, l’arma vincente di De Boer è stata la continuità di risultati, favorita dall’individuazione di un undici titolare e di un modulo fisso. Leggere oggi la formazione dell’Ajax assume un sapore vintage, rimandando a tempi nei quali l’undici di partenza era una sorta di filastrocca da imparare a memoria.
L’Ajax di De Boer è quanto di più classico ci si possa attendere dal club olandese. Tanti giovani di talento, alcuni già maturi (Eriksen, Vertonghen, Alderwiereld), altri ancora in fase di crescita (Van der Wiel, Vermeer, Ebecilio, Boilesen); una prima punta mobile capace sia di garantire profondità che di aprire spazi per l’inserimento delle ali (e sotto questo profilo l’acquisto dell’islandese Sightorsson è azzeccatissimo); una filosofia di calcio sempre propositiva fondata su possesso palla, verticalizzazioni e triangolazioni. Quest’anno però l’asticella è stata spostata un po’ più in alto; De Boer deve confermarsi in campionato e garantire competitività alla sua squadra anche in Europa, come espressamente richiesto da un Johan Cruijff tornato nuovamente nella stanza dei bottoni del club.
Due i principali nodi da sciogliere: la solidità del reparto arretrato, in flessione rispetto allo scorso campionato, quando fu uno dei punti di forza della rimonta-scudetto (ma gli interpreti, Stekelenburg a parte, sono gli stessi); e la posizione di Theo Janssen, miglior centrocampista della Eredivisie negli ultimi due anni con il Twente. A Enschede però giocava da interno offensivo in un centrocampo a tre, protetto da un mediano (Brama). De Boer per contro lo propone davanti alla difesa nel ruolo ricoperto lo scorso anno dal camerunese Enoh, tecnicamente un decimo di Janssen, ma con in corpo tanta benzina in più. Un Janssen vincolato a compiti troppo difensivi non sembra un affare né per lui, né per l’Ajax.
Tra gli emergenti da segnalare Derk Boerrigter, prodotto del vivaio ajacide tornato alla casa madre quest’anno dopo un lungo peregrinare in Eerste Divisie, dove lo scorso anno ha vinto il campionato con l’RKC Waalwijck finendo in cima alle classifiche di rendimento. Arrivato in estate come riserva di Ebecilio, gli ha ben presto soffiato la maglia da titolare come attaccante sinistro, mostrando anche un discreto feeling con la porta. Il gol insomma non è il principale problema degli ajacidi, considerando anche l’arrivo del russo Bulykin, rinato la scorsa stagione nell’ADO Den Haag e oggi riserva di lusso di Sightorsson.
LA STELLA - Christian Eriksen
Mondiale 2010, Europeo Under-21 2011, Eredivisie, Champions e Europa League: con oltre 70 presenze accumulate nelle citate competizioni, a 19 anni Eriksen è già pronto per un ruolo da leader nell’Ajax. Difficile trovare in circolazione un play tanto promettente.
lunedì 31 ottobre 2011
domenica 30 ottobre 2011
Champions League: Genk
Il colpo di scena è arrivato in estate. Franky Vercauteren, il tecnico che aveva raccolto nel novembre 2009 un Genk imbrigliato nella mediocrità del centro-classifica e in 18 mesi lo aveva portato sul tetto del Belgio, si è dimesso dall’incarico dopo aver accettato una lucrosa offerta proveniente dagli Emirati Arabi Uniti. L’ex nazionale belga ha tentato di camuffare la propria decisione, mossa da motivazioni puramente economiche, puntando il dito contro una dirigenza colpevole, a suo dire, di aver già programmato una politica di ridimensionamento. Che in realtà non c’è stata. Il Genk ha ceduto Thibaut Courtois - miglior portiere del campionato - al Chelsea, battendo il record di incasso (9 milioni di euro) nella propria storia per un singolo giocatore. Ma è stata l’unica partenza di rilievo, dal momento che al primo settembre tutti gli altri protagonisti della vittoria in campionato, da Jelle Vossen a Elyaniv Barda, da David Hubert fino alla stellina Kevin De Bruyne, sono rimasti nelle Fiandre. Qualcuno magari mugugnando, vedi il caso di De Bruyne, che già si immaginava a Stamford Bridge accanto all’ex rivale Romelu Lukaku; per il resto, l’ossatura della squadra è rimasta pressoché invariata, con parte dei soldi ricavati dalla cessione di Courtois reinvestiti in giocatori di esperienza quali Mohamed Sarr, Leandro Grimi e Jeroen Simaeys, più il nazionale belga Christian Benteke (non utilizzabile però in Champions) e il centrale argentino Abel Masuero. Se poi qualcuno pretendeva Samuel Eto’o, ha decisamente sbagliato paese.
