Pubblichiamo l'opinione del collega svizzero Paolo Galli, che condividiamo in toto.
Ricordo i giornalisti italiani durante i Mondiali tedeschi, tutti prostrati di fronte all’intoccabile Lippi. Ricordo i loro “Grazie Marcello”. Poi ripenso a quando li ho incontrati pure nel ritiro di “Casa Azzurri” nei dintorni di Vienna, agli Europei, sprezzanti nel dirigere le loro domande piccanti a Roberto Donadoni. Nessun “Grazie Roberto”, nessuna prostrazione, solo un immotivato rancore, una sorta di consentita superiorità nei suoi confronti.
Poi è tornato il “Colonnello” e ha ripristinato le sue regole, le sue discussioni a senso unico, le sue arrabbiature estemporanee. Ha provato anche a ricreare il regime del terrore verso l’esterno, a cominciare dal rapporto con la stampa, sottomessa, come quattro anni or sono, in modo da creare una tensione e una pressione altrimenti inesistenti.
Questa squadra, rispetto a quella della prima “era Lippi” non è mai stata realmente una squadra. Senza Pirlo si è ritrovata privata del suo unico progetto tattico: nessuna alternativa, nessun palliativo, nessuno schema offensivo degno di questo nome, nessuna qualità. E poi è mancata l’unità di intenti.
Quell’Italia, quella del “cielo è azzurro sopra Berlino”, era come una roccia rotolante, una rolling stone pericolosissima, una mina vagante. Era viva e aveva fame. Lo si percepiva anche nelle comunque esistenti difficoltà del momento. Questa non aveva luce, spenta e imbolsita, già sazia. Sembrava un lento elefante di un circo, un elefante in pensione, buono solo per le foto con i bambini. Qualche polaroid con i monumenti che furono Cannavaro e Buffon, Gilardino e Gattuso. E poi ciao, addio Italia di Lippi. Addio Lippi. Non ti criticheranno neppure oggi. Perché comunque rimarrai “Grazie Marcello” per sempre.
Fonte: Il Giornale del Popolo, 25/06/2010
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