lunedì 31 maggio 2010

David Alaba

Jari Litmanen, Edwin van der Sar, Edgar Davids, Andres Iniesta, Patrick Kluivert, Clarence Seedorf, Thomas Müller, Demy de Zeeuw, Sergio Romero, Holger Badstuber. Nazionalità e ruoli diversi, un unico denominatore comune: Louis van Gaal, il tecnico che li ha lanciati nel grande calcio. Ajax, Barcellona, Az Alkmaar, Bayern Monaco. Non c’è stato club nel quale l’allenatore olandese più vincente di tutti i tempi – per alcuni anche il più antipatico - non abbia proposto in prima squadra qualche giovane dal brillante futuro. Alcuni pescati direttamente alla fonte, vedi il caso del finlandese Litmanen o dell’argentino Romero, la maggior parte invece prelevati e svezzati dal vivaio di casa. Il marchio di fabbrica Van Gaal significa garanzia di qualità. E’ questo uno dei motivi per i quali David Alaba può guardare con assoluta fiducia al proprio futuro.

Fin dai primi approcci al calcio professionistico, è stata affiancata al nome di Alaba una sola piccola parola: record. Tutti legati alla verdissima età di debutto nelle squadre in cui finora ha militato. David Alaba è stato il giocatore più giovane ad esordire: con la seconda squadra dell’Austria Vienna (18 aprile 2008, 15 anni e 299 giorni di età); nella nazionale austriaca under 21 (5 settembre 2009, 17 anni e 74 giorni); nella selezione maggiore dell’Austria (14 ottobre 2009, 17 anni e 112 giorni); nel Bayern Monaco in Coppa di Germania (10 febbraio 2010, 17 anni e 232 giorni), in Bundesliga (6 marzo 2010, 17 anni e 256 giorni) e in Champions League (9 marzo 2010, 17 anni e 259 giorni).

Alaba nasce a Vienna il 24 giugno del 1992 e cresce calcisticamente a Donaustadt, il 22esimo distretto della capitale austriaca, dove veste la maglia del club locale dell’Aspern. Gioca a centrocampo ed ammira Mehmet Scholl, all’epoca regista di quel Bayern Monaco che solo un anno prima era salito sul tetto più alto d’Europa, battendo ai rigori il Valencia nella finale di san Siro, e del mondo, primeggiando sul Boca Juniors. All’età di dieci anni Alaba cambia distretto spostandosi al decimo, il Favoriten, sito nella parte meridionale di Vienna e sede di un ginnasio legato alla sezione giovanile dell’Austria Vienna. Il passo di ingresso nell’accademia della prestigiosa società austriaca è breve. Nell’aprile 2008 il tecnico Dietmar Constantini lo porta in panchina nella trasferta dell’Austria Vienna in casa dell’Altach, mentre pochi giorni dopo è in campo per la prima volta nella Erste Liga, la seconda divisione del campionato austriaco, con la squadra riserve. La svolta però arriva in Tirolo nel corso di un torneo per under 19. Werner Kern, capo del settore giovanile del Bayern Monaco, che aveva già visto Alaba in azione l’estate precedente nella Premier Cup organizzata a Manchester, decide di non attendere oltre. Una rapidità condivisa poco più di un anno dopo dallo stesso Constantini il quale, diventato nel frattempo ct della nazionale austriaca, non esita a convocare ed a gettare nella mischia il suo vecchio protetto, permettendogli di battere il record di precocità detenuto fino ad allora da Hans Buzek.

A Monaco di Baviera Alaba, dopo una stagione di apprendistato con le selezioni under-17 e under-19 dei bavaresi, si ritrova in Dritte Liga (la Lega Pro tedesca) nel Bayern Monaco II agli ordini proprio di Mehmet Scholl, da poco subentrato a Hermann Gerland, l’uomo che aveva precettato il giovane austriaco per la seconda squadra del Bayern. Esordio nell’agosto 2009 in uno scialbo 0-0 contro la Dinamo Dresda, già uomo-partita con un gol e un assist nel 3-1 rifilato al Borussia Wüppertaler il turno successivo. Nel gennaio 2010, in partenza per una tournè nella calda Dubai, il Bayern Monaco annuncia l’aggregazione in piante stabile alla prima squadra dei giovani Diego Contento, Mehmet Ekici e David Alaba. Quest’ultimo arriva alla corte di Van Gaal da interno di centrocampo/mediano e ne esce terzino sinistro, ruolo nel quale, secondo il tecnico olandese, può sfruttare meglio il proprio dinamismo e una tecnica, soprattutto con il mancino, di primo livello. Debutta in Coppa di Germania contro il Greuter Fürth fornendo a Franck Ribery l’assist per la rete del momentaneo 3-2 (l’incontro finirà 6-2 per il Bayern), quindi nel giro di tre giorni colleziona i primi caps in Bundesliga, contro il Colonia, e in Champions League, nell’incontro di ritorno degli ottavi di finale contro la Fiorentina. In quest’ultimo match, in cui la qualificazione è stata decisa da un gioiello di Arjen Robben, viene schierato a sorpresa titolare. Ovviamente sulla sinistra della linea a quattro di difesa, in quanto, a detta di Van Gaal, “Alaba è un terzino sinistro, anche se forse non se ne rende ancora conto”. Il diretto interessato dovrà farsene una ragione; fino a quando rimarrà sotto la guida dell’olandese, l’idea di emulare il suo punto di riferimento odierno, lo spagnolo Cesc Fabregas, rimarrà sempre e solo sulla carta.