Per sostituire Vercauteren è stato chiamato Mario Been, reduce da un’esperienza poco felice al Feyenoord, culminata con le dimissioni a seguito di un ammutinamento dei giocatori, con tanto di votazione e lettera inviata alla società contro il tecnico “persona non più gradita”. Prima del Feyenoord però Been si era dimostrato allenatore abile a ottenere risultati con rose poco attrezzate, prima centrando la promozione in Eredivisie con l’Excelsior, quindi portando il Nec Nijmegen fino ai sedicesimi di Coppa Uefa – con vittorie di prestigio contro Spartak Mosca e Udinese. L’ex giocatore del Pisa conosce pertanto bene cosa significhi essere alla guida di un vaso di coccio; una condizione alla quale il Genk non può sfuggire in questa Champions.
Lo scorso anno il punto di forza dei fiamminghi è stato il reparto offensivo, come testimoniato dalle 80 reti segnate in 40 incontri di campionato. Accanto al bomber Vossen, prodotto del vivaio e autore di 20 reti, si è rivelato prezioso l’apporto dell’israeliano Barda, specialista sui calci piazzati. Nel primo scorcio dell’attuale stagione però è finito sugli scudi il portiere ungherese László Koteles, decisivo ai rigori contro il Maccabi Haifa nei play-off di Champions, per una qualificazione che ha portato nelle casse dei belgi 15 milioni di euro, ovvero più della metà del loro budget complessivo. L’estremo difensore si è poi ripetuto al debutto nella fase a gironi, sbarrando la strada al Valencia.
LA STELLA - Kevin De Bruyne
Possiede tutte le potenzialità per diventare quel numero 10 che il Belgio sta cercando da tempo immemore: tecnica di alto livello, dribbling secco, destro al fulmicotone. Ko in estate per un infortunio, senza il quale probabilmente sarebbe già del Chelsea. Una sua quaterna al Club Brugge - la prima in carriera - ha causato l'esonero di Adrie Koster.
Fonte: Guerin Sportivo
Per sostituire Vercauteren è stato chiamato Mario Been, reduce da un’esperienza poco felice al Feyenoord, culminata con le dimissioni a seguito di un ammutinamento dei giocatori, con tanto di votazione e lettera inviata alla società contro il tecnico “persona non più gradita”. Prima del Feyenoord però Been si era dimostrato allenatore abile a ottenere risultati con rose poco attrezzate, prima centrando la promozione in Eredivisie con l’Excelsior, quindi portando il Nec Nijmegen fino ai sedicesimi di Coppa Uefa – con vittorie di prestigio contro Spartak Mosca e Udinese. L’ex giocatore del Pisa conosce pertanto bene cosa significhi essere alla guida di un vaso di coccio; una condizione alla quale il Genk non può sfuggire in questa Champions.
Lo scorso anno il punto di forza dei fiamminghi è stato il reparto offensivo, come testimoniato dalle 80 reti segnate in 40 incontri di campionato. Accanto al bomber Vossen, prodotto del vivaio e autore di 20 reti, si è rivelato prezioso l’apporto dell’israeliano Barda, specialista sui calci piazzati. Nel primo scorcio dell’attuale stagione però è finito sugli scudi il portiere ungherese László Koteles, decisivo ai rigori contro il Maccabi Haifa nei play-off di Champions, per una qualificazione che ha portato nelle casse dei belgi 15 milioni di euro, ovvero più della metà del loro budget complessivo. L’estremo difensore si è poi ripetuto al debutto nella fase a gironi, sbarrando la strada al Valencia.
LA STELLA - Kevin De Bruyne
Possiede tutte le potenzialità per diventare quel numero 10 che il Belgio sta cercando da tempo immemore: tecnica di alto livello, dribbling secco, destro al fulmicotone. Ko in estate per un infortunio, senza il quale probabilmente sarebbe già del Chelsea. Una sua quaterna al Club Brugge - la prima in carriera - ha causato l'esonero di Adrie Koster.
Fonte: Guerin Sportivo
venerdì 14 ottobre 2011
Vita da Jari
E sono 22. Domenica Jari Litmanen ha incamerato l’ennesimo trofeo della sua infinita carriera, vincendo la Veikkausliiga finlandese con l’HJK Helsinki. Un successo, ampiamente previsto, arivato una settimana dopo la vittoria della coppa nazionale, un 2-1 al KuPS ottenuto grazie al sostanzioso contributo del 40enne campione, autore di uno splendido tiro al volo dalla distanza che ha sbloccato il risultato. Per Litmanen, che ha saltato buona parte della stagione per gli ormai cronici problemi fisici (lo chiamavano “uomo di vetro” già ai primi tempi dell’Ajax, figuriamoci oggi con quasi il doppio degli anni sulle spalle), ecco l’ulteriore arricchimento di una bacheca personale già ben fornita.
Tra poco inizierà il solito tormentone, ormai un classico negli ultimi inverni finlandesi: si ritira o continua per un altro anno? Perchè nulla è scontato quando si parla di uno dei pochi giocatori ad aver attraversato da professionista quattro decadi – 1980 (debutto il 3 maggio 1987 in un incontro tra Reipas Lahti e Koparit), 1990, 2000, 2010. Non è nemmeno chiuso il capitolo nazionale, ormai fermo al 2010 quando Jari, arrivato alla presenza numero 137 con una maglia indossata per la prima volta 21 anni e 26 giorni prima, trasformò un rigore contro San Marino togliendo a John Aldridge il primato di giocatore più anziano a segnare in una partita valevole per gli Europei. Del resto Litmanen non ha mai annunciato il proprio ritiro dalla nazionale, e se un domani si mettesse ancora a disposizione, quale ct potrebbe rifiutarsi di convocare l’idolo di tutta la Finlandia?
Per rendersi conto della status raggiunto da Litmanen in Finlandia, bisogna andare oltre numeri, reti, squadre e statistiche varie. Nel 2004 è stato incluso nei 100 personaggi che hanno fatto la storia della Finlandia. Sei anni dopo è diventato il primo calciatore al quale è stata eretta una statua in suo onore; il monumento, costato 80mila euro, è stato simbolicamente inaugurato a Kisapuisto (Lahti) il 10-10-2010. A breve il regista Mika Kaurismaki girerà un documentario su di lui (“sarà un’opera sull’uomo che si cela dietro il mito”, ha dichiarato l’artista), mentre l’istituto di credito Sampo ha emesso una nuova carta di credito raffigurante il nostro – un “onore” riservato solamente alle più alte personalità finlandesi, quali ad esempio l’ex presidente Uhro Kekkonen o l’atleta Lasse Viren, maratoneta che vinse quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi del 192 e del 1974.
Un mito indiscutibile al quale però non manca anche qualche nemico. Gente di Lahti, che lo scorso aprile ha incendiato la sua statua. Motivo? Vendicare il “tradimento” per il passaggio, consumatosi a gennaio, dal Lahti ai nemici storici dell’HJK. Vivendo ormai da tempo a Tallin, per Litmanen cominciava a diventare pesante il viaggio giornaliero fino a Lahti per gli allenamenti. Ma la rivalità tra Lahti e HJK, più sentita dai primi nei confronti dei secondi, è particolarmente forte. Essa affonda le proprie radici tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, quando prima il Reipas (club nel quale ha mosso i primi passi Jari, proseguendo una lunga tradizione della famiglia Litmanen) e poi il Kuusysi lottavano ai vertici contro il club della capitale. Le due società si sono fuse nel 1986 originando il Lahti. Nel 2010 il club è retrocesso nel Ykkonen ma, a dispetto del ridimensionamento, certe rivalità non finiscono mai. Nemmeno di fronte a una leggenda di un paese intero.
Fonte: Guerin Sportivo
Tra poco inizierà il solito tormentone, ormai un classico negli ultimi inverni finlandesi: si ritira o continua per un altro anno? Perchè nulla è scontato quando si parla di uno dei pochi giocatori ad aver attraversato da professionista quattro decadi – 1980 (debutto il 3 maggio 1987 in un incontro tra Reipas Lahti e Koparit), 1990, 2000, 2010. Non è nemmeno chiuso il capitolo nazionale, ormai fermo al 2010 quando Jari, arrivato alla presenza numero 137 con una maglia indossata per la prima volta 21 anni e 26 giorni prima, trasformò un rigore contro San Marino togliendo a John Aldridge il primato di giocatore più anziano a segnare in una partita valevole per gli Europei. Del resto Litmanen non ha mai annunciato il proprio ritiro dalla nazionale, e se un domani si mettesse ancora a disposizione, quale ct potrebbe rifiutarsi di convocare l’idolo di tutta la Finlandia?
Per rendersi conto della status raggiunto da Litmanen in Finlandia, bisogna andare oltre numeri, reti, squadre e statistiche varie. Nel 2004 è stato incluso nei 100 personaggi che hanno fatto la storia della Finlandia. Sei anni dopo è diventato il primo calciatore al quale è stata eretta una statua in suo onore; il monumento, costato 80mila euro, è stato simbolicamente inaugurato a Kisapuisto (Lahti) il 10-10-2010. A breve il regista Mika Kaurismaki girerà un documentario su di lui (“sarà un’opera sull’uomo che si cela dietro il mito”, ha dichiarato l’artista), mentre l’istituto di credito Sampo ha emesso una nuova carta di credito raffigurante il nostro – un “onore” riservato solamente alle più alte personalità finlandesi, quali ad esempio l’ex presidente Uhro Kekkonen o l’atleta Lasse Viren, maratoneta che vinse quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi del 192 e del 1974.
Un mito indiscutibile al quale però non manca anche qualche nemico. Gente di Lahti, che lo scorso aprile ha incendiato la sua statua. Motivo? Vendicare il “tradimento” per il passaggio, consumatosi a gennaio, dal Lahti ai nemici storici dell’HJK. Vivendo ormai da tempo a Tallin, per Litmanen cominciava a diventare pesante il viaggio giornaliero fino a Lahti per gli allenamenti. Ma la rivalità tra Lahti e HJK, più sentita dai primi nei confronti dei secondi, è particolarmente forte. Essa affonda le proprie radici tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, quando prima il Reipas (club nel quale ha mosso i primi passi Jari, proseguendo una lunga tradizione della famiglia Litmanen) e poi il Kuusysi lottavano ai vertici contro il club della capitale. Le due società si sono fuse nel 1986 originando il Lahti. Nel 2010 il club è retrocesso nel Ykkonen ma, a dispetto del ridimensionamento, certe rivalità non finiscono mai. Nemmeno di fronte a una leggenda di un paese intero.
Fonte: Guerin Sportivo
mercoledì 12 ottobre 2011
L'incubo svizzero di Platini
È un architetto di Martigny l’uomo che sta facendo tremare Uefa e Fifa. Lo svizzero Christian Constantin, 54 anni, patrimonio stimato in 2.5 miliardi di euro, è prossimo a cambiare la storia del calcio con il suo Sion. Non in campo, ma attraverso i tribunali. La scorsa settimana si è infatti pronunciato quello cantonale vodese, intimando alla Uefa il reintegro in Europa League del club svizzero, escluso a settembre per aver irregolarmente schierato sei giocatori nel preliminare (vinto) contro il Celtic Glasgow. Gli scozzesi avevano fatto ricorso alla commissione d’appello della Uefa, ottenendo la vittoria a tavolino, con conseguente passaggio alla fase a gironi, dove sono stati inseriti nel gruppo con Udinese, Atletico Madrid e Rennes.
La vicenda inizia nel febbraio 2008, quando il Sion ingaggia un portiere egiziano che però risulta essere ancora sotto contratto col vecchio club. La Fifa condanna gli svizzeri a due periodi di divieto di trasferimenti per il tesseramento irregolare. Ma Constantin replica che il Sion ha già scontato la propria pena e passa al contrattacco.
Il boss del Sion si è rivolto alla magistratura ordinaria, violando la clausola compromissoria tanto cara alla Uefa, ma ottenendo vittorie in serie. Attraverso il tribunale civile di Martigny ha piegato la Federcalcio svizzera, obbligandola a cancellare la squalifica nel campionato elvetico dei sei giocatori incriminati. Poi ha ottenuto dal tribunale civile del canton Vaud l’invalidazione dei risultati e della classifica del gruppo I di Europa League. Infine è arrivata la sentenza di riammissione del Sion in Europa. Senza considerare la lettera inviata al ministro delle Finanze svizzero affinch´ venissero aboliti i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa.
Inchiodata dalla sentenza di un tribunale civile, ieri la Uefa ha chiesto agli svizzeri di fare un passo indietro rivolgendosi al TAS, il Tribunale Arbitrale dello Sport. Una mossa disperata, perché non più di una decina di giorni fa il Sion aveva ritirato l’appello al massimo tribunale sportivo, puntando tutto sulle sentenze dei tribunali ordinari. Proprio di fronte a quello vodese dovrà comparire Platini il 19 ottobre per spiegare l’estromissione del club dall’Europa League. Constantin nel frattempo gongola: «Giocheremo a Rennes il 20 ottobre», ha commentato. «Non voglio un risarcimento, preferisco l’odore degli spogliatoi del Vicente Calderon (casa dell’Atletico Madrid, ndr) a quello degli euro».
Constantin è un osso duro. In Svizzera se ne sono accorti già nel 2003 quando fece subito ricorso contro l’esclusione del Sion dalla Challenge League (la B elvetica) per inadempienze finanziarie. Ottenne il reintegro quattro mesi dopo l’inizio del campionato, con stravolgimento dei calendari. Ma l’architetto di Martigny è un vulcano anche fuori dai tribunali, come testimoniano i 23 allenatori licenziati in nove anni. In un paio di occasioni sulla panchina del club si è seduto direttamente lui, in barba alla mancanza di qualsivoglia patentino di allenatore.
Fonte: Il Giornale
La vicenda inizia nel febbraio 2008, quando il Sion ingaggia un portiere egiziano che però risulta essere ancora sotto contratto col vecchio club. La Fifa condanna gli svizzeri a due periodi di divieto di trasferimenti per il tesseramento irregolare. Ma Constantin replica che il Sion ha già scontato la propria pena e passa al contrattacco.
Il boss del Sion si è rivolto alla magistratura ordinaria, violando la clausola compromissoria tanto cara alla Uefa, ma ottenendo vittorie in serie. Attraverso il tribunale civile di Martigny ha piegato la Federcalcio svizzera, obbligandola a cancellare la squalifica nel campionato elvetico dei sei giocatori incriminati. Poi ha ottenuto dal tribunale civile del canton Vaud l’invalidazione dei risultati e della classifica del gruppo I di Europa League. Infine è arrivata la sentenza di riammissione del Sion in Europa. Senza considerare la lettera inviata al ministro delle Finanze svizzero affinch´ venissero aboliti i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa.
