martedì 31 maggio 2011

Il pagellone della Eredivisie

Bilancio di fine stagione della Eredivisie, che domenica ha emesso gli ultimi verdetti. Ajax campione; Twente ai preliminari di Champions; PSV Eindhoven, Az Alkmaar e ADO Den Haag in Europa League; Excelsior e VVV Venlo salvi dopo i play-out; Willem II retrocesso e sostituito dall’RKC Waalwijck. Di seguito il meglio e il peggio del campionato olandese 2010/11.

Theo Janssen. Riscoprirsi fenomeno sulla soglia dei trent’anni. Birra, sigarette e tatuaggi fanno la felicità delle riviste di colore, ma il campo richiede altre qualità. Lui nel Twente (che ha lasciato a fine stagione per l’Ajax) le ha messe in mostra tutte, come mai fatto in precedenza. Se gli Europei si giocassero quest’anno, vederlo titolare nell’Olanda al posto di Sneijder scandalizzerebbe solo chi antepone il nome al rendimento. Voto 10.

Frank de Boer. Ajax campione dopo sette anni, nonostante le cessioni (Suarez, Emanuelson), le turbolenze di spogliatoio e le faide societarie. Non ha vinto la squadra migliore? Poco importa. Gli ajacidi hanno saputo farsi trovare più pronti nei momenti decisivi. Come contro il Twente all’ultimo turno, autentico capolavoro di tattica, concentrazione e convinzione firmato De Boer. Allenatore esordiente, ma non se n’è accorto nessuno. Voto 9.

Dmitri Bulykin, Wesley Verhoek, Jens Toornstra, Lex Immers. Quartetto delle meraviglie di un ADO Den Haag che ritrovato l’Europa dopo 24 anni, scombinando tutti i pronostici che inserivano i giallo-verdi tra i candidati alla retrocessione. Esclusi i festeggiamento con canti antisemiti, una stagione perfetta. Voto 9.

Jan Vertonghen. Leader classe 87 della difesa, quella dell’Ajax, meno battuta del campionato, capace di incassare negli ultimi sei mesi solamente due reti all’Amsterdam ArenA (Europa League esclusa). Con il compagno Stekelenburg è l’elemento più maturo per il trasferimento all’estero. Magari per raggiungere il connazionale Vermaelen all’Arsenal. Voto 8.

Nacer Chadli. In dodici mesi dalla Eerste Divisie alla Champions League, con impatto notevole. Dopo Elia e Stoch, ancora una volta il Twente ha pescato un’ala sinistra di prospettiva. Voto 8 (a lui e ai talent scout dei Tukkers).

Dusan Tadic. Batte bandiera serba il re degli assist 2010/11. 17 sono stati quelli messi a segno dall’ala sinistra di un Groningen che per metà stagione ha addirittura cullato il sogno del titolo nazionale. Farà strada. Voto 7,5.

Luc Castaignos. Titolare a 18 anni nel Feyenoord costretto per ragioni di bilancio a sposare la linea verde, ha chiuso in doppia cifra (15 gol) un torneo che per lui ha rappresentato un corso accelerato di maturità. Diplomato a pieni voti, è pronto per l’università. A Milano, sponda Inter. Voto 7,5.

Heracles Almelo. Per il secondo anno consecutivo è il club che ha offerto la miglior performance in relazione al budget. Ancora una volta l’appendice di fine stagione sono stati i play-off Europa League anziché i play-out. Dopo l’Udinese sono i migliori bianconeri d’Europa. Voto 7.

Geertjan Verbeek. A suo dire il quarto posto per il suo Az, club lo scorso anno sul baratro del fallimento, è come aver vinto il campionato. Difficile dargli torto, specialmente quando ti trovi con un attacco composto da Jonathas e Pellè (ma per fortuna anche dalla rivelazione islandese Sigthórsson). Voto 7.

Luuk de Jong, Kevin Strootman, Stefan de Vrij, Jordi Clasie. Rispettivamente attaccante del Twente, centrocampista dell’Utrecht (“il nuovo Van Bommel” secondo la stampa olandese), difensore centrale del Feyenoord e centrocampista/play dell’Excelsior. Piccoli oranje crescono. Voto 7.

