martedì 30 novembre 2010

Freddy Adu e la fine del sogno americano

Il nuovo Pelè del calcio USA è finito ad allenarsi nello Jutland.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 29 novembre 2010

La storia di Zlatan Ibrahimovic

Zlatan Ibrahimovic è un giocatore che fa discutere. Sempre. Vince il campionato da sette stagioni consecutive, risultando il più delle volte un elemento decisivo nel successo. Per qualcuno non basta. Ha chiuso la sua prima stagione a Barcellona con un bottino di 21 reti. Per qualcuno ha fatto flop. Lo svedese ha sempre pagato un carattere poco malleabile, non avvezzo a lisciare il pelo a chicchessia. Avere un procuratore come Mino Raiola non regala punti alla voce “simpatia”. Il tourbillon continuo di maglie nemmeno. Lo dipingono come un mercenario, ma non risulta che gli Zanetti di turno giochino per beneficenza. E una società calcistica non è propriamente paragonabile alla patria. Il polverone attorno al personaggio non aiuta un giudizio sereno sul giocatore. Raramente negli ultimi anni si è vista una simile fusione tra tecnica, rapidità e potenza fisica. Con Ibrahimovic la Serie A riacquista un campione. Magari con un ego “grande quanto Stoccolma” (copyright di Johnny Gyllensjo, allenatore di Ibra nelle giovanili del Malmö), ma pur sempre un giocatore di altissimo profilo. Questa è la sua storia.

Le spine di Rosengård
144mila euro rappresentano per il piccolo FBK Balkan il budget di cinque anni. Questa società, le cui selezioni - un crogiuolo di serbi, croati, montenegrini e bosniaci - sembrano una Jugoslavia in miniatura, ha ricevuto tale somma in un’unica soluzione direttamente dal Barcellona. Merito della clausola di solidarietà della FIFA, che riconosce una piccola percentuale al club che ha “allevato” il campione oggetto di un trasferimento milionario, ma anche della magnanimità del Barcellona, che per Zlatan Ibrahimovic ha versato nelle casse dell’Inter 66 milioni di euro (45 cash, il resto nella persona di Samuel Eto’o). L’FBK Balkan è stata una delle primissime squadre del ragazzo “dorato” (questo il significato di Zlatan in bosniaco), nato il 3 ottobre 1981 dal bosniaco Sefik e dalla croata Djurka, fuggiti nei primi anni Settanta da Bijeljina, Bosnia-Erzegovina, alla ricerca di un futuro migliore. Quello che li aspettava erano mille impieghi saltuari e un poco confortevole appartamento in un prefabbricato in Commons Vag, quartiere di Rosengård, periferia di Malmö. Una zona ad alto tasso di immigrazione e bassa percentuale di occupazione. Asfalto, cemento, un campetto di terra scura con le porte arrugginite: in poche parole, l’infanzia di Ibrahimovic. FBK Balkan, Malmö BI (oggi rinominata Fc Rosengård), Flagg; la sua carriera calcistica inizia invece da questi piccoli club. Hasib Klikic, uno dei suoi primi allenatori, lo ricorda così: “Con la palla tra i piedi tentava di fare di tutto, dribbling, finte, colpi ad effetto. In campo giocava come fosse da solo, non si fidava di compagni che percepiva nettamente inferiori a livello tecnico. Ma non potevo nemmeno rimproverarlo troppo, perché segnava sempre”. La leggenda narra che in una partita contro il Vellinge entra nella ripresa, con la sua squadra sotto di quattro reti, e ne segna otto. Era un campionato per under-12, lui aveva 10 anni.

Il cielo è sempre più blu
“Zlatan Ibrahimovic ha regalato un’identità alla gente di Rosengård”. Tra gli immigrati di Malmö circola questa massima. Un’esagerazione? No. Qualche anno fa una piccola piazza nei pressi dei palazzi dove il nostro ha trascorso la sua infanzia è stata rinnovata grazie a un progetto, che prevedeva una pavimentazione fatta con materiale ricavato dal riciclo delle suole di migliaia di scarpe da calcio, presentato da un’azienda locale con l’aiuto del giocatore e di uno dei suoi sponsor, la Nike. All’inaugurazione, assieme a Ibra, c’erano oltre cinquemila persone. Eppure la storia di Zlatan Ibrahimovic sarebbe probabilmente stata molto diversa se all’età di quindici anni non avesse incontrato Johnny Gyllensjo, oggi ispettore presso il Dipartimento Anticrimine della polizia di Malmö, all’epoca allenatore delle giovanili degli Himmelsblått (Blu cielo). “Lascio la squadra”, gli disse un giorno Zlatan durante un allenamento. Il motivo aveva un nome e un cognome, Tony Flygare, amico, compagno di squadra nonché attaccante dalle medie realizzative altissime che oscuravano quelle del ragazzo di origini bosniache, tanto da soffiargli il posto nelle nazionali giovanili svedesi under-16 e under-17. Ci vogliono tutta la pazienza e l’esperienza di Gyllensjo per far desistere Ibra. “A quell’età ciò che conta agli occhi dei ragazzi è segnare, io gli feci capire che il calcio è molto di più. Gli dissi di lasciar perdere la quantità, perché lui era uno dei pochi che aveva il dono della qualità. Flygare non è mai andato oltre le serie minori”. Nel 1999 Roland Anderssons aggrega il giovane ragazzo dal carattere difficile (ma in Svezia circola un proverbio che recita “un ragazzo si tiene lontano il fuoco solo quando si è scottato”) alla prima squadra del Malmö. L’anno successivo chiude in doppia cifra - 12 reti - nel Superettan (la Serie B svedese), e si vede recapitare a casa un pacco contenente la maglia numero nove dell’Arsenal. Sul retro c’è scritto “Zlatan”. E’ il personale invito di Arsene Wenger a raggiungerlo a Londra. Respinto. La destinazione di Zlatan è l’Olanda.

Un amico vero
Leo Beenhakker non aveva dubbi: quel lungagnone svedese era un giocatore da Ajax, pertanto la dirigenza ajacide non avrebbe dovuto spaventarsi di fronte al notevole esborso, 7.8 milioni di euro, che le era stato prospettato. Ad Amsterdam si fidano, mentre la stampa inizia a caricare i fucili. E dopo i primi difficili mesi di Zlatan in maglia biancorossa, apre il fuoco. Non vede la porta, non gioca per la squadra, prende troppi cartellini. Anche tra i tifosi dell’Ajax serpeggia il malumore. Ci vorrà quasi un anno per far decollare il rapporto. La scintilla scocca sul finire della stagione 2001/02; l’Ajax vince il titolo, Zlatan segna la rete decisiva nella finale di Coppa d’Olanda. Fondamentale, a detta dello stesso giocatore, il supporto di Beenhakker, definito “profondo conoscitore di calcio, ma anche vero amico”. Non sono parole di circostanza. L’abbraccio tra i due in Germania nel Mondiale 2006 al termine di Svezia-Trinidad e Tobago vale più di mille parole. Rotto il ghiaccio, Ibra comincia a carburare. Doppietta al Lione all’esordio in Champions League, avventura che per un Ajax traboccante di talento (Chivu, Sneijder, Van der Meyde, Nigel de Jong, Van der Vaart) si concluderà solamente ai quarti di finale al termine di uno sfortunato doppio confronto con il Milan. Gli ajacidi si rifanno l’anno seguente con un nuovo titolo nazionale; è il 2004, e da quel momento Ibrahimovic non ha più smesso di chiudere le stagioni al primo posto. Gol, giocate ma anche litigi; l’ex amico Mido gli tira un paio di forbici in una stanza d’albergo, con Heitinga e Van der Vaart l’ostilità cresce giorno dopo giorno. “Ci detestiamo”, dichiara Van der Vaart, “ma in campo non si vede, e questo è ciò che conta”. L’importante però è indossare la stessa maglia. Lo impara a sue spese l’olandese durante un’amichevole tra Olanda e Svezia, quando Ibrahimovic lo tocca duro costringendolo ad uscire dal campo. Tre settimane dopo lascia Amsterdam per l’Italia. La Eredivisie è già iniziata, lui si congeda con tre reti in altrettante partite e uno splendido assolo alla prima giornata contro il Nac Breda, in seguito votato miglior gol del campionato olandese 2004/2005.

