Negli anni Settanta era la squadra di Johan Cruijff e del calcio totale; negli Ottanta era invece diventata la Milanda del trio rossonero Gullit-Van Basten-Rijkaard; oggi quella guidata da Bert van Marwijk può essere definita la ModernOlanda, perché capace di unire talento ed efficacia come raramente visto in passato. E’ la nazionale dei celebrati Sneijder e Robben, ma anche quella di coloro che in patria vengono definiti i “waterdragers”, i portatori d’acqua. Giocatori di quantità al servizio della squadra e delle sue stelle, elementi imprescindibili per gli equilibri tattici dei tulipani. Mark van Bommel, Nigel de Jong, Maarten Stekelenburg, Dirk Kuijt, Joris Mathijsen. Non è gente da pallone d’oro. Da titolo mondiale però si.
Per due di questi giocatori, Sudafrica 2010 costituisce la rivincita nei confronti di una delle più grandi icone di sempre del calcio oranje, Marco van Basten, il precedente ct dalla nazionale che per quattro anni ha diviso stampa e opinione pubblica con le sue scelte radicali, talvolta poco indovinate. E’ il caso di Mark van Bommel, l’allenatore in campo della nazionale olandese, il comandante attorno al quale si rifugia la truppa nei momenti difficili. Non piace agli amanti del bel calcio, Van Bommel; troppo rude, provocatorio, scontroso, in mezzo al campo palla o gamba per lui fa poca differenza. Con Van Basten non ci prendeva: idee di gioco troppo diverse. Così un giorno ha deciso di chiudere con la maglia oranje. Lo fece pubblicamente, dichiarando che, se avesse potuto, avrebbe terminato la carriera giocando per la Germania. L’importante era non trovarsi più Van Basten tra i piedi.
Van Bommel è ritornato in nazionale grazie a Bert van Marwijk, suo suocero. Uno a cui il giocatore deve tutto, dal momento che fu proprio l’attuale ct a farne decollare la carriera quando, a fine anni Novanta, lo riconvertì nel Fortuna Sittard da ala in centrocampista centrale. Nel nuovo ruolo Van Bommel, che un paio di anni prima era stato scartato dall’Ajax di Van Gaal, condusse il piccolo club del Limburgo fino alla finale di Coppa d’Olanda, che saltò per squalifica. Ma ormai il decollo era avvenuto, per un viaggio che avrebbe toccato Eindhoven (Psv), Barcellona e Monaco di Baviera (Bayern). Un curriculum che costituisce un alibi di ferro contro qualsiasi accusa di nepotismo. Al Mondiale è sparito ogni dubbio residuo.
Dubbi ne esistevano parecchi anche nei confronti di Maarten Stekelenburg, portiere nel giro della nazionale fin dal 2004 ma sempre rimasto nell’ombra di Edwin van der Sar. Anche perché l’estremo dell’Ajax cresceva meno di quanto ci si aspettasse, tanto che proprio Van Basten, durante il suo periodo alla guida del club di Amsterdam, finì con il togliergli la maglia da titolare. Maarten l’eterna promessa che non sbocciava mai, il brutto anatroccolo che l’Olanda ricordava come il primo portiere nella storia della nazionale ad essere stato espulso (nel 2008 contro l’Australia). La finale di Sudafrica 2010 è anche merito suo, dei suoi interventi decisivi negli ottavi su Vittek e, soprattutto, nei quarti su Kakà e Maicon. Anche Stekelenburg è un “waterdrager”, appartenente alla classe media dei portieri, lontano da qualsiasi classifica sui migliori del mondo nel ruolo. Eppure oggigiorno è “un ottimo portiere”. Parola di Jan Jongbloed, l’uomo che ha difeso i pali dei tulipani in due finali mondiali. Maarten è finalmente diventato grande.
Fonte: Il Giornale
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