E’ un austriaco quasi per caso David Olatokunbo Alaba, nato dall’unione di un musicista nigeriano emigrato a Vienna per studiare economia e finito a lavorare come DJ dopo aver visto un proprio brano rap (The Indian Song, cantata con la cantante Petra Suk e firmata con il nome Two in One) finire al secondo posto nelle charts austriache; e da un’ex reginetta di bellezza filippina che oggi lavora come infermiera. Un inno al multiculturalismo di cui la più lesta ad approfittarne è stata l’Austria, che forse anche per mettersi al riparo da possibili future scelte del ragazzo orientate a una qualsivoglia riscoperta delle radici (nigeriane o filippine), lo ha fatto rapidamente debuttare in nazionale maggiore, il 14 ottobre 2009 a Saint Denis contro la Francia, in un incontro valevole per la qualificazione ai Mondiali 2010. E’ finita 3-1 per i transalpini, ma a Vienna e dintorni tutti erano contenti. Alaba per essere entrato nel grande giro, mentre gli Ösi (nomignolo che i tedeschi affibbiano ai loro cugini d’Austria) per aver scoperto, dopo Marko Arnautovic ed Erwin Hoffer (due talenti da riscoprire in piazze diverse da Milano e Napoli), un nuovo “Wunderkind” sul quale riporre la propria fiducia per rilanciare un movimento calcistico da tempo sprofondato in una latente mediocrità.

sabato 29 maggio 2010

Switzerland Reflect on Super League Stars of 2009/10

Switzerland has bid farewell to another season. The 2009/10 campaign ended with three thrilling head-to-head clashes: Basel against Young Boys for the title; Thun meeting Lugano to contest promotion to the Super League; Bellinzona versus Lugano again in the promotion/relegation playoff. Basel, Thun and Bellinzona were the victorious sides, and now Switzerland can assess which stars really made an impact this season.
Here's the seven most impressive players of the Swiss season:

Marco Streller
Along with midfielder Benjamin Huggel, Marco Streller is the symbol of 2009/10 Super League champions Basel – both tough footballers for a tough team. While they may not play attractive football, and style and technique are not their most potent weapons, they do know how to win.
With 21 league goals, Streller has played a key role in helping Basel to their 13th league title. The striker's performances were impressive all season long, despite having to operate with four different partners up front, from veteran Alexander Frei (who suffered a broken arm in February), Australian Scott Chipperfield, Argentine bench-warmer Federico Almerares, right through to Cameroon rising star Jacques Zoua. Last January Streller turned down a move to English side Fulham and Swiss coach Ottmar Hitzfeld convinced him to continue his international career after Euro 2008 – both of those decisions look to have paid dividends.

Seydou Doumbia
In the summer of 2008, Young Boys signed Seydou Doumbia from the Japanese second division. Two years later and a fine spell in the Super League has shown the signing of the Ivorian to have been a real masterstroke: In 2008/09 Doumbia netted 20 goals, and this year he scored 30.
Even the performances of Doumbia weren't enough this season to help Young Boys bag a first title since 1986, as they missed out to Basel. While the Berne club dominated the Swiss league until the spring, then their form dropped, culminating in losing the last two games of the season. This missed opportunity should be quickly forgotten by Doumbia though, the striker is heading to Russia and CSKA Moscow after the World Cup.

Hakan Yakin
Hakan Yakin is a name well known to Swiss football fans, and this past summer Luzern decided to bring the skilled midfielder back home from Qatar. It wasn't easy to predict whether Yakin still possessed the motivation to perform at the highest level, but he soon proved he could make a difference, helping the club to qualification for the Europa League.
Yakin notched 10 goals and 10 assists, but perhaps more importantly, the midfielder played a vital role in helping to bring the best out of his team-mates. Beneficiaries were Romanian forward Christian Ianu (21 goals, having only scored six last season) and former Juventus starlet David Chiumiento (11 goals). In South Africa Yakin will line up for his second World Cup.
Brother Murat Yakin also enjoyed a great season, coaching Thun to win the Challenge League and return to Switzerland's top flight.