Bell’Italia
“Ma dove vuole andare con quel nome da zingaro?”. Nel 2003 qualcuno della Roma bocciò così l’acquisto di Ibrahimovic, segnalato dal Nils Liedholm. Ecco quindi, un anno e mezzo dopo, la Juventus. 16.5 milioni di euro e un impatto super nella nuova realtà: tanti gol (16, cifra mai raggiunta prima in Olanda), numeri di alta scuola ma anche concretezza. “In allenamento dobbiamo metterci in sei per portargli via la palla”, commenta Emerson. “Io faccio con un’arancia quello che John Carew fa con un pallone”, risponde Ibra a quelli che, come il citato attaccante norvegese, provano a mettere in dubbio le sue qualità. Un pestone a Cordoba ed una testata a Mihalijovic aggiornano invece la sua fama di personaggio irritabile. Soffre però in campo internazionale: non incide in Champions, e anche con la maglia della Svezia fatica a fare la differenza, tanto che ad oggi si può tranquillamente affermare che il colpo di taekwondo (arte marziale da lui praticata) che infila Buffon a Euro 2004 rimane il suo momento migliore. Nel frattempo però sono passati due Mondiali (a quello del 2010 la Svezia non si è nemmeno qualificata anche a causa della sua latitanza in attacco) e un Europeo (quello del 2008, giocato discretamente a dispetto delle precarie condizioni fisiche). Il top a livello di rendimento Ibrahimovic lo raggiunge però nel triennio all’Inter. In nerazzurro ci approda grazie a Calciopoli. La Juventus, retrocessa in Serie B, lo vende nell’estate 2006 per 24.8 milioni di euro. In tre stagioni realizza 57 reti in campionato, raggiungendo la punta massima di 25 nel campionato 2008/09, il primo sotto la guida Josè Mourinho. In quello precedente una sua doppietta al Parma aveva regalato all’Inter il sofferto scudetto numero sedici (o quindici, dipende dai punti di vista). Fuori dal campo, Ibra soffre di nostalgia (nel 2007, controversa intervista a Libero su Luciano Moggi) e di mal di pancia (nel 2009, quando è ormai deciso a levare le tende da Milano). Contro quest’ultimo sintomo la cura è rappresentata da una maglia color blaugrana.

Filosofi e professori
Credeva di aver firmato per il Fc Barcellona, invece si è ritrovato nel Fc Guardiola. Questo è il sunto dell’Ibra-pensiero al termine di un’annata non facile, in cui non sono mancati i gol né le giocate, ma dove lo svedese non ha inciso sui destini della squadra come era abituato a fare con Ajax, Juventus e Inter. Un problema innanzitutto tattico; il Barcellona non giocava un calcio adatto al suo stile di gioco, spesso paragonabile a “improvvisazioni jazz” (copyright Björn Ranelid, scrittore), ma soprattutto non giocava per lui. Poi c’era l’aspetto mediatico, con il costante tentativo da parte di certa carta stampata di creare un dualismo -in realtà inesistente- tra lui e Messi (“la stampa svedese è terribile; da quando sono a Barcellona in sala stampa c’erano più giornalisti di cronaca rosa che sportivi”). Infine la questione-Guardiola; tra i due relazioni sempre ai minimi termini e comunicazione pressoché nulla. Solamente con Co Adriaanse durante il suo primo anno all’Ajax Ibrahimovic aveva avuto un rapporto così freddo con un allenatore. Alla fine Zlatan non chiama più Guardiola nemmeno per nome; nelle interviste diventa “il filosofo”. Per il tecnico spagnolo Ibra è invece un pacco, indesiderato fin dal giorno del suo arrivo, del quale sbarazzarsi il prima possibile. Il resto è storia dei giorni nostri. Il Milan, doppietta all’esordio in Champions, immediata lite con Arrigo Sacchi in diretta tv: “tu parli troppo, se non ti piace il mio modo di giocare non guardarmi”. Zlatan Ibrahimovic continua ad essere un giocatore che fa discutere. Sempre.

Fonte: Calcio 2000

sabato 27 novembre 2010

Il sogno proibito di Gekas

Non è certamente destinato ad entrare nella hall of fame dei grandi attaccanti il greco Theofanis Gekas, ma nemmeno il suo più acceso detrattore può affermare che l’attuale punta dell’Eintracht Francoforte non sappia fare il proprio mestiere, ovvero quello di segnare. Con alti e bassi, ovviamente, come tutti coloro che non nascono con le stimmate del fuoriclasse.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

venerdì 26 novembre 2010

Vitesse hope Merab Jordania's new dawn is not Middle Eastern mirage

Death or glory, at Vitesse there is no in between. In the last 15 years, the Arnhem club’s life has been full of ups and downs, with precious few periods of calm. Vitesse regularly finished in the top five of the Eredivisie and took part in the UEFA Cup in the late 1990s; the club even dreamed of lifting the Dutch title in the 1997/98 season, when they finished third in the league with 70 points – the side’s best ever performance – and saw their striker Nikos Machlas end the campaign as Eredivisie top scorer with 34 goals. Now a set of new developments have given the club cause to hope for a bright future.

Vitesse feasted on ambition in the 1990s, even building the breathtaking GelreDome stadium in 1998. The stadium was well ahead of its time with a retractable roof, and even ahead of some present day designs with a retractable pitch, able to be slid out when concerts or other events are held in the ground. Later however, the club almost went bankrupt in part due to the GelreDome and in part due to lavish spending on players and wages. Vitesse’s chairman at the time, Karel Aalbers, found himself accused of fraud in 2000 in another twist that added to the sense of crisis enveloping the club – Vitesse were eventually saved by Arnhem city council, who bought the GelreDome and produced a rescue package while on the pitch the team desperately fought to avoid relegation. This year though, on 16th August, Georgian businessman Merab Jordania bought Vitesse, beginning a new era for the Arnhem side.

Jordania purchased a club in poor financial health, but showed his intention was to restore the side to their glory days almost immediately. With a plan named by the Georgian “Project 13”, Jordania expressed his ambition to help Vitesse become Eredivisie champions within the next three years. Having been president of the Georgian Football Federation and a players’ agent – counting the Arveladze brothers, Georgi Kinkladze, Temur Ketsbaia and Georgi Demetradze as his most important clients – Jordania certainly knows his way around the football world. Vitesse’s new owner can count Roman Abramovich as one of his closest friends and it is no coincidence that Chelsea loaned the Dutch club two players last August – midfielder Nemanja Matic and defender Slobodan Rajkovic. The geel-zwart also signed Nacer Barazite from Arsenal and Ismail Aissati from Ajax; former Inter youth team defender Luca Caldirola had been the only loanee from a big club to land in Arnhem before Jordania’s arrival.

Since the start of the Jordania era, everyone at Vitesse expected that coach and club icon Theo Bos – labelled Mr Vitesse due to having made the most appearances for the Dutch side – wouldn’t last long. Jordania has high expectations, but Bos preached realism. The 45-year-old also had the handicap of not having been the new president’s choice. And last October, following a defeat to Roda JC, Jordania acted and Bos was sacked. His replacement was something of a surprise though, with the inexperienced Albert Ferrer, a former Spanish international defender, who at the time was working as a TV pundit for Canal+, drafted in as the new Vitesse coach.

Ferrer, who was part of Johan Cruyff’s Barcelona “Dream Team” of the early 1990s and also played at Chelsea, will work with a newly formed technical staff including ex-Ajax goalkeeper Stanley Menzo – who resigned as coach of Eerste Divisie side Cambuur Leeuwarden – and coach Albert Capellas Herms, previously of Barcelona’s youth system.

