Articolo pubblicato sul trimestrale "Linea Bianca"
Nella musica esiste The great rock’n roll swindle, il film-documentario sulla grande truffa del rock’n roll perpetrata dal gruppo punk dei Sex Pistols, abilmente manipolato dietro le quinte dal manager Malcolm McClaren. Non sapevano suonare granché bene, anzi, il loro secondo bassista Sid Vicious era proprio negato per lo strumento, tanto che spesso durante i concerti i suoi amplificatori erano staccati e dietro le quinte c’era un roadie che suonava in sua vece. Il gruppo sopperiva a queste carenze di base con una robusta dose di provocazioni, altamente efficaci nella puritana Inghilterra del ’76, e con un frontman di grandissimo impatto come Johnny Lydon-Rotten, il cui ghigno simboleggiava un perenne dito medio alzato contro la cultura dominante dell’epoca. Tutto questo è stato sufficiente ai Sex Pistols per entrare nella storia del rock. Nel calcio non esiste un The great football swindle, una grande truffa. Ne esistono tante, di varia tipologia e natura. Alcune scherzose, altre goliardiche e/o provocatorie, altre ancora criminali. In questa sede tralasciamo volutamente le ultime, a causa delle complessità e della vastità della materia: dal doping, sportivo e amministrativo, alle partite truccate, dai passaporti contraffatti alle griglie arbitrali pilotate. Il campionario presentato di seguito si focalizza sull’aspetto ludico, ingenuo e artigianale della truffa, su un tipo di tarocco destinato a suscitare ilarità piuttosto che indignazione. Era un falso, ma tutto sommato ci siamo divertiti. Proprio come quando ascoltavamo i Sex Pistols.
Nel 1959 un fabbricante di sigarette di Eindhoven omaggiò la di Amsterdam con una scultura raffigurante un ragazzino di strada quale simbolo di quella gioventù olandese, povera ma di buon cuore, alle prese con la difficile ricostruzione del paese dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nessuno avrebbe potuto immaginare che poco meno di dieci anni dopo quella statua, sita in piazza Spui e soprannominata Het Lieverdje (Piccolo Monello), sarebbe diventata il simbolo della controcultura olandese che trovò la sua massima espressione nel movimento hippy anarco-ecologista dei Provo (dal francese provocateur), i cui incontri venivano organizzati proprio sotto l’Het Lieverdje. Quando nel 1972 il neonato club Fc Amsterdam, società costituita dalla fusione di alcune squadre storiche (Dws, Baluw-Wit e, in seguito, anche De Volewijckers) della capitale, decise di adottare la sopraccitata scultura quale simbolo societario, non lo fece per caso; se l’Ajax di Johan Cruijff era il riflesso in campo calcistico della rivoluzione socio-culturale che stava mutando la società olandese, l’Fc Amsterdam ne rappresentava l’ala rivoluzionaria e ribelle, l’alternativa dell’alternativa, la controcultura all’ennesima potenza. Un radicalismo mai però violento il loro, bensì guascone, bizzarro e chiassoso, ben rappresentato dalla figura di Jan Jongbloed, tabaccaio part-time, comunista, amante della birra, delle sigarette e del gentil sesso, portiere che parava a mani nude perché i guanti, a suo dire, non gli permettevano di bloccare bene la palla e che finì per disputare, quasi per caso, due finali mondiali. L’amministrazione comunale della città, che già sopportava a malapena i capelloni dell’Ajax, rifiutava qualsiasi contatto con i ragazzi dell’Fc; del resto, loro avevano scelto come madrina della squadra nientemeno che Phil Bloom, la fotomodella che sul finire degli anni Sessanta era apparsa per due volte nuda davanti alle telecamere dell’emittente VPRO causando uno scandalo nazionale seguito da un’interrogazione in Parlamento.
Nel 1979 questa banda di anarcoidi si rese protagonista di una truffa ai danni di una televisione giapponese. Quell’anno in agosto l’emittente Tokyo Channel Tv aveva organizzato un torneo amichevole per festeggiare i propri quindici anni di vita, e tra le nazionali invitate a partecipare c’erano anche i vice-campioni del mondo in carica, vale a dire l’Olanda. La Federcalcio oranje (KNVB) aveva accettato la proposta senza nemmeno interpellare giocatori e club, ottenendo in cambio un rifiuto generalizzato e pressoché unanime nel partire per il Sol Levante per affrontare un massacrante tour a poche settimane dall’inizio della nuova stagione calcistica. La KNVB si trovava con le spalle al muro; da un lato comprendeva le lamentele delle società, dall’altro però non poteva nemmeno perdere la faccia con i giapponesi. Toccò al presidente dell’Fc Amsterdam Dé Stoop risolvere l’impasse; datemi le maglie oranje, disse, e in Giappone ci porto i miei. La federcalcio nipponica assicurò la massima riservatezza. Accadde così che per la festa di Tokyo Channel scese in campo una squadra di Eerste Divisie (la serie cadetta olandese, divisione nella quale l’Fc Amsterdam era retrocesso la stagione precedente), e nessuno si accorse di niente. La ciliegina sulla torta fu rappresentata dall’ex portiere dell’Ajax Heinz Stuy, che si aggregò all’allegra comitiva pur privo di un qualsivoglia contratto con la società Fc Amsterdam. In Giappone si presentò come l’indiscusso numero uno dei tulipani, salvo poi non scendere in campo nemmeno un minuto a causa di un infortunio “rimediato in allenamento”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento