I belong to Jesus. Come Kakà, anche Mateja Kezman. Calciatori di fede. Rispetto all’asso brasiliano, Kezman però intende spingersi ancora oltre. A 31 anni e con una carriera ormai al crepuscolo, ha già individuato il proprio percorso una volta appese le scarpe al chiodo: prendere i voti ed entrare in un monastero cristiano-ortodosso. Perché “servire il Signore è il massimo nella vita”. Nel frattempo però il BATE Borisov gli chiede di affiancare alle preghiere anche qualche gol. Come il serbo ha fatto in abbondanza a inizio carriera, prima di imbeccare una spirale negativa che, partendo dal Chelsea di Mourinho (“la miglior esperienza professionale della mia vita”, ha detto Kezman), lo ha visto finire addirittura a Honk Kong nel South China con un contratto di quattro mesi. Nel mezzo, esperienze poco esaltanti in Spagna, Turchia, Francia e Russia, pur con squadre di valore: Atletico Madrid, Fenerbahce, Paris Saint-Germain, Zenit S. Pietroburgo.
Un tempo l’unico verbo conosciuto da Kezman era quello del gol. A 21 anni è capocannoniere in Serbia con il Partizan Belgrado con una media reti poco superiore al gol a partita. Poi passa al Psv Eindhoven e alza ancora il tiro: 129 centri in quattro stagioni, con il Philips Stadion che suona la musica di Batman ad ogni pallone messo in rete dal serbo. Accanto a lui un giovane Arjen Robben, per lo scontato “Batman & Robben” come soprannome per la coppia. Ma una volta lasciata l’Olanda nel 2004, Kezman perde progressivamente tutti i suoi poteri finendo una sola volta in doppia cifra, nel 2008 con il Fenerbahce. Non va meglio in nazionale: a Germania 2006 si becca un rosso da Rosetti in Argentina-Serbia. Da allora zero convocazioni.
In estate il BATE ha ingaggiato Kezman con il preciso obiettivo di portare un pizzico di esperienza a una squadra talentuosa (metà dell’undici titolare è composto da nazionali bielorussi under-21, finiti terzi agli Europei di categoria lo scorso giugno con tanto di qualificazione alle Olimpiadi di Londra 2012) ma troppo “verde” per una competizione di primo livello come la Champions League. Resta da vedere se per il serbo giramondo il richiamo del saio può ancora attendere.
Fonte: Il Giornale
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