Jonathan Reis. La droga, l’alcol, il difficile percorso riabilitativo. Poi in campo gol a raffica, nella tradizione del miglior Romario. A dicembre però gli sono saltati i legamenti. E il PSV Eindhoven, orfano anche di Afellay, si è sgonfiato. Attendiamo con fiducia il ritorno del talentuoso brasiliano. Voto 6

Jeroen Verhoeven. Una mascotte più che un portiere, con quel suo quintale di peso che rappresenta la miglior pubblicità possibile anti-McDonald. Eppure, da terzo portiere dell’Ajax (ha pure giocato - non memorabilmente - qualche partita), anche lui è campione d’Olanda. Voto 6.

Ricky van Wolsfwinkel. L’Europa Legue ha fatto male a lui e all’Utrecht, entrambi in netto declino nella seconda parte della stagione. Il genero di Neeskens non è ancora pronto per lasciare la Eredivisie. Voto 5,5.

Bryan Ruiz. Il miglior giocatore della Eredivisie 2009/10 si è visto solo a tratti, anche a causa di qualche problema fisico. Imperdonabile però il rigore a cucchiaio a quattro giornate dalla fine contro il Roda, che ha privato il Twente di una vittoria col senno di poi decisiva per il titolo. Voto 5.

Marcus Berg. C’era una volta un bomber che faceva faville tanto nel Groningen quanto nell’under-21 svedese in semifinale all’Europeo 2009 di categoria. A Eindhoven è sbarcata la sua fotocopia sbiadita, quasi trasparente. Delusione dell’anno. Voto 4.

Albert Ferrer. Non basta aver giocato nel Barcellona per improvvisarsi esportatore della filosofia catalana. Chiamato a stagione in corso dall’ambiziosissimo Vitesse per toglierlo dalla zona retrocessione (e pianificare un futuro da big), Ferrer ha evitato i play-out all’ultima giornata solo per differenza reti, chiudendo con un sonoro 1-4 in casa nello scontro diretto con l’Excelsior. Sembrava di assistere a Barcellona-Almeria. Gli epigoni dei blaugrana però non indossavano la maglia giallo-nera. Voto 3.

Willem II. Oltre 100 gol incassati in stagione tra campionato e coppa non necessitano di ulteriori parole. Si può retrocedere in tanti modi, il club di Tilburg ha scelto quello peggiore. Voto 1.

Fonte: Il mondo siamo noi

venerdì 27 maggio 2011

Le finali del Sion

Undici su undici: difficile trovare nel panorama calcistico mondiale una squadra con numeri migliori del Sion nelle finali. Il club vallesano, originario dell’omonima città sita nella Svizzera francese, ha raggiunto per undici volte la finale della coppa di Svizzera uscendone sempre vincitore. Una serie impressionante, iniziata nel 1965 con una vittoria 2-1 sul Servette, che domenica potrebbe aumentare di un’ulteriore unità. L’ostacolo al 12esimo successo del Sion nella coppa nazionale è rappresentato dal Neuchatel Xamax, salvatosi mercoledì all’ultima giornata di campionato dalla retrocessione nella serie cadetta, curiosamente pareggiando 0-0 proprio contro i vallesani.

Il Sion è stata la prima squadra svizzera di seconda divisione ad aggiudicarsi la coppa; accadde nel 2006, quando si impose ai calci di rigore sullo Young Boys. In campo c’era anche l’attuale centrocampista del Chievo, nonché nazionale svizzero, Gelson Fernandes, ceduto un anno dopo al Manchester City per 6 milioni di euro. Lo Young Boys è stato l’avversario del Sion anche nell’ultima finale raggiunta dal club, nel 2009; ci pensò una rete a due minuti dalla fine siglata da Guilherme Afonso a completare la clamorosa rimonta dei vallesani da 0-2 a 3-2. Sulla panchina del Sion sedeva Didier Tholot, uno dei pochi allenatori ad essere durato più di dodici mesi alla guida della squadra, il cui presidente, il famigerato Christian Constantin, dal 2003 a oggi ha cambiato la guida tecnica per ben 24 volte.