A raft of Cruyff’s “Dream Team” have become coaches: Pep Guardiola, Luis Enrique, Sergi Barjuan, Miguel Angel Nadal and Ronald Koeman. Now it is Ferrer’s turn. “Many people wonder why I have chosen the Eredivisie”, said the Spaniard at his unveiling. “I’m taking my first steps as a coach, and Vitesse’s offer looked like a great chance. I like Holland’s football philosophy. Johan Cruyff was vital for my development as a player and I learnt a lot from him during his time in Spain. I think that Holland’s football culture is very similar to that of Barcelona. When I told Guardiola about Vitesse, he said ‘Do it! They are the ideal starting point for you.’ So I packed my suitcase, left Granera – a little village 50 kilometres from Barcelona – and flew to Arnhem.”

Ferrer discovered a side struggling in the relegation zone, but, like a battle-hardened coach, repeated the managerial mantra of needing time. “Of course we need time because, you know, Rome wasn’t built in a day. I know all of the players in the team. I watched a lot of DVDs of their matches. When I say that my purpose is to create a little Barcelona here in Arnhem, please don’t look at me as if I am a fool. I know that Lasse Nilsson is not Lionel Messi. However, the approach to the game can be the same. I want my team to play dominant and attacking football. I want the ball to be moved around quickly. I want top training facilities that can help the players to improve day by day. They have to feel at home at the club and work with pleasure. These are the things that Cruyff taught me at Barcelona.”

The new Vitesse boss faces a difficult task, but has begun in style, recording an impressive 5-1 win in Venlo against VVV. Vitesse deployed the same 4-5-1 system favoured by previous coach Bos, with Julian Jenner and Dalibor Stevanovic on the flanks, Wiljan Pluim (or Marcus Pederson) as the lone striker, Aissati the attacking, creative midfielder, and Rajkovic and Frank van der Struijk the vital central defensive pairing. The Arnhem side currently find themselves 15th in the Eredivisie, just four points above the relegation playoff zone. “We are not worried”, stated technical director Ted van Leeuwen, “because this is only a transitional season. However, soon we will be able to show the club’s new style.”

In Holland there has been much controversy over Jordania’s takeover of Vitesse, mainly due to the businessman’s background, while some commentators have argued that the takeover is the start of the Dutch equivalent of the wave of foreign takeovers that have swept through English football. The fear is that financial globalisation in the Eredivisie may lead to longer term destabilisation.

Ten years ago Vitesse were nicknamed “FC Hollywood on the Rhine” and aimed to become a little Manchester United. Now they are dubbed the “Kingdom of Jordan(ia)” and look to Barcelona for inspiration. In Arnhem, the club’s faithful are enjoying the ride, full of expectations. However, deep down Vitesse’s supporters hope this is not merely another brief high to be followed by a mighty low.

Fonte: Inside Futbol

giovedì 25 novembre 2010

Gli affari del Groningen

Il proverbio dice che non c’è due senza tre. Pertanto il Groningen terzo in classifica nella Eredivisie a due giornate dalla chiusura del girone di andata, può legittimamente sperare nel bersaglio grosso. Dopo l’Az Alkmaar nel 2009 e il Twente nel 2010, i bianco-verdi rappresenterebbero la terza sorpresa consecutiva in un campionato fino a poco tempo fa fortemente caratterizzato dal dominio delle solite due-tre squadre.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

mercoledì 24 novembre 2010

Preview Inter-Twente

“Il Twente ha dimostrato di non essere un intruso in Champions League”. Michel Preud’homme, il tecnico degli olandesi, si è già messo alle spalle la seconda sconfitta consecutiva raccolta in campionato. “Sia contro l’Inter che contro il Tottenham, risultato a parte, ce la siamo giocata. Abbiamo le capacità per mettere in difficoltà i nostri avversari”. In altre parole: si va a Milano per giocarsi la qualificazione agli ottavi. Una debuttante al cospetto dei campioni d’Europa. Un allenatore esordiente contro un collega, Rafa Benitez, che invece da anni è un assiduo frequentatore della manifestazione. Un incrocio di destini solo apparentemente diversi.

Preud’homme condivide con Benitez la più scomoda delle eredità: sostituire un predecessore che ha fatto la storia del club. Mourinho all’Inter con la tripletta, McClaren al Twente con il primo titolo nazionale della squadra di Enschede. Il belga però non sta soffrendo il paragone, confermando la parabola ascendente della propria carriera da allenatore, che nell’ultimo biennio lo ha visto conquistare tre trofei con tre squadre diverse: campionato belga nel 2008 con lo Standard Liegi; coppa belga nel 2009 con il Ghent; supercoppa olandese quest’anno con il Twente.
A dispetto di un modulo, il 4-3-3, pressoché identico a quello di McClaren, c’è tanto Preud’homme nell’attuale Twente. Fino ad ora i due migliori uomini della squadra in Champions sono sue “creature”; l’ala sinistra Nacer Chadli, prelevato in estate dalla B olandese, decisivo nella vittoria a Brema sul Werder; e il portiere Nikolaj Mihajlov, dal 2007 nel club, ma promosso titolare solo con l’arrivo di Preud’homme. L’estremo bulgaro, figlio d’arte (papà Borislav detiene tutt’ora il record di presenze in nazionale), sembra esaltarsi sulla ribalta internazionale: lo scorso anno parò un rigore a Joao Moutinho dello Sporting Lisbona nel preliminare di Champions; quest’anno si è ripetuto contro Van der Vaart a Londra, prima di abbassare la saracinesca in casa del Werder.

L’ultima volta che Preud’homme ha calcato l’erba di San Siro indossava ancora i guanti da portiere e difendeva i pali del Malines, il piccolo club fiammingo capace di vincere, sul finire degli anni Ottanta, la Coppa Uefa. Quel giorno, per i quarti della Coppa Campioni 89-90, aveva di fronte il Milan di Arrigo Sacchi e Marco van Basten, che costrinse - praticamente da solo - ai tempi supplementari grazie ad una performance mostruosa. La stessa che si aspetta questa sera dal suo Twente.

Fonte: Il Giornale

martedì 23 novembre 2010

Preview Auxerre-Milan

Per comprendere la filosofia Auxerre un aneddoto vale più di mille parole. Qualche anno fa il club della Borgogna stava trattando con il Roda l’acquisto dell’allora promettente nigeriano Tijani Babangida. Di fronte ai 3 milioni di euro chiesti dagli olandesi, l’Auxerre però fece immediata retromarcia. “Non se ne parla proprio”, disse Guy Roux, il tecnico dei transalpini all’epoca. “Con questi soldi da noi si costruisce una cattedrale”. Traduzione: niente spese fuori budget. I big, o potenziali tali, l’Auxerre preferisce costruirseli in casa. Qualche esempio? Eric Cantona, Philippe Mexes, Djibril Cissè, Basile Boli, Bernard Diomede. Il prossimo della lista potrebbe essere il 22enne centrocampista Delvin N’Dinga, un piccolo Vieira congolese già finito sul taccuino di numerosi club europei.

Da sempre Auxerre significa valorizzazione dei giovani. Lo dice la ragione sociale del club, Association de la Jeunesse Auxerroise, ovvero associazione della gioventù di Auxerre. Lo conferma la storia della società, da sempre all’avanguardia nello scouting e nella formazione. Quando poi la semina è particolarmente buona, ecco arrivare il palcoscenico più prestigioso, la Champions League. Dove alle eventuali carenze qualitative dell’organico si sopperisce con l’ingegno, come accaduto nell’ultimo turno. Privo dei propri attaccanti titolari, l’infortunato Jelen e lo squalificato Oliech, per affrontare l’Ajax il tecnico Fernandez si è inventato una prima linea di brevilinei rapidi e guizzanti, i classe 86 Quercia e Sammaritano, per sorprendere in velocità la difesa degli olandesi. Risultato: successo dell’Auxerre per 2-1 e qualificazione riaperta.