Inchiodata dalla sentenza di un tribunale civile, ieri la Uefa ha chiesto agli svizzeri di fare un passo indietro rivolgendosi al TAS, il Tribunale Arbitrale dello Sport. Una mossa disperata, perché non più di una decina di giorni fa il Sion aveva ritirato l’appello al massimo tribunale sportivo, puntando tutto sulle sentenze dei tribunali ordinari. Proprio di fronte a quello vodese dovrà comparire Platini il 19 ottobre per spiegare l’estromissione del club dall’Europa League. Constantin nel frattempo gongola: «Giocheremo a Rennes il 20 ottobre», ha commentato. «Non voglio un risarcimento, preferisco l’odore degli spogliatoi del Vicente Calderon (casa dell’Atletico Madrid, ndr) a quello degli euro».
Constantin è un osso duro. In Svizzera se ne sono accorti già nel 2003 quando fece subito ricorso contro l’esclusione del Sion dalla Challenge League (la B elvetica) per inadempienze finanziarie. Ottenne il reintegro quattro mesi dopo l’inizio del campionato, con stravolgimento dei calendari. Ma l’architetto di Martigny è un vulcano anche fuori dai tribunali, come testimoniano i 23 allenatori licenziati in nove anni. In un paio di occasioni sulla panchina del club si è seduto direttamente lui, in barba alla mancanza di qualsivoglia patentino di allenatore.
Fonte: Il Giornale
Lorik Cana
Negli anni Ottanta il club kosovaro del Pristina raggiunse la massima divisione del campionato jugoslavo, rivelandosi contro ogni pronostico squadra da centro-classifica capace di sorprendere anche le grandi del paese. Di quella “generazione d’oro” faceva parte Agim Cana, spirito guerriero trasmesso in toto al figlio Lorik, nato nel 1983, l’anno della storica vittoria del piccolo Pristina contro la Stella Rossa. Poi la Jugoslavia si è dissolta in un bagno di sangue, dal quale la famiglia Cana è fuggita nel 1992 riparando in Svizzera nei pressi di Losanna. Lì, nella scuola calcio del massimo club del cantone francese, è iniziata la carriera di Lorik Cana.
Difficilmente un soprannome rende giustizia alle caratteristiche di un giocatore come nel caso di Cana, chiamato “il guerriero” già a 17 anni quando lasciava la giovanili del Losanna per quelle del Paris Saint Germain. Centrocampista difensivo (ma all’occorrenza anche difensore centrale) dal tackle che non lascia prigionieri, debutta in Ligue 1 nella stagione 2002/03, diventando titolare del club parigino l’annata successiva. Su consiglio di papà Agim, diventato il suo procuratore, nel 2005 lascia il PSG per l’Olympique Marsiglia, dove in breve tempo i tifosi lo eleggono a proprio idolo assieme a Franck Ribery. Il secondo però usa il fioretto, il primo la mazza chiodata. Ma nel Milan Gattuso e Kakà non erano forse amati in egual misura?
Lasciata la Francia nel 2009 non senza polemiche (in Ligue 1 ha collezionato 59 cartellini gialli in 7 anni), la musica cambia poco al Sunderland: 10 gialli, un rosso e il consiglio del tecnico dei Black Cats Steve Bruce di “darsi una calmata”. Lo farà (parzialmente) l’anno successivo al Galatasaray, dove Cana è uno dei pochi a salvarsi da una delle peggiori stagioni di sempre del club di Istanbul, togliendosi anche la soddisfazione di segnare, contro l’Eskisehirspor, il primo gol di un giocatore straniero nella nuovissima Türk Telekom Arena.
Molto legato al proprio paese d’origine, Cana è un appassionato di Albanologia, la scienza che studia il linguaggio e le tradizioni locali dell’Albania. Non sorprende pertanto che, a dispetto del triplo passaporto albanese-svizzero-francese, abbia scelto di giocare nell’Albania, dove finora ha raccolto 47 presenze, una rete e una furibonda litigata con Sneijder e Van Nistelrooy che gli è costata l’ennesima espulsione. Finché gli reggono i nervi, è un ottimo acquisto.
Fonte: Guerin Sportivo
Difficilmente un soprannome rende giustizia alle caratteristiche di un giocatore come nel caso di Cana, chiamato “il guerriero” già a 17 anni quando lasciava la giovanili del Losanna per quelle del Paris Saint Germain. Centrocampista difensivo (ma all’occorrenza anche difensore centrale) dal tackle che non lascia prigionieri, debutta in Ligue 1 nella stagione 2002/03, diventando titolare del club parigino l’annata successiva. Su consiglio di papà Agim, diventato il suo procuratore, nel 2005 lascia il PSG per l’Olympique Marsiglia, dove in breve tempo i tifosi lo eleggono a proprio idolo assieme a Franck Ribery. Il secondo però usa il fioretto, il primo la mazza chiodata. Ma nel Milan Gattuso e Kakà non erano forse amati in egual misura?
Lasciata la Francia nel 2009 non senza polemiche (in Ligue 1 ha collezionato 59 cartellini gialli in 7 anni), la musica cambia poco al Sunderland: 10 gialli, un rosso e il consiglio del tecnico dei Black Cats Steve Bruce di “darsi una calmata”. Lo farà (parzialmente) l’anno successivo al Galatasaray, dove Cana è uno dei pochi a salvarsi da una delle peggiori stagioni di sempre del club di Istanbul, togliendosi anche la soddisfazione di segnare, contro l’Eskisehirspor, il primo gol di un giocatore straniero nella nuovissima Türk Telekom Arena.
