Louis van Gaal e la stampa: “Non capisco se sono io troppo intelligente o voi troppo stupidi”. Louis van Gaal e i giocatori: “Devono abituarsi al mio modo di lavorare; chiedo sempre di usare il cervello, perché il calcio è uno sport mentale”. Louis van Gaal e gli allenatori: “La persona più importante all’interno di un club è colui che siede in panchina. L’allenatore fa la differenza”. Louis van Gaal e sé stesso: “Sono sempre molto soddisfatto di ciò che faccio”. Louis van Gaal e le persone non gradite: “Toni e Ribery? Non confondiamo le mele con le pere. Ribery è un professionista serio”.
Nella sua biografia ufficiale, Josè Mourinho afferma di aver imparato molto da Van Gaal nel periodo in cui gli fece da vice al Barcellona. La capacità di dividere, innanzitutto. Amore o odio, bianco o nero, con il tecnico portoghese non esistono mezze misure. Ciò che pensa, dice. Su tutti. La “prostituzione intellettuale” di certi giornalisti, l’area di rigore “lunga 25 metri” di alcuni avversari, il “basso quoziente intellettivo” di alcuni suoi giocatori (lo disse di Ricardo Carvalho quando era al Chelsea, lo pensa oggi di Mario Balotelli). Riguardo alla concezione di sé, basta ricordare ciò che disse quando lasciò il Porto campione d’Europa per il Chelsea: “Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto, con una bella poltrona blu, la Coppa dei Campioni, Dio e dopo di lui io”.
Mourinho e Van Gaal, due facce della stessa medaglia. Antipatica, presuntuosa, ma soprattutto vincente. Superato l’aspetto comunicativo, le analogie tra i due tecnici proseguono. Specialmente in campo. Entrambi hanno alle spalle un modesto passato da calciatore, anche se all’epoca delle giovanili dell’Ajax Van Gaal si riteneva, secondo Rob Rensenbrink, “più forte di Cruijff”. Tutti e due hanno vinto la Champions League con squadre economicamente poco nobili; il Porto per Mou, il giovanissimo Ajax per Van Gaal. Entrambi si sono tatticamente formati alla scuola del 4-3-3, mostrando però nel corso degli anni sufficiente duttilità per non rimanere schiavi di un modulo; Mou ha abiurato il tridente nel suo primo anno interista ed oggi alterna camaleonticamente il rombo con l’iper-spregiudicato Sneijder + tre punte; Van Gaal ha vinto un campionato con l’Az Alkmaar giocando con una punta e oggi schiera il suo Bayern Monaco con il più classico dei 4-4-2. Mourinho e Van Gaal sono inoltre gli unici due allenatori ad aver raggiunto le semifinali di Champions League con tre squadre diverse. Porto, Chelsea e Inter per lo Special One; Ajax, Barcellona e Bayern Monaco per l’ex professore di ginnastica olandese.
Eppure l’esperienza in Germania non era iniziata nel migliore dei modi per Van Gaal. La squadra stentava, i giocatori sembravano impauriti, la stampa pungeva. “Letze Warnung” (Ultimo Avviso), titolava il quotidiano Sport Bild alla vigilia della trasferta di Champions a Torino contro la Juventus. L’ultima chiamata per i bavaresi e per il loro tecnico. Vincere o andare a casa. Risultato: 4-1 per il Bayern e stagione non solo salvata, ma trasformata. In Bundesliga, ritorno in vetta dopo 652 giorni d’assenza; in Champions, l’approdo in semifinale dopo aver eliminato Fiorentina e Manchester United grazie a due gioielli di Arjen Robben, il fuoriclasse dai muscoli di seta. Uno che va d’accordo con Van Gaal perché è genio senza sregolatezza. Altrimenti sarebbe finito come Luca Toni (ammesso che quest'ultimo possa essere considerato un fenomeno...), o come Rivaldo e Hristo Stoichkov ai tempi di Barcellona. Ai margini della squadra.
Tra Mourinho e Van Gaal, infine, anche qualche piccola differenza. Il massimo della delusione professionale per il portoghese è finora stato un pareggio casalingo contro i norvegesi del Rosenborg, preludio del suo addio al Chelsea. Van Gaal ha invece mancato la qualificazione ad un Mondiale, quello del 2002, che l’Olanda avrebbe dovuto vincere. Un duro colpo dal quale si è ripreso solo tre anni dopo. L’olandese però è davvero “Special” nel lanciare i giovani, da Bergkamp a Van der Sar, da Litmanen a Davids, da Seedorf a Kluivert (tutti Ajax), e poi Badstuber, Müller (Bayern Monaco), De Zeeuw (Az Alkmaar), Iniesta (Barcellona). Quando arrivò in Catalogna tolse la fascia di capitano ad un senatore quale Guillermo Amor per affidarla a Pep Guardiola. Proprio l’uomo che oggi si trova sulla strada di Josè Mourinho. E di Louis van Gaal.
Fonte: Il Giornale
Nessun commento:
Posta un commento