Nell’Auxerre zero stelle, dove l’unico giocatore over-30 della rosa è lo svizzero Gritching, il fuoriclasse vero siede in panchina. Jean Fernandez, seguace dei metodi di Arrigo Sacchi e talent scout di Ribery ai tempi del Metz, in estate è stato ad un passo dal sostituire Domenech quale ct della Francia. Alla fine ha prevalso Laurent Blanc, e lui ha potuto continuare a dedicarsi al suo laboratorio di talenti. A inizio stagione ha estromesso dalla Champions i milionari dello Zenit San Pietroburgo. Oggi è pronto a sfidare una big del calcio mondiale con una batteria di attaccanti, sei, i cui cartellini valgono, tutti assieme, la metà di quello del solo Robinho.

Fonte: Il Giornale

sabato 20 novembre 2010

Brest, la parola alla difesa

Anche la Ligue 1 ha il suo Mainz, almeno finché dura. E’ il Brest, o Stade Brestios 29 (questo il nome ufficiale del club), capolista a sorpresa del campionato francese. A differenza del Mainz, però, la squadra transalpina è una neopromossa, e prima dell’attuale stagione mancava nella massima divisione dal 1991.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

martedì 16 novembre 2010

Sei un Mido

L’egiziano Hossam Mido, ex talento ampiamente bruciato da una serie di poco esaltanti esperienze tra Premier League, Liga e Serie A, è tornato a far parlare di sé per ragioni puramente sportive. La sua rete che ha aperto le marcature nel sedicesimo di finale di Coppa d’Olanda tra Ajax e Veendam non è certo un’impresa da raccontare ai nipotini, però a qualcosa è comunque servita. In primo luogo a togliere dall’egiziano l’etichetta di corpo estraneo alla squadra, raggiunta in estate per rimpolpare la prima linea dopo il mancato rinnovo del contratto (scelta societaria) al serbo Pantelic. Quindi ad evitare all’Ajax una nuova figuraccia casalinga dopo le sconfitte in campionato contro Utrecht e Ado Den Haag. Non battere all’Amsterdam ArenA il Veendam, club di Eerste Divisie, avrebbe avuto effetti deleteri per il già inquieto ambiente creatosi all’interno del club. Jol ha chiesto rinforzi per gennaio, Mido sembra abbia voluto dimostrargli che forse qualcosa in casa esiste già. Anche se, visto il passato, non c’è molto da fidarsi.

Le prime quattro della Eredivisie non hanno fallito la qualificazione agli ottavi della coppa nazionale. Il Twente capolista è stato quello che ha faticato più di tutti, imponendosi sullo Zwolle - primo della classe in Eerste Divisie - solamente ai calci di rigore. I Tukkers hanno confermato il loro più grande limite; le riserve non sono nemmeno lontanamente all’altezza dell’undici titolare. Preud’homme è stato così costretto a mandare in campo i pezzi grossi nella ripresa. Le castagne dal fuoco le tolte Chadli, al terzo gol pesante in due settimane dopo quelli nel big match contro il Psv Eindhoven e in Champions League a Brema.

I rigori hanno sorriso anche al Groningen, terzo in campionato a pari punti con l’Ajax; l’avversario però, l’Ado Den Haag, è una delle compagini attualmente più in forma di tutta la Eredivisie, e pertanto un pizzico di sofferenza poteva essere messa in conto. Una passeggiata invece il turno del Psv Eindhoven, un comodo 3-0 ai dilettanti dello Spakenburg. Per il tecnico Fred Rutten si è trattato del successo numero 50 in 71 partite sulla panchina del club della Philips.

Agli ottavi di finale approdano solamente nove squadre di Eredivisie (oltre alle citate, Utrecht, Az, Nac Breda, Roda e Vitesse), ovvero l’esatta metà. Coppa d’Olanda torneo snobbato? Tutt’altro. La formula della partita secca, con sorteggio integrale, aggiunge sale alla competizione senza fornire alcun paracadute per le big. Accade così che il Feyenoord esca ai trentaduesimi contro il Roda, l’Heracles Almelo prenda cinque gol dai dilettanti dell’Achilles ’29 e gli ottavi mettano di fronte Sparta Nijkerk e Noordwijk, garantendo una squadra amatoriale ai quarti.

Il Marko svalutato

Per comportarsi da Ibrahimovic bisognerebbe prima essere stati come Ibrahimovic, almeno in termini di prestazioni e successi. Un concetto elementare che Marko Arnautovic non ha recepito, perso in un ego più grande del suo già cospicuo talento.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 15 novembre 2010

BelgiOlanda 2018: intervista a Ruud Gullit

In Italia c’è qualcuno che paragona il nuovo Milan a quello del trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard. Cosa ne pensi?
Forse un domani potrà eguagliarlo perché possiede tanta qualità, e questa è la cosa più importante. Però per ora è ancora tutto sulla carta, bisogna vedere quanto sarà abile Allegri ad amalgamare una simile concentrazione di talenti. Sicuramente Berlusconi è stato di parola, mettendo a segno due grandi colpi di mercato con gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho. Ma prima di fare certi paragoni bisogna aspettare almeno qualche mese.

E’ un Milan più da campionato o da Champions?
E’ una squadra che si è rinforzata molto, anche se non in maniera omogenea. In Champions può fare molta strada, nonostante non abbia trovato un girone agevole. Purtroppo quest’anno i gruppi mi sembrano abbastanza squilibrati, ed alcuni di questi sono di livello non eccelso.

Due parole su Ibrahimovic.
Il suo arrivo ha regalato al Milan potenza fisica in attacco, senza sottrarre nulla sotto il profilo della qualità. E sono convinto che il calcio di Ibra è più adatto alla Serie A piuttosto che alla Liga.

Un campionato, quello spagnolo, all’insegna della sfida Mourinho-Guardiola.
Per Mou la sfida sarà ancora più tosta di quelle vinte finora, perché deve dare subito continuità ad una squadra composta da grandissimi giocatori, in gran parte però nuova. Il Barcellona invece è il top per quanto riguarda il bel calcio. Mi piaceva molto quello di Rijkaard, e ovviamente ammiro quello attuale. Guardiola può permettersi di giocare questo calcio perché possiede dei giocatori di altissimo livello. Non dobbiamo dimenticare che sono i giocatori a determinare la carriera, e le fortune, di un tecnico.

Pallone d’Oro a Sneijder, Iniesta oppure a qualcun altro?
Da Sneijder dissi che mi aspettavo un grande Mondiale, e così è stato. Apprezzando molto il Barcellona, non posso che ammirare Iniesta, così come Xavi e Messi. Il Pallone d’Oro dipende da molte cose. A me piace chi crea gioco, chi sa dirigere una squadra e migliorarla come collettivo.

Il Mondiale ha messo sul podio tre movimenti calcistici che prestano grande attenzione ai vivai: Spagna, Olanda e Germania. Non è ovviamente un caso.
Assolutamente no. Il circolo virtuoso nasce dalla sinergia tra settori giovanili che producono elementi di qualità, club che integrano precocemente i giovani talenti in prima squadra, e commissari tecnici che sfruttano questo lavoro per creare l’ossatura della loro selezione. Del Bosque secondo me ha fatto un lavoro eccezionale, mescolando le virtù del Barcellona, e della sua particolare filosofia, con quelle del calcio spagnolo. La Germania deve molto al lavoro svolto dalla Federcalcio negli ultimi anni a livello di nazionali giovanili, ma anche dal Bayern Monaco di Louis van Gaal. Stesso discorso per l’Olanda con l’Ajax.

Joahn Cruijff ha criticato molto il gioco poco brillante degli uomini di Van Marwijk.
Non condivido, l’Olanda ha disputato un ottimo torneo. Contro il Brasile ha sfoderato una maturità impressionante. Del resto, nemmeno la Spagna ha incantato in alcune partite. Contro il Paraguay ha sofferto molto, e in finale ha rischiato. Però hanno vinto meritatamente. Spagna e Germania hanno rappresentato il meglio dal punto di vista del gioco.