Molto legato al proprio paese d’origine, Cana è un appassionato di Albanologia, la scienza che studia il linguaggio e le tradizioni locali dell’Albania. Non sorprende pertanto che, a dispetto del triplo passaporto albanese-svizzero-francese, abbia scelto di giocare nell’Albania, dove finora ha raccolto 47 presenze, una rete e una furibonda litigata con Sneijder e Van Nistelrooy che gli è costata l’ennesima espulsione. Finché gli reggono i nervi, è un ottimo acquisto.
Fonte: Guerin Sportivo
martedì 11 ottobre 2011
Luc Castaignos
L’ultima volta che l’Inter ha pescato dalla Eredivisie è rimasta pesantemente scottata, perché l’allora enfant prodige del Twente Marko Arnautovic si è presto rivelato un elemento assolutamente fuori controllo, molto più bravo a scialacquare il proprio talento piuttosto che a valorizzarlo. Un pericolo che Luc Castaignos non corre.
Trascorsa l’ovvia euforia per il trasferimento in una big del calcio europeo – temperata dai rimproveri dell’ex tecnico del Feyenoord Mario Been che in allenamento gli gridava “Inter” ogni volta che il giovane sbagliava qualcosa – Castaignos si è subito rimboccato le maniche per ambientarsi al meglio nella nuova realtà. Un precampionato brillante (di pregevole fattura il suo primo gol in nerazzurro, segnato al Celtic Glasgow nella Dublin Cup) ha diminuito il rischio di rimanere intrappolato nella solita girandola di prestiti, spesso più un danno che un vantaggio per i giovani talenti. L’avventura nerazzurra di questo attaccante olandese classe 92, nato da padre francese e madre di Capo Verde, è pertanto iniziata con il piede giusto; del resto non potevano esistere migliori premesse, perché Castaignos è più pronto per la Serie A di qualsiasi pari età italiano, tanto dal punto di vista dell’esperienza maturata in campo quanto sotto il profilo tecnico.
Fiore all’occhiello di uno di migliori settori giovanili olandesi, quello del Feyenoord, Castaignos è reduce da una stagione da titolare al centro del tridente d’attacco del club di Rotterdam, costretto da una situazione finanziaria critica a fare ampio uso in prima squadra dei prodotti del vivaio. Giovani la cui maturazione avviene partita dopo partita in campo, per poi regalare sollievo alle casse societarie attraverso un lucroso trasferimento. Una politica della quale Castaignos è un esempio perfetto: esordio a 17 anni in prima squadra nella stagione 2009/10, titolare l’anno successivo per sostituire il ritirato Roy Maakay. Castaignos dimostra di condividere con l’ex cecchino di Deportivo La Coruna e Bayern Monaco la rapidità di esecuzione e il feeling con la porta (chiude in doppia cifra a quota 15 gol), ma a livello tecnico il giovane oranje possiede qualità potenzialmente superiori. E sotto il profilo tattico si presta a più soluzioni, come più volte fatto notare dal diretto interessato (“non sono il classico attaccante da ultimi sedici metri”).
Originario di Schiedam, quartiere operaio sito nell’area sud-occidentale di Rotterdam, Castainos vanta una proficua esperienza con le nazionali giovanili olandese. Nel 2009 è una delle stelle dell’Olanda under-17 arrivata seconda agli Europei di categoria in Germania. Durante al torneo segna alla Turchia, alla Svizzera (in semifinale) e alla Germania (in finale), diventando con un 11 reti complessive il miglior marcatore di sempre degli oranje under-17. A due anni di distanza, nessuno dei talenti più brillanti di quella squadra (il playmaker Oguzhan Özyakup, il centrale Stefan de Vrij e il portiere Patrick ter Mate) può vantare una traiettoria professionale come quella di Castaignos, oggi fresco neo-convocato nella selezione under-21. Il baby olandese insomma è più di una scommessa.
Fonte: Guerin Sportivo
Trascorsa l’ovvia euforia per il trasferimento in una big del calcio europeo – temperata dai rimproveri dell’ex tecnico del Feyenoord Mario Been che in allenamento gli gridava “Inter” ogni volta che il giovane sbagliava qualcosa – Castaignos si è subito rimboccato le maniche per ambientarsi al meglio nella nuova realtà. Un precampionato brillante (di pregevole fattura il suo primo gol in nerazzurro, segnato al Celtic Glasgow nella Dublin Cup) ha diminuito il rischio di rimanere intrappolato nella solita girandola di prestiti, spesso più un danno che un vantaggio per i giovani talenti. L’avventura nerazzurra di questo attaccante olandese classe 92, nato da padre francese e madre di Capo Verde, è pertanto iniziata con il piede giusto; del resto non potevano esistere migliori premesse, perché Castaignos è più pronto per la Serie A di qualsiasi pari età italiano, tanto dal punto di vista dell’esperienza maturata in campo quanto sotto il profilo tecnico.