Domenica il Sion scenderà in campo da favorito. Un cammino netto in coppa – 5 vittorie in 5 partite contro i 2 successi del Neuchatel, che nelle altre tre occasioni è stato premiato dai rigori; una squadra reduce da un discreto campionato, chiuso con la miglior difesa del torneo (36 reti subite in altrettante partite); una serie di giocatori di esperienza, anche al di fuori dell’ambito svizzero (il centrale olandese Michael Dingsdag, il laterale rumeno ex Ajax George Ogararu, il centrocampista ex Brescia Fabrizio Zambrella, il play serbo Goran Obradovic, il portiere lettone Andris Vanins), uniti a qualche giovane interessante (su tutti l’attaccante francese classe 89 Giovanni Sio, in doppia cifra al suo primo campionato da titolare). Per i bianco-rossi non potrebbero esistere premesse migliori per consolidare il proprio singolare primato.

Fonte: Il mondo siamo noi

domenica 22 maggio 2011

Marko Arnautovic skidding off road to greatness

Since taking his first steps into the game at Hengelo, FC Twente’s youth HQ, Marko Arnautovic has been tipped for big things – even being labelled the new Zlatan Ibrahimovic. But it isn’t just his style of play that has earned this, at first glance, flattering comparison. Like Ibrahimovic, Balkan blood runs through Arnautovic’s veins (his father is Serbian), he had a troubled youth and blends physical strength with exquisite technique. The 22-year-old also made his international debut for Austria against the same side Ibrahimovic faced on his debut for Sweden, the Faroe Islands.

Comparisons with the former Barcelona striker had been building for some time, increasing year by year, season by season, as Arnautovic trekked towards stardom. Between 2006 and 2008, the forward set youth championships he appeared in on fire, with astonishing displays for Twente’s Under-18s (18 goals in the 2006/07 season) and Jong Twente (21 goals in 24 games the following year). A wonderful solo goal against Jong Ajax stood out amongst the many superb displays as a marker was put down that here was a player ready for the next level. And on 14th April, 2007, the Austrian did indeed make his senior debut, turning out at the Philips Stadion against PSV Eindhoven.

Two years later it was time for Arnautovic to get serious, breaking into the Eredivisie side’s first team on a regular basis and scoring 12 goals in the 2008/09 campaign. Then-Twente coach Steve McClaren deployed the starlet as a right winger in a 4-3-3 system, with club legend Blaise Nkufo as the central striker and the pacy Eljero Elia on the opposite flank.

In the summer of 2009, with the secret of his talent well and truly known throughout European football, Arnautovic made the move to Serie A, joining Inter. The switch though did not go to plan. In his last game with Twente, the Dutch Cup final against Heerenveen, Arnautovic suffered a stress fracture in his right foot. To Inter’s credit, they still pushed ahead with the deal, but only on an initial one-year loan that would become permanent if the Austrian clocked up a pre-determined number of appearances in a blue and black shirt. But Arnautovic failed to feature enough, despite the Nerazzurri enjoying a spectacular season, winning a Serie A, Coppa Italia and Champions League treble. With just three appearances to his name, the Austrian was an onlooker.

Arnautovic left Italy more famous for his off the pitch behavior than anything done on it. His larger than life ego was also a source of frustration for the Nerazzurri. “Arnautovic is a fantastic player, but he thinks and acts like a kid”, said Jose Mourinho, his coach at Inter at the time. A friendly played at the Cornaredo Stadium against Swiss second division outfit Lugano was the striker’s only impressive performance in that 2009/10 season, explaining all there is to know about a thoroughly underwhelming spell.

But if the Austrian’s undoubted admirers expected him to bounce back from his Inter disappointment at once, they were wrong. His fall from grace has continued this season with Bundesliga side Werder Bremen, who shelled out €7M for his services last summer. The 22-year-old has hit the headlines for off-pitch troubles once again, rather than performances on it. “You can take my money and give it to your family”, replied Arnautovic to Werder general manager Klaus Allofs, who had told the striker he would be fined for his behaviour towards coach Thomas Schaaf. Supporters of the German club quickly labelled him “Arrogantovic” for his lack of manners and “Arnautor-nix” (Tor nicht means no goal) for his lack of goals; the youngster has scored just four times in 25 Bundesliga appearances.

Though controversial, Arnautovic remains one of the greatest hopes of his generation. The talent is there, but the bright spots have been few and far between. At international level at least he is beginning to shine. In October last year, Austria coach Dietmar Costantini brought the striker back into the international fold after an 18-month absence, and he repaid this in goals, scoring a brace against Azerbaijan. Four days later he netted again against Belgium. And last February Arnautovic found the back of the net in a friendly with Holland.

“Arnautovic can do great things if he stays on the straight and narrow”, commented former Austria international Andreas Herzog. “He has the potential to become Austria’s best player in the last 30 years, leaving even Hans Krankl in the shadows.” However, a clash with team-mate Stefan Maierhofer – who in the past criticised Arnautovic’s moody attitude – for a missed penalty against Turkey is a reminder that this youngster has a long way to go yet before he can even think about fulfilling his undoubted potential.

Fonte: Inside Futbol

giovedì 19 maggio 2011

Forever (de) Jong

Accadeva il 9 maggio 2004: l’Ajax batteva 2-0 il Nac Breda all’Amsterdam ArenA e, con una giornata di anticipo, si laureava campione d’Olanda. Nessuno poteva immaginare che per festeggiare nuovamente il titolo gli ajacidi avrebbero dovuto aspettare sette anni. Domenica la maledizione è stata finalmente spezzata: 3-1 al Twente e tutti a far festa lungo i canali. Gli ultimi a farlo si chiamavano Zlatan Ibrahimovic, Wesley Sneijder, Rafael van der Vaart, Nigel de Jong, John Heitinga, Maxwell, Steven Pienaar, tutti in campo quella domenica di maggio del 2004. Vista la carriera che li attendeva, oggi i cuccioli dell’Ajax hanno un motivo in più per gioire.

Ajax è sempre stato sinonimo di vivaio fertile. Un rapporto di osmosi che ha raggiunto il proprio zenit con il successo sul Twente, grazie al quale l’Ajax è diventata la più giovane squadra campione di sempre in Eredivisie. 22,18 l’età media dell’undici titolare schierato in campo da Frank de Boer (che proprio domenica festeggiava il suo 41esimo compleanno), dove il veterano era il 27enne Demy de Zeeuw e i baby più precoci rispondevano ai nomi di Christian Eriksen e Nicolai Boilesen, classe 1992. Grande protagonista del successo è però stato il 22enne Siem de Jong, che ha nettamente vinto sul campo il duello con il fratello-rivale Luuk.

“Ondanks”, che in olandese significa “nonostante”, è stata la parola chiave della vittoria dell’Ajax. Un successo infatti arrivato nonostante tutti gli ostacoli e le turbolenze che hanno minato l’intera stagione del club: le dimissioni a novembre di Martin Jol, con conseguente debutto in panchina di Frank de Boer; le cessioni a gennaio di due elementi chiave quali Luis Suarez e Urby Emanuelson, entrambi non rimpiazzati; le lotte intestine a livello societario; le critiche ad un settore giovanile che sembrava aver perso il tocco magico del passato; le rovinose e inaspettate cadute (da ricordare lo 0-3 sul campo dell’Utrecht e la sconfitta casalinga contro l’ADO Den Haag) che hanno trasformato l’ambiente in una polveriera.

Poi però sono arrivate sette vittorie consecutive nelle ultime sette giornate, che hanno regalato all’Ajax la tanto agognata terza stella, ovvero il titolo numero 30. Tuttavia i tifosi ajacidi dovranno attendere sino alla stagione 2012/13 per poter vedere sulla casacca dei propri beniamini le tre stelle sovrastare il logo societario: le maglie per il prossimo anno sono infatti già state prodotte.
Tre rappresenta un numero particolare anche per Frank de Boer, che grazie a questo successo è diventato il terzo olandese della storia, dopo Rinus Michels e Ronald Koeman, ad aver vinto in patria il campionato sia da giocatore che da allenatore. Con tanti ringraziamenti ai suoi ragazzini terribili.

Fonte: La Gazzetta dello Sport - Extra Time

martedì 17 maggio 2011

Preview Porto-Sporting Braga: Andrè Villas Boas

Per raccontare Andrè Villas Boas è sufficiente un piccolo episodio. Lo scorso agosto, nella conferenza stampa che precedeva Genk-Porto, primo turno di Europa League, il tecnico lusitano si soffermò sulla rosa della squadra belga, disquisendo di titolari e riserve come fosse un esperto locale, per poi terminare con un accenno al problema dei premi-partita sollevato dai giocatori del club fiammingo. Notizia, quest’ultima, alla quale i quotidiani belgi avevano dedicato un semplice trafiletto.
La cura maniacale per i dettagli è sempre stata una costante nella carriera di Villas Boas, origini nobili e un’insana passione per tattica, metodi di allenamento e statistiche sin dalla tenera età. Il suo primo maestro è stato l’inglese Bobby Robson, poi è arrivato Josè Mourinho, che lo ha definito “i miei occhi e le mie orecchie”. Per sette anni Villas Boas ha girato il mondo producendo dettagliati report sugli avversari di Porto, Chelsea a Inter, quindi ha deciso di mettersi in proprio.

In Portogallo ai giovani credono davvero, per necessità ma soprattutto per virtù. Così nell’estate 2010 il Porto, reduce da una stagione deludente, ha deciso di affidare la ricostruzione all’allora 32enne Villas Boas, le cui uniche esperienze da allenatore si limitavano a 23 partite con l’Academica la stagione precedente (sufficienti però a portare la squadra di Coimbra dall’ultimo posto ad una salvezza tranquilla), più due come ct Isole Vergini britanniche a 23 anni (“ma la Federazione venne a conoscenza della mia età solamente quando me ne andai, e rimasero tutti allibiti”). Risultato: campionato portoghese vinto in carrozza (zero sconfitte, 21 punti di distacco sul Benfica), finale di Europa League (domani a Dublino contro i connazionali dello Sporting Braga) e finale della coppa di Portogallo (domenica 22 maggio contro il Vitoria Guimarães).

In Europa Villas Boas ha compiuto il suo capolavoro, tenendo fede alla parole di Mourinho sul “Porto squadra da Champions League confinata nella coppa minore”. I Dragões hanno schiacciato la concorrenza, vincendo 13 delle 16 partite disputate, segnando 43 gol e incassando le uniche due sconfitte stagionali (contro Siviglia e Villarreal) a qualificazione già acquisita. Il 433 del Porto odierno ricorda molto, nell’impostazione tattica di base, quello dell’era mourinhana, quando in due anni arrivarono Coppa Uefa e Champions League. Villas Boas utilizza metodologie di allenamento simili a quello del maestro di Setubal, e non si sottrae al fascino della polemica (vedi alcune recenti dichiarazioni di fuoco contro gli arbitri portoghesi). Tuttavia sarebbe un grosso errore considerarlo un mero clone di Mourinho, perché questo allenatore che a 17 anni lasciava una lettera al suo condomino Bobby Robson per consigliarli un migliore utilizzo dell’attaccante Domingos Paciencia, ha dimostrato sul campo di possedere intuizioni e idee originali.

Un volto nuovo, giovane e fresco che ha stregato molti club, tra i quali la Juventus. Per averlo però bisogna investire: economicamente, ma anche in termini progettuali, lasciando al portoghese piena autonomia. Perché Villas Boas, curriculum alla mano, non ha certo bisogno di direttori generali che gli insegnino come spendere proficuamente 50 milioni di euro.

Fonte: Il Giornale

domenica 15 maggio 2011

Dutch Eredivisie: Ajax v FC Twente match preview

Stronger than Chaos and Turbulence
Since April, Ajax have not dropped a single point in the Eredivisie, with five wins out of five. However, all that glitters is not gold for the Amsterdam side, whose inconsistency remains a problem. In the last round of matches, Ajax met Heerenveen and only the impressive display of goalkeeper Kenneth Vermeer, along with a little luck, helped the Amsterdammers leave the Abe Lenstra Stadium with three points. It was a vital win to keep their title hopes alive.