Samuel Inkoom
20-year-old Ghana right back Samuel Inkoom has spent this season living up to comparisons with Brazil star Maicon and won't quickly forget his 2009/10 campaign. This season Inkoom has won almost every single competition he has taken part in: With Ghana he won the 2009 FIFA Under-20 World Cup, finished as runner-up in the African Cup of Nations and bagged a league and cup double with Basel in Switzerland.
Inkoom moved to St. Jakob-Park from Kumasi Asante Kotoko in April 2009, and after a difficult start was praised for his positive personality. Basel's chairman Gisela Oeri has gone on record as stating Inkoom is now the subject of heavy interest from many of Europe's elite.

Gilles Yapi Yapo
The Ivory Coast man held the key to the Young Boys midfield this past season. A series of outstanding performances, both as a defensive midfielder and playmaker, helped the club to remain top of the league for much of the campaign. In January Yapi shocked Young Boys fans by announcing he had penned a three-year deal with rivals Basel. The imagined lack of commitment shown by key players such as Yapi and Doumbia was pinpointed by supporters as vital reason why Young Boys lost out on the title at the death.
Yapi arrived in Europe in 2001, following French coach Jean-Marc Guillou to Belgium and Beveren, where the club consisted mainly of players from the Ivory Coast. Despite much criticism, Beveren developed a host of great talents, and Yapi, alongside Gervinho, Yaya Toure, Romaric and Emmanuel Eboue, has proved to be one of the best.

Moreno Costanzo
Moreno Costanzo must rank as one of the best young players of the 2009/10 Super League season, with 14 goals to his name and a universally acknowledged impact, helping St. Gallen to a comfortable mid-table finish.
Last season, Costanzo had been vital too, with 14 goals in 24 games as his side clinched promotion to the top flight. In the Swiss second tier Costanzo has played as a forward, but upon promotion soon found himself deployed on the right side of midfield. Then St. Gallen coach Uli Forte had a brainwave and played the youngster as a classic number 10, just behind his two strikers – Costanzo never looked back.
Already in-demand, the 22-year-old with Italian roots seems ready to step up to a higher level. In fact, Costanzo is amongst the options Young Boys are considering to fill Gilles Yapi Yapo's role.

Frank Feltscher
The 22-year-old midfielder has been one of the few bright spots in Bellinzona's horrible season. On loan from Italian side Lecce, Feltscher saved the day with a late winner in the promotion/relegation playoff against Lugano.
Bellinzona, with the smallest budget in the entire Super League, managed to survive the duel with Challenge League side Lugano, thanks in no small part to Feltscher. The Granata won 2-1 at home and drew 0-0 at the Cornaredo Stadium after 90 minutes of defensive football. With his dribbling ability and outstanding vision, Feltscher has given Bellinzona another season of top flight football.

Fonte: Inside Futbol

mercoledì 26 maggio 2010

Toni Kroos

Da Lothar Matthaus a Toni Kroos, il filo che lega passato e futuro del calcio tedesco si chiama Jupp Heynckes. Nel 1979 il tecnico fece debuttare con la maglia del Bayern Monaco il 18enne Matthaus; vent’anni dopo ha rimesso sui giusti binari la carriera del più puro talento di Germania prodotto nell’ultimo quinquennio. La sovra-esposizione mediatica, parzialmente involontaria, stava giocando un brutto scherzo a Kroos, passato nel giro di un anno da miglior giocatore del Mondiale under 17 in Corea del Sud a grande assente, causa scelta tecnica, agli Europei under 21 in Svezia, torneo vinto proprio dalla selezione tedesca. La Germania completava così uno storico tris di successi, comprendenti anche il titolo di campioni d’Europa under 17 e under 19, e del piccolo fenomeno di Greifswald, città sulle rive del Mar Baltico a circa sessanta chilometri dal confine con la Polonia, nemmeno l’ombra.

Kroos nasce centrocampista centrale con spiccate propensioni offensive. Il suo ruolo naturale è quello di numero 10 alle spalle delle punte, dove può sfruttare al meglio tanto le proprie capacità balistiche (il destro è sopraffino) quanto quelle di lettura delle situazioni di gioco. Eppure il suo ritorno sulla ribalta, dopo un fuoco fatuo nel Bayern Monaco che ha raggiunto la propria luminosità massima in una notte europea, è avvenuto in una squadra dotata di un modulo che non prevedeva l’utilizzo del trequartista centrale: il Bayer Leverkusen di Heynckes, stagione 2009/2010. Ma quello che a prima vista non appariva propriamente l’ambiente tattico ideale per Kroos, un 442 con una mediana centrale composta da due interdittori e la fantasia relegata ai lati, ha per contro rappresentato un fondamentale punto di svolta nella carriera del giovane. L’infortunio di Renato Augusto lo promuove titolare nell’undici delle Aspirine, al resto ci pensa il suo destro tagliente, dal quale sgorgano gol e assist. E per la prima volta in assoluto Kicker elegge per tre giornate di seguito lo stesso giocatore quale miglior elemento della Bundesliga.

Toni Kroos nasce il 4 gennaio 1990 in una famiglia con lo sport nel Dna. La madre è stata campionessa della DDR di badminton, mentre il padre vanta un passato da calciatore nel Greifwalder, club del quale in seguito è diventato anche allenatore. La prima maglia indossata da Kroos non può pertanto che essere quella del padre, il quale, una volta ottenuto un incarico presso il settore giovanile dell’Hansa Rostock, porta il figlio con sé. Nel 2005 Kroos è vice-campione di Germania con la selezione Allievi del club. Un anno dopo si trova sulle rive dell’Isar, a Monaco di Baviera, con addosso la maglia della squadra tedesca più titolata: il Bayern. Alloggia nella foresteria del club, vive e respira calcio.

Il 2007 è l’anno in cui il nome di Kroos inizia prepotentemente ad uscire dai confini tedeschi: Toni prima sfiora la vittoria del campionato tedesco under-19, che finisce al Bayer Leverkusen al termine di una tiratissima finale vinta 2-1 ai supplementari dalle Aspirine; poi parte per i Mondiali under 17 in Corea del Sud, tornando con il “Pallone d’Oro”, riconoscimento assegnato al miglior giocatore del torneo (con il 26% dei voti batte al fotofinish il nigeriano Macauley Chrisantus), la “Scarpa di bronzo” quale terzo miglior marcatore della manifestazione, grazie alle 5 reti (più 4 assist) realizzate, ed il pieno di consensi per aver guidato la Germania sino al terzo posto; infine il 26 settembre debutta in Bundesliga in un 5-0 rifilato dal Bayern Monaco all’Energie Cottbus, disputando gli ultimi venti minuti del match al posto del brasiliano Zè Roberto e fornendo due assist a Miroslav Klose per altrettanti gol. A 17 anni e 265 giorni Kroos è il più giovane debuttante di sempre con la maglia del Bayern Monaco; il primato gli verrà sfilato nel 2010 dall’austriaco David Alaba. Ma l’apparentemente inarrestabile ascesa non è ancora terminata, ed ecco quindi l’esordio in Europa (in Coppa Uefa contro il Belenenses) e una dozzina di intensissimi minuti contro la Stella Rossa, dove Kroos, entrato in campo al minuto 81, prima offre a Klose la palla del pareggio, quindi decide l’incontro nel recupero (3-2 il risultato finale) con un destro dal limite.

E’ nata una stella, dicono in Germania. Uli Hoeneß, tanto per alleggerire la pressione sul ragazzo, dichiara che per lui è già pronta la maglia numero 10 del Bayern. Non la pensa propriamente così invece Jürgen Klinsmann, subentrato nell’estate del 2008 ad Ottmar Hitzfeld sulla panchina dei bavaresi. Poche chance e tanta panchina per Kroos, e il piccolo talento inizia a sgonfiarsi come un pallone bucato. Gli unici lampi arrivano in Coppa di Germania e con l’under 21 tedesca, dove segna al debutto nell’agosto 2008 in un match contro l’Irlanda del Nord. Le sempre ottime prestazioni offerte con le selezioni tedesche portano a Kroos qualche paragone un po’ scomodo. Quello con Micheal Zepek, ad esempio, talento bruciato del calcio tedesco che tutt’oggi detiene il record di presenze nelle nazionali giovanili della Germania, ma la cui carriera è ben presto scivolata tra i dilettanti. Un viaggio ovviamente di sola andata. Quello che non sembra compiere Kroos quando nel gennaio 2009 il Bayern Monaco lo presta al Bayer Leverkusen. Sei mesi per cambiare aria ed accumulare minutaggio prima del rientro in Baviera, almeno nelle intenzioni. Ma la stagione-no prosegue, tanto da convincere il ct della Germania under 21 Horst Hrubesch a non convocarlo per gli Europei di categoria in Svezia nemmeno quale vice di Mesut Özil. Per Toni si tratta di un brusco ritorno sulla terra.

Leggenda vuole che la proroga annuale del prestito di Kroos al Bayer Leverkusen sia dovuta all’intervento del Segretario Generale della Federcalcio tedesca Wolfgang Niersbach, che nel luglio 2009 ha contattato personalmente Jupp Heynckes, diventato nel frattempo il nuovo tecnico delle Aspirine, chiedendogli di prendersi cura del ragazzo. Il resto è storia recente. Il Bayer, fedele alla recente tradizione di grande incompiuta, crolla nel finale di stagione dopo un ottimo girone di andata, mentre Kroos mette in mostra una continuità ad una maturità mai viste prima, che gli valgono anche, il 3 marzo 2010, l’esordio in nazionale maggiore in un’amichevole contro l’Argentina. Scontato in estate il rientro alla casa madre, questa volta non più come pacco di ritorno, bensì da legittimo pretendente ad una maglia da titolare.

lunedì 24 maggio 2010

Super League top players 2009/2010

Marco Streller
Lui e il compagno Huggel sono i simboli del Basilea: rudi, antipatici, nessuna concessione all’estetica. Eppure terribilmente efficaci. Streller, ariete di pura fisicità, immarcabile sulle palle aeree ma tecnicamente limitato, ha ben figurato sia in coppia con l’icona Alex Frei, sia con l’australiano Chipperfield, centrocampista tuttofare riconvertito in seconda punta. Per lui parlano i numeri: 21 gol in campionato, fondamentali nell'economia dei renani per il successo al fotofinish sullo Young Boysa. E i critici sono zittiti.

Seydou Doumbia
L’attaccante della Costa d’Avorio non era ancora nato quando, nel 1986, al Wankdorf di Berna lo Young Boys festeggiava il suo ultimo titolo nazionale. Neppure lui però è riuscito a restituire ai gialloneri quella gioia, nonostante le quasi 60 reti segnate in due stagioni. Capocannoniere della Super League per due volte consecutive (in quella appena conclusa ha toccato quota 30 gol), miglior giocatore del campionato 2008/09. Ma lo Young Boys, dopo aver dominato per larga parte della stagione, ha chiuso mestamente secondo. Doumbia lascerà la Svizzera a giugno per il CSKA Mosca. Una chance ad alto livello indubbiamente meritata.

Rolando Zarate
Il Grasshopper è sull’orlo del collasso economico, ma in campo non si è visto. La squadra guidata da Ciriaco Sforza ha saputo reagire ad un preoccupante inizio di stagione fino ad imporsi quale terza forza del campionato. Merito soprattutto della grande stagione disputata da questa mezzapunta argentina, fondamentale nel ruolo di trequartista centrale nel 4-2-3-1 delle Cavallette. Con i suoi 14 gol e 10 assist Zarate è destinato a diventare uno dei nomi “caldi” del mercato svizzero. Perchè mai come ora il Grasshopper ha necessità di vendere.

Hakan Yakin
Strappato al suo dorato esilio in Qatar, Hakan Yakin ha dimostrato di essere ancora in grado di fare la differenza in un campionato dai ritmi non certo vertiginosi come quello svizzero. A Lucerna, il re dell’ultimo passaggio (10 in questa stagione) ha rivitalizzato la vena realizzativa del rumeno Ianu (che ha toccato quota 21) e il talento di Chiumiento (11 centri per l'ex juventino), dimostrando di non avere alcuna intenzione di abdicare, a dispetto dei 33 anni suonati.

Moreno Costanzo
Rivelazione stagionale, 14 reti in campionato, in doppia cifra già lo scorso anno, quando era stato tra i principali protagonisti della promozione del San Gallo in Super League. Nasce attaccante di movimento, iniza la stagione da esterno destro, sboccia definitivamente quando il tecnico Uli Forte lo mette dietro le due punte. Capocannoniere stagionale di un San Gallo yè-yè che, accanto all’esperienza di veterani alla Mario Frick, ha proposto con successo qualche giovane elemento (Abegglen, Fabian Frei, Lang) di interessanti prospettive.

Gilles Yapi-Yapo
Cresciuto nel Beveren “africano” del maestro di calcio francese Jean-Marc Guillou, Yapi è diventato il cervello di centrocampo dello Young Boys, mostrando personalità e visione di gioco. Come il connazionale Doumbia, lascerà Berna in estate. Lui però ha scelto di passare dall’altra parte della barricata e di accasarsi al Basilea. Per lo Young Boys, oltre al danno, anche la beffa.

Samuel Inkoom
Stagione da incorniciare: campione del mondo under-20 con il Ghana, finalista in Coppa d’Africa, doppietta campionato-coppa nazionale da titolare sulla corsia destra del Basilea al suo primo anno in Europa. Un terzino rapido e grintoso, efficiente tanto nella fase difensiva quanto in quella offensiva. Lo hanno chiamato il nuovo Maicon; indubbiamente un’esagerazione, ma non una bestemmia.

Ideye Aide Brown
Solo metà stagione, sufficiente però per totalizzare un bottino di 12 reti e 6 assist. Poi l’attaccante nigeriano, in doppia cifra per il terzo anno consecutivo con la casacca dei rossoneri, è stato ceduto in Ligue 1 al Sochaux. Stesso destino per il compagno di reparto, il ticinese Mario Gavranovic, finito allo Schalke 04. Due partenze pesantissime che hanno trasformato il Neuchatel da squadra rivelazione, con ambizioni europee, nel 2009 a ultima delle presentabili (ovvero le prime otto) nel 2010.

Alvaro Dominguez
Il circo Sion dell’ingestibile presidente Constantin sembra essersi preso un anno sabbatico, lasciando finalmente parlare il campo. E non è un caso che, una volta diminuite le turbolenze ambientali, un giocatore di qualità come il centrocampista colombiano sia tornato sui livelli mostrati un paio di stagioni fa, e poi misteriosamente scomparsi. Geometrie, tecnica e un buon feeling con la punta belga Lokonda Mpenza. Miglior assist-man del campionato con 12 passaggi decisivi.