Il peggio è invece arrivato da Francia e Italia.
La Francia era alle prese con un delicato ricambio generazionale che né federazione né allenatore sono stati in grado di gestire. All’Italia invece mancava quasi completamente la qualità.

Perché i Mondiali 2018 dovrebbero essere assegnati a Belgio e Olanda (Gullit è il presidente dell’associazione che si occupa della candidatura, nda)?
Perché possiamo garantire il meglio sotto ogni punto di vista. E l’Olanda è l’unico paese appartenente ai grandi del calcio che non ha mai organizzato un Mondiale.

(7-fine)

Fonte: Guerin Sportivo

BelgiOlanda 2018: le relazioni pericolose

Amsterdam e Rotterdam: canali e grattacieli, artisti e portuali, Ajax e Feyenoord, Johan Cruijff e Dirk Kuijt, bianco e nero. Bianco come l’interno dell’Amsterdam ArenA, sale asettiche, camerieri in livrea, mobili dal design ipermoderno, atmosfera da multinazionale, emozioni ovattate. Almeno fino a quando non si accede al terreno, ed allora i colori tornano ad esplodere. Nero invece come la città di Rotterdam, 170 diverse nazionalità registrate all’anagrafe, 52% della popolazione composta da immigrati (di varie generazioni), sindaco musulmano, melting pot estremo, politiche di integrazione che ad altre latitudini è impossibile persino pensare. Progettano la “Manhattan aan the Maas”, un quartiere residenziale che sarà costruito interamente sull’acqua. Progettano un nuovo stadio da 75mila posti, nonostante abbiano già il De Kuip, cinque stelle di valutazione Uefa, il terzo miglior manto erboso del mondo (dopo il Santiago Bernabeu e l’Emirates Stadium), 114 partite della nazionale olandese ospitate, interni che fondono mirabilmente modernità e tradizione grazie a foto, dipinti, trofei e cimeli disseminati un po’ ovunque (e non, come all’Amsterdam ArenA, solamente all’interno del museo del club). Questo gioiello verrà classificato, a partire 2018, come monumento, ed al suo interno sorgeranno appartamenti e parcheggi. Se assegnati, i Mondiali rappresenteranno il suo ultimo appuntamento. Amsterdam invece si sta preparando al grande evento costruendo davanti all’ArenA un’area full entertainment in cui troverà spazio un albergo e l’avveniristico Ziggo Dome, una struttura a forma di parallelepipedo specificatamente progettata per i concerti, chiudendo così il cerchio della riqualificazione, iniziata a metà degli anni Novanta, di un’area particolarmente depressa ad est del centro cittadino. Amsterdam e Rotterdam, due modi diversi di essere all’avanguardia, una rivalità ormai ultra-centenaria. Per il 2018 però dovranno imparare a piacersi. O almeno a fingere di farlo.
(6-continua)

Fonte: Guerin Sportivo

domenica 14 novembre 2010

BelgiOlanda 2018: momenti di gloria

Passato è una parola che rischiava di diventare sinonimo di Olympisch Stadion. Nel 1998 la città di Amsterdam aveva infatti deciso di demolire lo storico impianto per costruire un quartiere residenziale, allo scopo di fronteggiare la carenza di abitazioni che all’epoca rappresentava un grosso problema per la città olandese. Una grossa mobilitazione popolare, unita ad una raccolta fondi organizzata dal proprietario della Heineken, scongiurarono l’operazione, salvando uno dei luoghi storici dello sport in Olanda. E’ noto che l’Olympisch Stadion ospitò le Olimpiadi del 1928, e che proprio sulle sue gradinate alcuni membri della FIFa iniziarono a discutere in merito all’idea di organizzare una coppa del mondo di calcio. In occasione delle Olimpiadi, che avrebbero accolto tantissime persone provenienti da tutto il mondo in un paese dalla lingua pressoché incomprensibile, il comitato organizzatore chiese espressamente la creazione di un simbolo, perfettamente riconoscibile da tutti, che indicasse i luoghi adibiti a parcheggio. Venne così creato il cartello con la P bianca su fondo blu, proprio quello che oggi si trova all’ingresso di ogni parcheggio. Dopo essere stato la casa della nazionale olandese (fino al 1989) e dell’Ajax (fino all’arrivo dell’Amsterdam ArenA nel 1996), adesso l’Olympisch Stadion si appresta a vivere una nuova giovinezza grazie ad un progetto che prevede un allargamento “temporaneo” della capacità dell’impianto (attualmente pari a 22mila posti) mediante un anello rimovibile che permetterà di adattare la struttura alle esigenze della manifestazione che ospita. Impossibile citare anche solo una parte degli eventi e dei personaggi che sono transitati in questo mitico stadio. Curioso però citare come, all’interno del museo, gli olandesi abbiano riservato uno spazio dedicato alla loro nemesi per eccellenza: i calci di rigore. Il pannello “strafschopsyndroom” (sindrome del calcio di rigore), illustra, attraverso parole e filmati, le cinque uscite consecutive ai rigori degli oranje dai grandi tornei internazionali tra il 1992 (Danimarca fatale) e il 2000 (nessun italiano può ignorare di cosa stiamo parlando). Una maledizione spezzata solo nel 2004 con il successo ai danni della Svezia. E sull’amletica domanda scritta sul pannello (“ci si deve allenare a tirare i calci di rigore?”) si potrebbe scrivere un trattato.
(5-continua)

Fonte: Guerin Sportivo

BelgiOlanda 2018: tulipani interrotti

Sono vicecampioni del mondo e quasi se ne vergognano. Il gioco violento messo in mostra dall’Olanda nella finale contro la Spagna ha lasciato il segno, proprio come i tacchetti di Nigel de Jong sul petto di Xabi Alonso. “La nuova scuola olandese”, titola il bimestrale di approfondimento e cultura calcistica Hard Gras, mostrando in copertina il citato colpo di kung fu del centrocampista del Manchester City. C’è molto rispetto per il lavoro svolto da Ben Marwijk, e dissidenti tout-court alla Johan Cruijff (“il gioco dell’Olanda è una pena per gli occhi e un dolore per il cuore”) sono decisamente in minoranza; secondo molti però in finale si è andati un po’ troppo oltre. Chiediamo a Peter Houtman, ex nazionale nonché bomber di Feyenoord e Groningen, oggi speaker e responsabile dell’accoglienza al De Kuip di Rotterdam, se non ritenga che quello adottato dagli oranje in finale fosse l’unico atteggiamento possibile per mettere in difficoltà una Spagna di inavvicinabile (per tutti) profilo tecnico. “Il problema è che non appartiene alla nostra cultura giocare in quel modo. Van Marwijk ha centrato un grande risultato e probabilmente, analizzando la partita da un punto di vista squisitamente tattico, non ha davvero sbagliato nulla. Ma non è quello visto in finale il calcio che mi piace”. Nel frattempo la campagna per Euro 2012 è iniziata con due vittorie, la prima comodissima a San Marino (con ritorno in maglia oranje, e ovviamente al gol, di Ruud van Nistelrooy, miglior marcatore di sempre dell’Olanda in partite ufficiali), la seconda di misura sulla Finlandia. Le novità si chiamano Hedwiges Maduro (centrale difensivo contro San Marino), Vurnon Anita e Jeremain Lens. Gli assist di Sneijder, i pestoni di De Jong e le lamentele di Van der Vaart (eguagliato il record di Dennis Bergkamp quale giocatore più sostituito di sempre – 31 volte – nella storia dei tulipani) rappresentano invece la continuità con il passato.
(4- continua)

