martedì 15 giugno 2010

Mistero poco buffo

Eccoli di nuovo, trentaquattro anni dopo. Dal finto dentista Doo-Ik Pak al “Rooney d’Asia” Tae-Se Jong. Il primo giustiziò l’Italia, il secondo proverà a ripetere l’impresa nientemeno che contro il Brasile. Cambiano gli interpreti, non il contesto. La Corea del Nord, ovvero lo stato più isolato del mondo. La nazionale nordcoreana, Chollima il suo soprannome, il grande mistero di questo Mondiale. Non sono più la “squadra di ridolini” (copyright Ferruccio Valcareggi) del 1966, ma della selezione attualmente guidata da Jong-Hun Kim si continua a sapere poco. E spesso quel poco sconfina nell’assurdo, in perfetta linea con una paese ai confini della realtà dove gli anni sono contati a partire dal concepimento del padre della nazione Kim Il-Sung, la domenica non circola nessun veicolo, la notte non c’è illuminazione, i telefoni cellulari vengono confiscati ai turisti all’aeroporto e restituiti all’uscita dal paese, la metropolitana è sepolta a 90 metri di profondità e funge da rifugio antiatomico, il sistema pubblico di distribuzione delle derrate alimentari è basato sulla fedeltà del singolo cittadino al regime e l’esercito è il quarto al mondo per armamenti, incluse quattromila tonnellate di armi biochimiche.
Una realtà di orwelliana memoria alla quale il calcio non può rimanere immune.

La Corea del Nord si è qualificata ai Mondiali mettendo in mostra un calcio ultra-difensivo basato su ferrea disciplina tattica e una resistenza fisica pressoché inesauribile. In campo, tante piccole formichine apparentemente dotate di un polmone supplementare, per una sorta di versione grezza dei nemici storici sudcoreani, il cui calcio si fonda sulle medesime caratteristiche di base, pur se sviluppate in maniera molto più offensiva. Intervistato dalla stampa, il portiere Myong-Guk Ri ha commentato così il miracolo della Corea del Nord: “Il nostro giocatore più importante è stato il Caro Leader Kim Jong-Il (l’attuale capo del paese, nda), che ha messo paura ai nostri avversari e ci ha infuso lo spirito giusto per formare una difesa forte quanto dieci milioni di uomini”.

Intanto in Sudafrica, alla luce del divieto pressoché totale per i nordcoreani di lasciare il proprio paese, sbarcheranno mille cinesi che il governo di Pyongyang ha “affittato”, pagandoli per tifare la Corea del Nord durante la competizione. Sicuramente la nazionale riceverà dal paese organizzatore un trattamento migliore di quanto fatto dall’Inghilterra nel 1966, quando vennero proibiti gli inni prima delle partite per evitare di suonare quello nordcoreano, la bandiera della Repubblica Popolare Democratica di Corea fu cancellata dal francobollo ufficiale dei Mondiali e la squadra venne spedito il più possibile lontano da Londra, nella città industriale di Middlesborough, estremo nord del paese.

Eppure anche un cittadino nordcoreano può essere libero. A patto però che non risieda nella terra del Caro Leader. E’ la storia del talentuoso Tae-Se Jong, uno dei pochissimi elementi della squadra a giocare all’estero, in Giappone nel Kawasaki Frontale. Nato nel Sol Levante da genitori coreani, Jong non ha mai vissuto in Corea del Nord. Gestisce un blog personale, canta pop song nei karaoke bar, è comparso in uno spot accanto al giocatore coreano più famoso al mondo, il centrocampista del Manchester United Ji-Sung Park. Soprattutto però Jong segna a raffica in nazionale: 15 gol in 22 partite. Forse è proprio per questo motivo che, nonostante i suoi comportamenti sono stati definiti “non rappresentativi dello stile e dell’indole del popolo nordcoreano”, a Pyongyang qualcuno ha deciso di chiudere un occhio.

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