Fiore all’occhiello di uno di migliori settori giovanili olandesi, quello del Feyenoord, Castaignos è reduce da una stagione da titolare al centro del tridente d’attacco del club di Rotterdam, costretto da una situazione finanziaria critica a fare ampio uso in prima squadra dei prodotti del vivaio. Giovani la cui maturazione avviene partita dopo partita in campo, per poi regalare sollievo alle casse societarie attraverso un lucroso trasferimento. Una politica della quale Castaignos è un esempio perfetto: esordio a 17 anni in prima squadra nella stagione 2009/10, titolare l’anno successivo per sostituire il ritirato Roy Maakay. Castaignos dimostra di condividere con l’ex cecchino di Deportivo La Coruna e Bayern Monaco la rapidità di esecuzione e il feeling con la porta (chiude in doppia cifra a quota 15 gol), ma a livello tecnico il giovane oranje possiede qualità potenzialmente superiori. E sotto il profilo tattico si presta a più soluzioni, come più volte fatto notare dal diretto interessato (“non sono il classico attaccante da ultimi sedici metri”).
Originario di Schiedam, quartiere operaio sito nell’area sud-occidentale di Rotterdam, Castainos vanta una proficua esperienza con le nazionali giovanili olandese. Nel 2009 è una delle stelle dell’Olanda under-17 arrivata seconda agli Europei di categoria in Germania. Durante al torneo segna alla Turchia, alla Svizzera (in semifinale) e alla Germania (in finale), diventando con un 11 reti complessive il miglior marcatore di sempre degli oranje under-17. A due anni di distanza, nessuno dei talenti più brillanti di quella squadra (il playmaker Oguzhan Özyakup, il centrale Stefan de Vrij e il portiere Patrick ter Mate) può vantare una traiettoria professionale come quella di Castaignos, oggi fresco neo-convocato nella selezione under-21. Il baby olandese insomma è più di una scommessa.
Fonte: Guerin Sportivo
lunedì 10 ottobre 2011
Maarten Stekelenburg
“Al primo errore parleranno di Van der Sar”. Parole pronunciate da Maarten Stekelenburg a Johannesburg nel giugno 2010, quando era uno tra i protagonisti di un’Olanda lanciata verso la finale Mondiale. Parole che però l’estremo difensore olandese avrebbe potuto benissimo dire nella conferenza stampa di presentazione a Roma poco più di un mese fa. Ma il significato sarebbe stato l’esatto opposto. Perché mentre in Olanda, e nel resto del mondo, Edwin van der Sar è considerato un gigante tra i pali, in Italia gli è rimasta appiccicata l’etichetta di flop, per via di due stagioni poco brillanti nella Juventus. Se insomma Stekelenburg sbagliava con l’Olanda, ecco i rimpianti per Van der Sar; se per contro sbaglierà con la Roma, tutti pronti a ridere del “nuovo Van der Sar”.
La verità per una volta non sta nel mezzo. Stekelenburg è il degno erede di uno dei migliori portieri oranje della storia, nonostante una maturità professionale acquisita piuttosto lentamente. In nazionale “Steek” è rimasto nel cono d’ombra di Van der Sar per anni, senza riuscire minimamente a impensierirlo, anche per demeriti propri. Nell’Ajax – debutto ufficiale l’11 agosto 2002 nel Johan Cruijff Schaal (la Supercoppa d’Olanda) contro il Psv Eindhoven - era l’eterna promessa che non sbocciava mai, tanto che nel corso della stagione 2008/09 Marco van Basten lo declassò, dopo quattro anni da titolare, a seconda scelta alle spalle del nazionale under-21 Kenneth Vermeer. Proprio quel Van Basten che, da ct della nazionale olandese, nel 2004 aveva fatto esordire Stekelenburg con la maglia dei tulipani. “Ma non gli porto assolutamente rancore”, ha dichiarato l’estremo difensore, “perché ammetto che in quel periodo non giocavo molto bene”.
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e grazie all’exploit al Mondiale 2010 Stekelenburg si è scrollato di dosso la fama di incompiuto. Nel 2008 era entrato negli annali del calcio olandese dalla porta sbagliata dopo aver ricevuto – primo portiere oranje della storia – un cartellino rosso in un’amichevole contro l’Australia. Due anni dopo in Sudafrica la musica cambia drasticamente, con Maarten che si consacra a livello internazionale rivelandosi uno degli elementi cardine dell’Olanda vice-campione del mondo e contendendo a Iker Casillas la palma di miglior portiere del torneo.