Fonte: Guerin Sportivo

sabato 13 novembre 2010

BelgiOlanda 2018: il mio miglior nemico

Qualche anno fa un ristorante di Anversa decise di sponsorizzare il glorioso Royal Antwerp, la società calcistica più vecchia di tutto il Belgio (1880 l’anno di fondazione). Perse la metà dei clienti. Perché la rivalità cittadina tra le due squadre di Anversa (l’altra è il Germinal Beerschot) è talmente feroce da causare scelte radicali e, in alcuni casi, francamente incomprensibili. Come ciò che accadde in occasione dell’Europeo del 2000, quando Anversa, la città con il maggior numero di abitanti di tutto il paese (500mila contro i 100mila della Bruxelles “vera”, ovvero esclusi i 19 circondari amministrativamente autonomi), non ospitò alcuna partita in quanto i due club si rifiutarono di condividere un nuovo stadio, che sarebbe stato costruito appositamente per l’occasione. E dal momento che né il Bosuilstadion, casa del Royal Antwerp, né il vetusto Kiel, tana del GBA, presentavano le caratteristiche richieste dalla UEFA, Anversa fu costretta a farsi da parte. “Una disgrazia che non si ripeterà”, dichiara il burgemeester (sindaco) di Anversa Patrick Janssens. Questa volta i due storici nemici sono stati ricondotti alla ragione, pronti a condividere il Port of Antwerp Stadion, impianto da quasi 42mila posti che verrà costruito sulle rive del fiume Scheldt. Un progetto di riqualificazione di un’intera area, chiamata Petroleum Zuid, che prenderà il via nel 2012 per concludersi due anni dopo, indipendentemente dall’esito della candidatura. Quello di Anversa è il quarto stadio nuovo previsto in Belgio nei prossimi otto anni. Con il Port of Antwerpen ci saranno il Chartreuse Stadion di Brugge, lo Stade du Pays de Charleroi e l’Artevelde Stadion di Ghent (iniziato nel 2008). L’impianto più capiente sarà però il Koning Boudewijnstadion di Bruxelles, il tristemente famoso ex stadio dell’Heysel, per il quale è previsto un restyling che lo porterà, entro il 2016, ad una capacità complessiva di 80mila posti. Il Brussels Stadion, questo il nuovo nome, sarà un impianto multifunzionale che ospiterà, oltre alle partite della nazionale (come già accade ora), anche quelle dell’Anderlecht.
(3- continua)

Fonte: Guerin Sportivo

BelgiOlanda 2018: una poltrona per cinque

La versione belga del Guerin Sportivo si chiama “Sport voetbal magazine” oppure, a scelta, “Sport foot magazine”. Due nomi, due riviste, due lingue differenti, ma un’unica testata registrata. E’ il fascino del Belgio. Voetbal, la versione in fiammingo, ha in copertina il talentino del Genk Kevin De Bruyne; Foot, quella vallone, propone invece un servizio su Romelu Lukaku e la generazione di immigrati (Fellaini, Dembele, Kompany, eccetera). Solo le brevi sul calcio internazionale sono lo stesso articolo tradotto in due lingue; per il resto i contenuti sono diversi. “Perché ai lettori valloni interessano giocatori e squadre della loro area”, spiega Francois Colin, una vita spesa al seguito della nazionale belga come responsabile della comunicazione, “e lo stesso vale per quelli delle Fiandre”. La domanda appare quasi scontata: come può uno stato spaccato a metà, in cui esistono cinque governi (Fiandre, Vallonia, Bruxelles, comunità tedesca e francese), e quindi cinque ministri dello sport, proporsi quale soggetto co-organizzatore di una kermesse quale il Mondiale di calcio? La risposta arriva da Nico Claesen, ex nazionale belga. “Sono due le cose che tengono il Belgio unito: il re e lo sport. Quando scende in campo la nazionale, quando gioca Justin Henin (ambasciatrice della candidatura belga-olandese, nda), fiamminghi e valloni scompaiono. Spesso si legge che i modesti risultati raccolti dai Diavoli Rossi siano causati da ragioni di spogliatoio. Non è così. Nel 1986 in Messico siamo arrivati quarti, eppure c’erano fiamminghi e valloni. La stampa è divisa da un muro molto più alto di quello che separa i giocatori. Il Belgio non decolla perché sta uscendo da una delicata fase di ricambio generazionale. Adesso che abbiamo molti giovani talenti dobbiamo lavorare sullo spirito di squadra e sulla personalità. Il problema è tutto qui”. L’esordio nelle qualificazioni europee ha dimostrato che i Diavoli Rossi hanno ancora molta strada da percorrere. Pur non demeritando sotto il profilo di gioco né contro la Germania né in casa della Turchia, gli uomini di Leekens hanno raccolto zero punti, frutto di errori difensivi puntuali come il Thalys Bruxelles-Amsterdam. Lo scintillante Dembele (un giocatore da Arsenal, non da Fulham) visto contro la Germania non può bastare.
(2-continua)

Fonte: Guerin Sportivo

venerdì 12 novembre 2010

BelgiOlanda 2018: colazione a Lambermont

La candidatura di Belgio e Olanda quali paesi organizzatori del Mondiale 2018 in un esclusivo reportage.

Matthias Leterme non appartiene alla nutrita schiera di laureati costretti a sbarcare il lunario per qualche centinaia di euro, aggrappati il più delle volte ad un “poi vedremo” che si concretizza in un contratto a tempo indeterminato con la stessa frequenza con la quale il Genk vince il campionato belga. No, Matthias Leterme è più un tipo da Anderlecht o da Standard Liegi (quello degli ultimi anni). Essere il figlio del primo ministro belga aiuta. Magari a trovare, a 24 anni, un impiego quale manager amministrativo e finanziario di un club di Jupiler Pro League, il Kortrijk. Usufruire di corsie preferenziali non implica però automaticamente la mancanza di capacità professionali, ed ecco così il giovane Leterme rivestire un ruolo fondamentale nella miracolosa stagione 2009/2010, che ha visto il Kortrijk, budget di 6.5 milioni di euro, terminare al quinto posto in campionato e regalare alla nazionale belga un paio di giocatori, nonché il proprio tecnico, George Leekens. Una bella impresa calcistica dietro la quale si cela un ottimo lavoro gestionale. Un’impresa che però appare di una facilità irrisoria se paragonata a quella che attende il padre Yves Leterme, ovvero battere la concorrenza di Inghilterra, Russia e della coppia Spagna-Portogallo per vedersi assegnata l’organizzazione della coppa del mondo 2018. “Siamo molto determinati e cautamente ottimisti”, dichiara Leterme nel corso di una colazione nella lussuosa Lambermont, la villa in pieno centro a Bruxelles adibita a residenza del primo ministro belga. “Abbiamo le infrastrutture, possiamo contare su un’ottima rete di trasporti pubblici, gli stadi sono vicini l’uno con l’altro, la capacità organizzativa è già stata testata dall’Europeo del 2000 (nonché, riguardo all’Olanda, dal Mondiale under 20 nel 2005, nda). Siamo piccoli ma valiamo tanto, un po’ come Messi”.
(1-continua)

Fonte: Guerin Sportivo

giovedì 11 novembre 2010

Tutto sulla Eredivisie 2010/2011



Sul Guerin Sportivo in edicola questo mese c'è uno speciale di 24 pagine dedicato alla Eredivisie, con la presentazione del campionato, l'analisi delle 18 squadre partecipanti, le rose e le stelle. Il tutto a firma Radio Olanda.

Buona lettura.

mercoledì 10 novembre 2010

St. Gallen latest Swiss club to fight for future

Another piece of Swiss footballing history came close to falling apart recently as FC St. Gallen, the oldest club of all in the Alpine country, suffered under the burden of huge financial difficulties. St. Gallen were even threatened with direct relegation to the Prima Lega, the country’s third division.

Since the new millennium dawned, four Swiss clubs have been declared bankrupt: Lausanne (2002), Lugano (2003), Servette (2005) and La Chaux de Fonds (2009). Moreover, Grasshopper, the most successful club side in Switzerland’s history, are struggling to survive in the Super League, lacking the financial resources to reclaim their place towards the top of the table.

St. Gallen had debts of £10.1M, and of that £3.1M was due to be paid just last week. The club tried to find new financial backing with a plan named “Futura”. Local banks, public and private investors were all approached with a view to pumping money into the team to address what is a desperate situation; St.Gallen’s players agreed to a wage cut too.