Dusan Djuric
Lo Zurigo campione in carica si è squagliato sotto il peso degli infortuni, degli impegni di Champions e dello scarso stato di forma mostrato da molti protagonisti del titolo. Stelle appannate? Largo dunque ai gregari, come questo mosto perpetuo svedese che agisce da collegamento tra mediana e reparto offensivo. Ha giocato interno, esterno, ala, seconda punta, offrendo quantità e sostanza. Notevole il tiro da fuori.

Fonte: Calcio 2000

venerdì 21 maggio 2010

Robben, il talento di cristallo re Mida dei trofei



Al civico 51 della Säbener Straße, il quartiere generale del Bayern Monaco, sembra sia già pronto un biglietto di ringraziamento indirizzato a Jorge Valdano. Perché senza quella porta sbattuta in faccia la scorsa estate dal direttore tecnico del Real Madrid ad Hans Robben, reo di aver chiesto delucidazioni sul ruolo che avrebbe rivestito il proprio figlio Arjen all’interno delle Merengues dopo la nuova svolta “galactica”, oggi in Baviera si starebbe raccontando una storia diversa. Una storia nella quale con tutta probabilità non ci sarebbe né una società arrivata ad un passo dalla conquista della storica tripletta campionato-coppa nazionale-Coppa dei Campioni riuscita in passato solamente a cinque club (Celtic Glasgow, Ajax, Psv Eindhoven, Manchester United e Barcellona), né tantomeno un giocatore divenuto il primo in Europa ad aver conquistato quattro titoli nazionali in quattro paesi diversi: Olanda, Inghilterra, Spagna e Germania. Arjen Robben, appunto. Il pericolo pubblico numero uno per l’Inter di Josè Mourinho nella finalissima di Madrid.

Non sarebbe corretto affermare che il Bayern Monaco 2009/2010 equivale ad Arjen Robben. Ma è altrettanto innegabile che le fortune della squadra di Louis van Gaal siano dipese in larga misura dalle straordinarie prestazioni dell’olandese, fresco della nomina quale giocatore dell’anno in Bundesliga. 16 gol e 7 assist in campionato, 3 centri in coppa di Germania, 4 in Champions League. Oltre ai numeri, tanta qualità. La staffilata all’incrocio dei pali a Firenze, il sinistro al volo su corner di Ribery all’Old Trafford, la cavalcata di 80 metri nei supplementari della semifinale di coppa nazionale contro lo Schalke 04, la prima tripletta in carriera nel 7-0 all’Hannover. Reti decisive realizzate nei momenti, e nelle partite, che contano. Come dovrebbe fare un vero fuoriclasse.



Escludendo la sua prima esperienza nel calcio professionistico con il Groningen, iniziata in una mattina di novembre del 2000 con un sms di convocazione ricevuto dall’allora 16enne Arjen mentre sedeva sui banchi di scuola, Robben ha sempre sollevato trofei in qualsiasi squadra abbia militato: Psv Eindhoven, Chelsea, Real Madrid e ovviamente Bayern Monaco. Mai come nell’attuale stagione ha però saputo essere così decisivo per il proprio club. Merito (anche) di Huub Westhovens, un’osteopata che lo ha aiutato a risolvere il suo più grande tallone d’Achille: i muscoli di seta. Robben il talento di cristallo, dicevano, il cui fisico è delicato come una porcellana di Delft, nonostante la madre Marjo vantava un passato da ottima ginnastica e lo aveva aiutato nella crescita a sviluppare una muscolatura forte ed elastica. Eppure nel suo primo anno al Chelsea Arjen aveva saltato per infortunio 30 incontri sui 59 ufficiali disputati dai Blues. In totale, nelle cinque stagioni spese tra Inghilterra e Spagna, la percentuale di presenze dell’ala nata a Bedum il 23 gennaio 1984 si era attestata attorno al 58%. Il che equivaleva a quasi una partita su due fermo ai box.

Secondo giocatore più veloce al mondo dopo Cristiano Ronaldo grazie ad una punta massima raggiunta in allenamento di 32.9 km/h (ricerca effettuata dal settimanale “Der Spiegel”), fino ad oggi per Robben sono stati spesi in totale 83 milioni di euro. 3.9 li aveva sborsati il Psv Eindhoven (primato per il più costoso under-19 olandese di sempre sottratto a Clarence Seedorf, pagato 500mila euro in meno dalla Sampdoria all’Ajax nell’estate ’95), 18 il Chelsea, 36.1 il Real Madrid, 25 il Bayern. L’olandese è genio senza sregolatezza, come dimostrato dai buoni rapporti con tutti gli allenatori incontrati in carriera, da Guus Hiddink a Josè Mourinho, dai ct oranje Dick Advocaat e Marco van Basten fino a Juande Ramos (il primo a schierare lui, sinistro naturale, come esterno destro, ruolo attualmente ricoperto nel Bayern) e Louis Van Gaal. Con quest’ultimo si appresta a compiere il grande slam. “Das Triple ganz nah”, incitava lunedì il quotidiano sportivo Kicker. E ora la tripletta. O i tedeschi oppure l’Inter, chi vince a Madrid questa volta prende davvero tutto.

