Prima di Roy Makaay, un altro “Fantasma” si aggirava sui campi d’Europa. Accadeva nei primi anni Sessanta, quando John White e il suo Tottenham Hotspur dettavano legge in patria, riuscendo anche a mettere in bacheca un trofeo internazionale di prestigio. White era ribattezzato “The Ghost” perché in campo correva talmente tanto da sembrare in grado di “materializzarsi” sempre nei pressi del compagno in possesso del pallone per ricevere il passaggio. Un giocatore che ragionava in termini di spazio ben prima che Johan Cruijff, il suo Ajax e la sua Olanda mettessero questo concetto alla base di una delle ultime grandi rivoluzioni nel mondo del calcio. Avrebbe potuto diventare un grandissimo, John White da Musselburgh, paese a una manciata di chilometri a est di Edimburgo. Lo ha tradito un destino crudele e la passione viscerale per una delle più innocue discipline sportive conosciute: il golf.
Non promettono niente di buono i nembi color grigio scuro che la mattina del 21 luglio 1964 si profilano all’orizzonte sui campi da gioco del golf club di Crews Hill, Enfield, sobborgo metropolitano a nord di Londra. Pioverà cani e gatti, così dicono gli inglesi quando si aspettano acqua a catinelle. White però non ha voglia di rientrare subito. Ancora un tiro, dice. Vuole completare la buca. Magari sarà un birdie, oppure addirittura un eagle, o forse dovrà accontentarsi del par; nessuno lo saprà mai, perché inizia a diluviare. White tenta di trovare un riparo sotto un albero, ma viene colpito da un fulmine. Muore sul colpo. Ha 27 anni, lascia una moglie – Sandra, figlia dell’allenatore in seconda degli Spurs Harry Evans – e due figli piccoli. In realtà il numero corretto dei suoi bambini è tre, ma dell’esistenza di Stephen Roughead-White, concepito da John nel cui periodo in cui prestava servizio militare a Berwick nel KOSB (King's Own Scottish Borderers, divisione di fanteria dell’esercito britannico, sezione scozzese), si verrà a sapere solo quarant’anni dopo.
White viene acquistato dal Tottenham nell’estate del 1959 per 22mila sterline, nonostante il manager degli Spurs Bill Nicholson non fosse rimasto particolarmente impressionato dal ragazzo quando lo vide all’opera nel Falkirk. “Troppo magro, non reggerà a lungo i ritmi e la fisicità del nostro campionato”. Lo convincono Dave Mackay, compagno di squadra del ragazzo in nazionale, e la notizia che durante il periodo nel KOSB White era uno dei più forti corridori di corsa campestre di tutto il paese. In poco più di dodici mesi uno dei talenti più promettenti del calcio britannico passa così dalla seconda divisione scozzese, nella quale aveva vestito per tre anni la maglia a strisce giallo-nere dell’Alloa Athletics, alla First Division inglese. A Londra White trova un Tottenham reduce da un disastroso piazzamento al 18esimo posto (il campionato era a 22 squadre) dopo aver perso nel corso della stagione il tecnico Jimmy Anderson per problemi di salute. Lo aveva sostituito Nicholson, che dopo aver debuttato con un roboante 10-4 ai danni dell’Everton non era riuscito a mantenere elevato il livello di prestazioni della squadra, rapidamente eclissatasi nella mediocrità. Un inizio davvero poco memorabile per colui che sarebbe diventato uno degli allenatori più longevi e vincenti di sempre nella storia degli Spurs.
Oggi White sarebbe definito un calciatore totale, di quelli che riescono ad offrire un rendimento elevato in qualsiasi posizione del campo vengono schierati. Lui inizia come interno sinistro di centrocampo, poi passa all’ala destra per terminare, nella stagione del double campionato-FA Cup, interno destro. Da lì non si sposta più. Lo scozzese garantisce corsa, dinamismo, visione di gioco, creatività, profondità e un’ottima capacità di calcio con entrambi i piedi. La sua stagione d’esordio si chiude con un bottino di 28 presenze e 5 reti, unito alla soddisfazione di far parte dell’undici titolare che nel replay del quarto turno di FA Cup travolge 13-2 il Crewe Alexandra, stabilendo il primato (tutt’oggi imbattuto) della più larga vittoria di sempre degli Spurs. L’anno successivo è già tempo di double: il campionato viene vinto con 8 punti di vantaggio sullo Sheffield Wednesday, mentre nella finale di FA Cup gli Spurs, pur favoriti, devono sudare parecchio per piegare il Leicester City di Gordon Banks, rimasto oltretutto in dieci dalla metà del primo tempo per l’infortunio di Len Chalmers (all’epoca non erano consentite sostituzioni). Terzo club a centrare la doppietta dopo Preston North End (1889) e Aston Villa (1897), il Tottenham è la squadra dello scozzese Dave Mackay, polmoni d’acciaio e grinta da vendere; del nordirlandese Danny Blanchflower, capitano della squadra, fonte primaria del gioco degli Spurs, mirabile dispensatore di assist e giocate di classe; dell’ariete Bobby Smith, 176 reti con i londinesi; e ovviamente di John “The Ghost” White, l’uomo-ovunque.
Nicholson rinforza ulteriormente la squadra nella stagione successiva con l’acquisto dal Milan di Jimmy Greaves, ex bomber del Chelsea che a Milano aveva impiegato poche settimane per pentirsi di aver lasciato Londra. Oltretutto il feeling con il tecnico Nereo Rocco, ma anche con al dirigenza rossonera, non decollava, e pertanto alla prima occasione il bomber fa le valigie e torna a casa. Nicholson versa nelle casse del Milan 99.999 sterline perché non vuole che “Greaves senta la pressione di essere un giocatore da 100mila sterline”. Il bis però arriva solo in FA Cup (3-1 al Burnley in finale), mentre in campionato è l’Ipswich Town di Alf Ramsey ad aggiudicarsi la volata finale. Una delusione per gli Spurs che si somma a quella dell’eliminazione in semifinale di Coppa dei Campioni contro il Benefica: i lusitani vincono 3-1 a Lisbona e passano in vantaggio anche a White Heart Lane, salvo poi subire il furioso ritorno dei padroni di casa. A pochi minuti dalla fine però i sogni del Tottenham di andare al replay si infrangono sulla traversa colpita da Mackay. Finisce 2-1. White e compagni devono però attendere poco più di dodici mesi per diventare la prima squadra inglese a vincere in Europea. Il 15 maggio 1963 al De Kuip di Rotterdam gli Spurs travolgono 5-1 l’Atletico Madrid nella finale di Coppa delle Coppe. La rete del raddoppio la firma White, con un sinistro chirurgico che passa attraverso una selva di gambe prima di insaccarsi in rete.
“White era un grande talento”, ricorda il compagno di squadra Cliff Jones. “Potrei paragonarlo a Glenn Hoddle, con la differenza che John non aveva giornate storte nelle quali non riusciva a entrare in partita. La sua filosofia era semplice: se non hai la palla, mettiti nel posto giusto per riceverla. E andava proprio così: ogni volta che alzavi la testa, vedevi John White pronto a dettare il passaggio”. Nel corso della sua carriera con gli Spurs, White ha totalizzato 183 presenze e 40 reti in campionato, più 17 (con 6 gol) nelle coppe europee. Con lui la squadra ha centrato due terzi posti, un primo, un secondo e un quarto. Poi è arrivato quell’incidente tanto assurdo quanto inaspettato…
Fonte: Guerin Sportivo
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