Yet Futura was judged to have been a failure. St Gallen chairman Michael Huppi admitted as much during a press conference, stating: “The city government denied support to cover the first two million of our debt”, but refused to give up hope, “we are not finished yet. Many local businessmen are ready to do their part and we’re still waiting for the banks’ decision. Needless to say, their support is vital. St. Gallen are very sick, but not dead yet.”

And Huppi’s prayers were answered when local business leaders clubbed together to inject £6.4M into the club. The money may not have got St. Gallen out of the woods yet – the club must still demonstrate that its restructuring plan is viable – but it has staved off imminent danger and demonstrated clearly that the community will continue to support their side.

In this season’s Super League, St Gallen dwell in the lower reaches, only a poor Grasshopper keeping them off the bottom of the league. Last summer, coach Uli Forte lost several players of note: Ze Vitor, Moreno Merenda, Marc Zellwegger and, above all, playmaker Moreno Costanzo. This group had previously helped St. Gallen enjoy a steady 2009/10 campaign, culminating in a comfortable mid-table finish. The situation has been complicated further by the fact that Dutch newcomers Sandro Calabro and Tim Bakens – free transfers from VVV-Venlo and Volendam respectively – have so far flopped and failed to replace the quality which Forte has lost. Last but not least for the coach, experienced striker Mario Frick is often sidelined due to ongoing injury problems.

There is some good news for the AFG Arena outfit though, with a group of talented youngsters ready to step into the breach. Michael Lang, Nico Abegglen, Fabian Frei and Philip Muntwiler represent a so called “golden generation” for the club. Attacking midfielder Frei has stolen most of the plaudits so far and looks one to watch. The 21-year-old arrived at St. Gallen in July 2009, on loan from Basel, who had packed him off to gain more first team experience. Frei has so far proven his worth, scoring nine goals in 40 games and becoming a key man in Forte’s 4-2-3-1 system. At international level the youngster has begun to make an impact too. A former Under-16 and Under-18 Swiss champion with Basel, Frei has impressed with Switzerland’s Under-21s, opening the scoring in the country’s 4-1 win over Sweden in the 2011 European Championship playoffs.

Since St. Gallen were founded in 1879, the Espen as they are known, have picked up two titles and one Swiss Cup, the most exciting season in their history coming in the 1999/2000 campaign where the team surprised the entire country by topping the table by a comfortable ten points. Coach Marcel Koller and Ghanaian striker Charles Amoah, who ended the season as the league’s top scorer, were key to bringing the title back to St. Gallen after 96 years.

The glory days however didn’t last for long, and St. Gallen quickly slipped back into their familiar role of a solid mid-table outfit. In 2008, the club replaced the Espenmoos, their home ground, with a multi-use stadium named the AFG Arena. But, as the new ground was opened St. Gallen slid down into the Challenge League, and relegation dampened demand for the stadium’s VIP section, while business events also suffered. The AFG Arena was soon in the red, and this impacted on the club’s finances.

Bulgarian boss Krassimir Balakov was replaced upon relegation by former FC Wil coach Uli Forte and it took the Swiss-Italian just one season to bounce St. Gallen back up to the Super League; Forte’s side won the title by eight points over Lugano and set a new Challenge League record with an average attendance of 12,500. Outside of giants Basel and Young Boys, St. Gallen can attract more fans than any other Swiss club

Fonte: Inside Futbol

lunedì 8 novembre 2010

Pane e Rosenborg

Il Rosenborg campione di Norvegia non è una novità. Eppure il titolo 2010 – già in ghiaccio da diverse giornate – messo in bacheca dal club di Trondheim è diverso da tutti i successi precedenti. Migliore. Addirittura indimenticabile.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

giovedì 4 novembre 2010

Faccetta Nuri

L’attuale ct dell’ Olanda Bert van Marwijk non ha lasciato particolari ricordi sulla panchina del Borussia Dortmund. Eppure in Westfalia rimarranno grati per parecchio tempo al tecnico oranje, il primo ad intuire ed a testare le potenzialità di Nuri Sahin, uno di pilastri del Borussia Dortmund attuale capolista solitario della Bundesliga.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi)

mercoledì 3 novembre 2010

Baby Zohore e il sogno della Champions

Cinque anni fa, il 2 novembre 2005, Lionel Messi realizzava contro il Panathinaikos il suo primo gol in Champions League, all’età di 18 anni e 132 giorni. Ha festeggiato l’evento nel migliore dei modi, siglando la rete del momentaneo vantaggio del Barcellona a Copenhagen. Tra i danesi, c’era un giocatore che più di tutti desiderava scendere in campo per affrontare l’asso argentino, e magari per scrivere il proprio nome nel libro dei record.
(Articolo completo su Il Mondo siamo noi).

Bewildered Feyenoord fail to grasp reality of decline

In Rotterdam, the world is upside down. “Great Old” Sparta – Holland’s oldest professional football club – find themselves in the Eerste Divisie, the country’s second divison. Feyenoord, traditionally Rotterdam’s dominant force, are flirting with relegation and deeply ashamed after a 10-0 thrashing at the hands of PSV Eindhoven last weekend. Therefore, Excelsior, a small and modest club from the neighbourhood of Kralingen, are left along to defend Rotterdam’s honour in this season’s Eredivisie. And having beaten Feyenoord (3-2) and halted Ajax in their tracks (2-2) at the Woudestein, the Roodzwarten are making a good fist of it.

During the 1990s, Sparta Rotterdam found themselves in serious trouble, due to miserably poor management, causing the club to drop the the Ereste Divisie in 2002 for the first time in their history. Dutch pundits joked that “Sparta can never be relegated” and asked “Why not?” replied, “Because they can’t”. But then it happened and the club founded in 1888 tasted second tier football. Those same pundits who believed Sparta were simply too big to go down now find themselves choosing their words with more care when assessing Feyenoord. Sparta’s situation in 2002 and Feyenoord’s now looks dangerously similar.

FeyeNOT
Despite having won just three titles in the last 30 years, Feyenoord have always been considered a giant of the Dutch game. However, after lifting the Eredivisie in 1999 and then winning the 2002 UEFA Cup, the club’s situation has gone from bad to worse. Managerial mistakes, expensive flops and increasing financial difficulties have led Feyenoord to the edge of an abyss.

Since 2004, Feyenoord have had seven coaches (Ruud Gullit, Erwin Koeman, Bert
van Marwijk, Gertjan Verbeek and Mario Been, plus “caretakers” Leo Beenhakker
and Leon Vlemmings) along with four technical directors (Rob Baan, Mark Wotte,
Peter Bosz and Leo Beenhakker). 49 players have been bought, but only six have
made any sort of impact; Romeo Castelen (now of Hamburg), Henk Timmer, Roy
Makaay and Giovanni van Bronckhorst (all retired), Nuri Sahin (a one-year loan
from Borussia Dortmund) and John Dahl Tomasson (still at the club).

“In the last years Feyenoord have completely lacked a global vision”, said Henk van Stee, the former head of the club’s youth system. “A good project needs continuity. You cannot change the technical director, the coach and his staff almost every year. Every person has a different vision of the game and of the players who could be functional to his own ideas."

The different philosophies of Baan and Bosz illustrate Van Stee’s point to perfection. While Baan decided to pursue a more global approach to player recruitment, scouting and buying potential young starlets from across the world – like Brazilians Michel Bastos and Gerson Magrao, Australian Brett Emerton and Ivorian Bonaventure Kalou – Bosz thought experience the most important factor to improve Feyenoord’s performance. During Bosz spell as technical director, he moved for older players such as Kevin Hofland, Roy Makaay, Giovanni van Bronckhost, Danny Landzaat, Michael Mols and Tim de Cler.