Fonte: Il Giornale

Per chi si accende la B-Ticino

Potrà sembrare strano, ma non dappertutto la finale di Champions di sabato sera a Madrid è l’incontro più atteso del week-end per i calciofili. Ad esempio in Canton Ticino, dove sulle pagine dei quotidiani trovano più spazio Pascal Renfer e Gurkhan Sermeter rispetto a Diego Milito e Arjen Robben. La ragione è semplice: a cavallo tra venerdì e lunedì andrà in scena la sfida che nessuno avrebbe mai voluto vedere, ovvero il derby tra Bellinzona e Lugano. Con una posta in palio altissima: la conquista del decimo e ultimo posto disponibile per la stagione 2010/2011 di Super League. E’ lo spareggio/barrage che da anni, a termini di regolamento, mette di fronte la nona classificata delle massima divisione elvetica, il Bellinzona appunto, alla seconda della serie cadetta, il Lugano. Il destino ha piuttosto beffardamente voluto che fossero proprio le due compagini di punta del cantone di lingua italiana a disputarsi la promozione, o la permanenza, in Super League lungo 180 minuti spalmati tra il Comunale di Bellinzona e Cornaredo, la casa del Lugano.

Beffa, proprio così. Non esistono altre parole per descrivere ciò che è accaduto lo scorso sabato pomeriggio, quando il Lugano si accingeva ad affrontare a domicilio, da primo in classifica, l’ormai demotivato Vaduz. Una vittoria avrebbe significato la promozione diretta. Ne è invece uscito un brutto 1-1 che ha gettato nello sconforto i circa 7700 spettatori (mai visto Cornaredo così gremito) accorsi a sostenere i bianconeri. E mentre i bernesi del Thun, guidati da una vecchia conoscenza del calcio svizzero quale Murat Yakin, festeggiavano il sorpasso avvenuto all’ultima tornata, a Lugano rotolava (metaforicamente) la testa del tecnico Simone Boldini, che già l’anno scorso aveva portato la squadra al secondo posto in Challenge League prima di arrendersi nel barrage contro il Lucerna.

Il giorno successivo il Bellinzona perdeva invece in casa contro il fanalino di coda Aarau, già però aritmeticamente retrocesso. Una domenica pomeriggio pertanto tranquilla per i granata, dopo le indicibili sofferenze durate un’intera stagione. Quest’anno al Comunale si è vista una squadra molle, impaurita e tecnicamente modesta, alla quale il triplo cambio di panchina (Schällibaum-Cavasin-Morinini) è riuscito a regalare solo brevi sussulti, senza però mutare il quadro generale. Quest’anno il filo diretto con il campionato italiano si è rivelato un cocente flop, con gli impresentabili Maurizio Ciaramitaro e Fausto Rossini, e l’appena discreto Aimo Diana, tornato dignitoso una volta schierato difensore centrale rispetto ai pessimi esordi sulla fascia. Per il Bellinzona si tratta del terzo barrage negli ultimi quattro anni. Nel 2007 i granata, allora squadra di serie cadetta, dovettero arrendersi all’Aarau, mentre un anno dopo riuscirono ad imporsi sul San Gallo ed a riguadagnare così la Super League.

Sia il Lugano che il Bellinzona dovranno rinunciare ai loro migliori elementi, gli esperti Renfer e Sermeter citati all’inizio. Ma la sfida più interessante rimane quella tra i due allenatori, l’ex granata Marco Schällibaum contro l’ex bianconero Roberto Morinini. Per entrambi un incrocio pericoloso con i loro vecchi datori di lavoro. Schällibaum era sbarcato a Bellinzona nell’estate 2008 con il non facile di sostituire Vlado Petkovic, il tecnico che in un colpo solo aveva portato i granata alla promozione in Super League e alla finale di Coppa di Svizzera, con tanto di prima storica qualificazione alla Coppa Uefa. Ad una prima stagione più che dignitosa, tanto in Europa (eliminazione contro il Galatasaray dopo due match ad alto tasso spettacolare) quanto in patria (salvezza tranquilla), era seguita una seconda terminata con l’esonero lo scorso autunno dopo una serie di imbarazzanti prestazioni.
Morinini per contro ha allenato il Lugano in due occasioni. La prima va ricordata per lo storico secondo posto nella stagione 94-95 alle spalle del Grasshopper, e per l’impresa compiuta l’anno successivo in Coppa Uefa quando i ticinesi eliminarono l’Inter vincendo a San Siro. Tornato nel 2000, ecco un altro secondo posto, prima del fallimento del club. Nel week-end entrambi andranno contro il loro passato. E nel Canton Ticino sia Louis van Gaal che Josè Mourinho dovranno accontentarsi, almeno per una volta, di non avere la prima pagina tutta per loro.