Lo strepitoso stato di forma del numero uno non si rivela un semplice fuoco di paglia estivo; Stekelenburg inizia la nuova stagione alla grande, mostrando riflessi felini e straordinaria reattività tanto in Eredivisie quanto in Champions League – da ricordare due strepitosi salvataggi rispettivamente su Luuk de Jong del Twente e Kevin Prince Boateng del Milan che, tra il 25 e il 28 settembre 2010, gli valgono la nomina di man of the match per due volte in quattro giorni. Poco competitivo in Europa, l’Ajax sembra destinato all’ennesima stagione a bocca asciutta anche in Eredivisie. Tutto cambia con l’arrivo a dicembre di Frank de Boer in sostituzione del dimissionario Martin Jol; sotto la guida dell’ex nazionale oranje, che consegna a Stekelenburg la fascia di capitano dopo la partenza di Luis Suarez verso Liverpool, gli ajacidi si rendono protagonisti di un’esaltante rimonta, conclusa con la vittoria di quel titolo nazionale che mancava in bacheca dal 2004. L’Ajax chiude con la miglio difesa del campionato, e tre dei quattro titolari del reparto difensivo finiscono nella top 11 stagionale. Ad essi si aggiunge Stekelenburg, miglior portiere del campionato e votato dai tifosi Ajacide dell’anno 2011, nonostante sia costretto ad osservare dalla tribuna il finale di stagione a causa della frattura del pollice della mano sinistra rimediata in allenamento.
Nato ad Haarlem il 22 settembre 1982, Stekelenburg convive da sempre con un problema di anacusia (sordità totale) ad un orecchio, che però non ha mai inficiato la sua attività professionale. La Roma lo ha acquistato dall’Ajax per 6.32 milioni di euro, più eventuali bonus, facendoli sottoscrivere un quadriennale da 1.5 milioni di euro all’anno. E’ il primo tulipano a giungere sulla sponda giallorossa della capitale.
Fonte: Guerin Sportivo
La verità per una volta non sta nel mezzo. Stekelenburg è il degno erede di uno dei migliori portieri oranje della storia, nonostante una maturità professionale acquisita piuttosto lentamente. In nazionale “Steek” è rimasto nel cono d’ombra di Van der Sar per anni, senza riuscire minimamente a impensierirlo, anche per demeriti propri. Nell’Ajax – debutto ufficiale l’11 agosto 2002 nel Johan Cruijff Schaal (la Supercoppa d’Olanda) contro il Psv Eindhoven - era l’eterna promessa che non sbocciava mai, tanto che nel corso della stagione 2008/09 Marco van Basten lo declassò, dopo quattro anni da titolare, a seconda scelta alle spalle del nazionale under-21 Kenneth Vermeer. Proprio quel Van Basten che, da ct della nazionale olandese, nel 2004 aveva fatto esordire Stekelenburg con la maglia dei tulipani. “Ma non gli porto assolutamente rancore”, ha dichiarato l’estremo difensore, “perché ammetto che in quel periodo non giocavo molto bene”.
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e grazie all’exploit al Mondiale 2010 Stekelenburg si è scrollato di dosso la fama di incompiuto. Nel 2008 era entrato negli annali del calcio olandese dalla porta sbagliata dopo aver ricevuto – primo portiere oranje della storia – un cartellino rosso in un’amichevole contro l’Australia. Due anni dopo in Sudafrica la musica cambia drasticamente, con Maarten che si consacra a livello internazionale rivelandosi uno degli elementi cardine dell’Olanda vice-campione del mondo e contendendo a Iker Casillas la palma di miglior portiere del torneo.
Lo strepitoso stato di forma del numero uno non si rivela un semplice fuoco di paglia estivo; Stekelenburg inizia la nuova stagione alla grande, mostrando riflessi felini e straordinaria reattività tanto in Eredivisie quanto in Champions League – da ricordare due strepitosi salvataggi rispettivamente su Luuk de Jong del Twente e Kevin Prince Boateng del Milan che, tra il 25 e il 28 settembre 2010, gli valgono la nomina di man of the match per due volte in quattro giorni. Poco competitivo in Europa, l’Ajax sembra destinato all’ennesima stagione a bocca asciutta anche in Eredivisie. Tutto cambia con l’arrivo a dicembre di Frank de Boer in sostituzione del dimissionario Martin Jol; sotto la guida dell’ex nazionale oranje, che consegna a Stekelenburg la fascia di capitano dopo la partenza di Luis Suarez verso Liverpool, gli ajacidi si rendono protagonisti di un’esaltante rimonta, conclusa con la vittoria di quel titolo nazionale che mancava in bacheca dal 2004. L’Ajax chiude con la miglio difesa del campionato, e tre dei quattro titolari del reparto difensivo finiscono nella top 11 stagionale. Ad essi si aggiunge Stekelenburg, miglior portiere del campionato e votato dai tifosi Ajacide dell’anno 2011, nonostante sia costretto ad osservare dalla tribuna il finale di stagione a causa della frattura del pollice della mano sinistra rimediata in allenamento.
Nato ad Haarlem il 22 settembre 1982, Stekelenburg convive da sempre con un problema di anacusia (sordità totale) ad un orecchio, che però non ha mai inficiato la sua attività professionale. La Roma lo ha acquistato dall’Ajax per 6.32 milioni di euro, più eventuali bonus, facendoli sottoscrivere un quadriennale da 1.5 milioni di euro all’anno. E’ il primo tulipano a giungere sulla sponda giallorossa della capitale.
Fonte: Guerin Sportivo