A Sinking Ship
At the end of 2006, businessman Jorien van den Henrik stepped down as Feyenoord chairman, leaving the club under special guardianship due to their financial troubles. A new committee headed by Dick van Well was appointed and Feyenoord supporters could have been forgiven for hoping for a general improvement. However, over the last three years the financial situation at De Kuip has worsened and the Rotterdam side have debts of at least £31M. Fans who had strongly criticised Van den Herik are now partially changing their minds. The former chairman was a controversial figure, once saying “Martin Jol? He is too fat to become Feyenoord’s coach”. Yet despite leaving behind economic

difficulties at De Kuip, Van den Henrik also handed the club back its international status and made some important investments, such as the Feyenoord Fetteh Football Academy in Ghana. “Van den Henrik was a sort of figurehead who could steer the Feyenoord ship forward”, wrote Dutch weekly Voetbal International, adding: “After he left, the ship started to sink.”

The sleepy Feyenoord Committee is now well and truly under fire; and Leo Beenhakker too. The 68-year-old technical director, considered overpaid by large sections of the club’s support, added only free transfers last summer. Beenhakker complains that it is impossible to go shopping without money; however, many doubts remain over Feyenoord’s scouting system, and as Dutch coach Co Adriaanse – who turned down the club twice – remarked: “The Polish goalkeeper Przemyslaw Tyton is currently one of the best keepers in the Eredivisie. I wonder why he plays with Roda? Beenhakker coached Poland for two years. Why do his Feyenoord play with a 41-year-old keeper instead of a talented young player like Tyton?” Beenhakker’s most expensive buy thus far has been former Roda striker Sekou Cisse, who cost around £3M and is widely considered another failure. Cisse was only afforded through help from an outside investor, and the club’s debts continue to grow.

Professional Moneywasters

A lack of vision has gone a long way towards helping Feyenoord lose money over the last few years; many players who failed to impress at De Kuip are now regulars elsewhere. Johan Elmander (Bolton Wanderers), Michel Bastos (Lyon), Dwight Tiendalli (FC Twente), Glenn Loovens (Celtic), Gerson Magrao (Dynamo Kyiv), Danko Lazovic (Zenit), Patrick Mtilga (Malaga) and Jacob Lensky (Utrecht) are just some of those who have gone on from unimpressive spells at Feyenoord to turning out in the Premier League, La Liga, Ligue 1 and the Champions League. Fans understandably ask: “What kind of strange Malaise has spread around De Kuip?”

But perhaps Mounir El Hamdaoui and Jonathan de Guzman best represent Feyenoord’s mistakes in the transfer market. The former, a Moroccan striker, grew up at Excelsior, Feyenoord’s satellite club, but was never given the chance to prove his worth at De Kuip. Despite their first option on El Hamdaoui, Feyenoord passed on the player. Fast forward to 2009, and the Moroccan ended the season as Eredivisie top scorer and title winner with AZ. Today, the 26-year-old turns out for Ajax in the Champions League.

Dutch-Canadian midfielder De Guzman was another product of Feyenoord’s first class youth system. In the past, selling talent developed at De Kuip, such as Robin van Persie and Royston Drenthe, could be counted upon to bring in millions in extra income. De Guzman looked for all the world to see like Feyenoord’s next big sale; the Dutch giants were unable though to set-up a deal with a number of Spanish and English clubs linked with the player, and last summer, De Guzman signed a contract with Real Mallorca, moving to Spain on a free transfer; no money for Feyenoord, despite 12 years spent developing the midfielder.

Destination Nowhere?

The Rotterdam side must now avoid another De Guzman style case, yet currently find themselves with five players whose contracts expire on 1st July, 2011, and another 14 who could leave on a free transfer in 2012. Young talents like Leroy Fer, Georginio Wijnaldum, Diego Biseswar, Kamohelo Mokotjo and key players Ron Vlaar and Andre Bahia need to be offered contract extensions. Most though, will ask for guarantees that things will get better at De Kuip before signing on the dotted line. Midfielder Fer has been targeted by Manchester United and Newcastle United, but would stay if the situation improved. “Leroy could sign a new contract with Feyenoord only if he saw real prospects for his future at the club”, said the player’s agent Rob Jansen.

It may not be all doom and gloom at the Rotterdam giants though and much faith is placed in coach Mario Been. Despite a terrible start to the current season – only Pim Verbeek in 1989 and Gertjan Verbeek in 2008 have endured worse – Been has the ability to raise the team from their current swamp. The 46-year-old has always done a good job with young and inexperienced teams; Been earned promotion to the Eredivisie with Excelsior, then led NEC Nijmegen to the Round of 16 in the UEFA Cup.

“Feyenoord and Mario Been need only tranquillity to start again after the Philips Stadion [defeat to PSV] disaster”, said Johan Cruyff. A comfortable 3-0 win over VVV-Venlo helped Feyenoord bounce back a little from that 10-0 mauling and showed the club is not quite in complete disarray. However, black clouds still linger over De Kuip and until the board and directors stop speaking about Feyenoord’s European and title ambitions at the start of every season, the situation will not drastically change. After all, the first step needed to reverse a decline is to be aware that it is real and happening.

Fonte: Inside Futbol

lunedì 1 novembre 2010

Wesley Sneijder vs Rafael van der Vaart

Questa sfida non s’ha proprio da fare. Wesley Sneijder e Rafael van der Vaart sembrano destinati a continuare a pizzicarsi su Twitter, come avvenuto due settimane fa per il primo round tra Inter e Tottenham Hotspur, ma non in campo. Scontato il turno di squalifica dopo il rosso rimediato contro il Twente, Van der Vaart è a forte rischio per il match del White Heart Lane a causa di infortunio muscolare rimediato sabato contro il Manchester United. Un duro colpo per il club londinese, ma ancora di più per il trequartista oranje. “Sono infastidito per quanto accaduto”, ha dichiarato l’olandese, “ma farò di tutto per esserci martedì sera”. Non è una frase di circostanza. Non se ti chiami Van der Vaart e di fronte a te ci sarà il giocatore che ti ha soffiato il posto in nazionale.

La carriera di Van der Vaart e Sneijder, i due migliori prodotti del vivaio Ajax nell’ultimo decennio, è viaggiata su binari pressoché paralleli fino all’arrivo di Josè Mourinho, che ha impresso una decisa sterzata al percorso professionale del secondo, liberandolo dalla gabbia dorata di Madrid – condivisa proprio con Van der Vaart – e ponendolo al centro del vincente progetto-Inter. Da quel momento, Van der Vaart è stato oscurato dal connazionale. E se a Euro 2008 era toccato a lui il ruolo di trequartista centrale alle spalle della punta, con Sneijder costretto a “riciclarsi” a sinistra, due anni dopo in Sudafrica le gerarchie erano completamente ribaltate: Sneijder intoccabile numero 10, Van der Vaart in fascia, oppure in panchina. Recentemente è addirittura stato schierato come mediano davanti alla difesa, proprio il ruolo nel quale, per ironia della sorte, era stato confinato Sneijder nel Real Madrid per far posto ad una batteria di fantasisti che comprendeva anche l’attuale giocatore del Tottenham.

Sneijder contro Van der Vaart significa anche Yolanthe Cabau van Kasbergen contro Sylvie Meis, sfida mediatica tra le più belle del reame (olandese). Senza esagerazioni però; tra i due calciatori c’è sempre stato rispetto, nonostante la chiara somiglianza sotto il profilo tecnico-tattico li abbia messi in competizione fin dai tempi dell’Ajax. La differenza tra i due l’ha fatta la versatilità. Sneijder è un centrocampista multiruolo, Van der Vaart rende al meglio solo quando agisce centralmente alle spalle della punta, una posizione che gli ha permesso di fare faville ai tempi dell’Amburgo e che lo ha riproposto ad alti livelli oggi nel Tottenham (già 5 reti in Premier League). Ma non basta quando il tuo rivale nel frattempo è diventato campione d’Europa ed è tra i grandi favoriti alla vittoria del Pallone d’Oro. L’unico giudice che può ancora darti ragione è il campo. Sperando che non basti un muscolo troppo fragile per rovinare tutto.

Fonte Il Giornale