PS. Ringrazio l’amico e collega Stefano Olivari per il geniale titolo.

lunedì 17 maggio 2010

Verdetti di fine stagione

Come da pronostico, l’Ajax si assicura il brodino della Coppa d’Olanda battendo un Feyenoord nettamente inferiore sotto ogni punto di vista, in primis quello degli stimoli. Formalmente la finale è spalmata su 180 minuti, in realtà ne dura appena 9, il tempo impiegato da Siem de Jong per perforare due volte la retroguardia del club di Rotterdam nel match di andata dell’Amsterdam ArenA. Il resto è solo una passerella, quasi più amara per l’Ajax (il titolo nazionale finito al Twente per un solo punto brucia parecchio) che per il Feyenoord.

La squadra allenata da Mario Been, comunque più che dignitoso alla sua prima stagione sulla panchina dell’ex grande d’Olanda, centra l’obiettivo minimo della qualificazione all’Europa League. Al Feyenoord faranno compagnia Psv Eindhoven, Az Alkmaar e Utrecht. Questi ultimi sono i vincitori dei play-off per l’ultimo piazza disponibile per l’ex Coppa Uefa. Dove forse ci sarebbe stato meglio l’Heracles Almelo di Gertjan Verbeek, terminato davanti in classifica all’Utrecht spendendo quindici volte di meno quanto fatto dal club allenato da Ton Du Chatinier. La lotteria dei play-off ha però vanificato in dieci minuti quanto di buono fatto lungo tutto l’anno; tale è stato infatti il tempo impiegato dal Roda per ribaltare il risultato ad Almelo e cogliere un clamoroso successo esterno per 2-1, dopo il pareggio (1-1) dell’andata. Tutt’altra musica però in finale contro l’Utrecht, nel frattempo sbarazzatosi facilmente del Groningen. La differenza tra i due club è emersa in tutta la sua chiarezza sia al Parkstad Limburg (2-0 Utrecht) che al Galgenwaard (4-1). Missione dunque compiuta sotto la Domtoren (Torre del Duomo) per Mertens, Van Wolfswinkel, Mulenga e compagni. Nonostante nessuno di questi attesi protagonisti sia riuscito a terminare il campionato in doppia cifra. Insomma, c’è ancora parecchio su cui lavorare.

Capitolo Nacompetitie. Salvo all’ultimo respiro il Willem II grazie alla doppietta di uno dei tanti pessimi giocatori visti a Tilburg negli ultimi anni: l’ex Borussia Dortmund Mehmet Akgün. Eroe per un giorno, Akgun ha affossato con due reti nei tempi supplementari i sogni di gloria del Go Ahead Eagles, sbarcato a Tilburg forte dell’1-0 dell’andata, pareggiato dopo una mezzora scarsa da Demouge. Grossa delusione per le Aquile di Deventer, che dopo la semifinale di Coppa d’Olanda persa contro l’Ajax vedono svanire al fotofinish il loro principale obiettivo stagionale. Il successo nella tiratissima semifinale contro il Cambuur di Menzo (2-0 a Deventer, 0-1 a Leeuwarden) aveva ingigantito le aspettative, anche alla luce dello stato di crisi in cui versava il Willem II, mai convincente nemmeno in una semifinale sulla carta agevole come quella contro l’Fc Eindhoven. Una grande stagione conclusa con un pugno di mosche, mentre Tilburg si veste a festa per celebrare il lieto fine di un’annata imbarazzante. Anche questo è il calcio.

L’altro match dei play-off salvezza/promozione aveva invece regalato un emozionante derby di Rotterdam: Sparta contro Excelsior. I primi si erano sbarazzati non senza qualche brivido dell’Helmond, sconfitto 2-0 al Het Kasteel dopo il ko di misura (1-2) dell’andata. I giovani guidati da Alex Pastoor (l’Excelsior è, di fatto, una squadra under-21) avevano invece avuto la meglio sullo Zwolle sia in trasferta (1-0) che in casa (4-3). Derby quindi, il cui primo atto si era chiuso nella tana dell’Excelsior con uno 0-0 che lasciava aperto qualsiasi discorso. Ed era pareggio a reti inviolate fino al novantesimo anche nel ritorno, almeno fino a quando Rydel Poepon incornava in rete un assist di testa di Eric Falkenburg e faceva esplodere l’Het Kasteel. La gioia è durata però un solo minuto, il tempo necessario a Fernandez, che poco prima aveva fallito un calcio di rigore, per mettere il pallone nell’angolino lontano dove Cor Varkevisser non poteva arrivare. Dell’Excelsior parleremo più approfonditamente a breve, mentre lo Sparta chiude in lacrime una stagione iniziata benino e poi rovinosamente precipitata. Ma non ha certo fatto peggio del Willem II. Anche questo però, lo ripetiamo, è il calcio.