Ajax have a young and talented, but inexperienced, team. The Dutch Cup final last weekend saw Frank de Boer’s men let slip a 2-0 lead to lose 3-2 in extra time. Once again the solidity needed was missing, though De Boer will surely be happy that his side are still fighting for the title on the very last day of the season. It has been a difficult campaign with the departure of two key players in Luis Suarez and Urby Emanuelson in January, combined with coach Martin Jol’s resignation in November and the chaos surrounding the club off the pitch with legend Johan Cruyff opposed to current chairman Uri Coronel.

On 9th May 2004, Ajax, led by Ronald Koeman, beat NAC Breda to win the Eredivisie title. Since then the trophy has not returned to Amsterdam. That though was a team of future stars with Zlatan Ibrahimovic, Wesley Sneijder, Rafael van der Vaart, Nigel de Jong, Maxwell, John Heitinga and Steven Pienaar in the ranks. “Step by step”, said Cruyff, “the club must come back to those days. The current squad is good, but less talented.”

However, winning the Eredivisie title could provide the perfect starting point for rising stars like Christian Eriksen, Vurnon Anita, Lorenzo Ebecilio, Toby Alderweireld, Gregory van der Wiel, Siem Jong and Daley Blind, to fulfil their potential.

Looking for the Double
For seven days in April, FC Twente looked to have let the Eredivisie title slip from their grasp, as two consecutive draws against Roda JC and De Graafschap saw PSV Eindhoven topple them for top spot. To make matters worse the Enschede side suffered a disappointing Europa League exit at the quarter-final stage, going out to La Liga outfit Villarreal 8-2 on aggregate.

Despite this mini-slump though, coach Michel Preud’Homme was able to keep the team on the right track. Twente showed they could handle the pressure, as midfielder Wout Brama explained: “Playing in Europe against teams like Inter, Tottenham Hotspur, Rubin Kazan and Zenit St. Petersburg gave us experience and improved our self-confidence.”

A win in Den Haag against surprise package ADO showed that Twente would not easily be blown off course and the side again jumped to the top of the table with two games to go. Then a comfortable 4-0 win over Willem II kept Preud’Homme’s side just ahead of Ajax.

This season Twente have shown quality but also strong character, not losing a game to any of the country’s other big clubs. PSV were beaten twice (1-0 away and 2-0 at home) and the team drew 2-2 at Grolsch Veste against Ajax. The Amsterdam giants were also defeated in the Dutch Super Cup and the Dutch Cup. Curiously, the latter contest was decided by Austrian striker Marc Janko – one
of the squad’s most underwhelming performers this season. Janko has failed to meet expectations since a switch from Red Bull Salzburg and is the club’s record signing at €5.5M. Helping Twente lift the cup though means Janko cannot be considered a flop anymore.

Players to watch
Ajax – Kenneth Vermeer: The keeper’s saves have been vital in keeping Ajax in with a chance of the title. Vermeer acts as second choice behind Maarten Stekelenburg, and was himself still recovering from a serious Achilles injury when Stekelenburg was ruled out too. Fit again though, the former 2006 and 2007 Under-21 European Championship winner showed all his skills between the sticks. In this vital final league match, Vermeer’s reflexes may be key to Ajax holding off Twente in a game they simply must win.

Twente – Theo Janssen: Despite joining Twente in 2008, Janssen already deserves his spot in the Tukkers’ Hall of Fame. As a left-sided central midfielder in Preud’Homme’s 4-3-3 system, Janssen has netted 19 goals overall – his best total yet. He has provided ten assists too. The heavily-tattooed smoker is a free-kick master who has become a cult icon in Enschede and beyond.

Match Prediction
In the Eredivisie, Ajax have won seven out of the last ten games played at the Amsterdam ArenA against Twente, losing just once (2-1 in the 2004/05 season). A draw will be enough for the visitors here, but both teams play attacking football and shutting up shop is not an option. The Dutch Cup final was a spectacular affair and this will be no different. It is a 50-50 clash that should finish 1-1 or 2-2.

Fonte: Inside Futbol

martedì 10 maggio 2011

Tricolore ammainato

Il calcio ci ha abituato a favole come quelle dei tedeschi dell’Hoffenheim o degli svedesi del Syrianska, protagonisti di vertiginose scalate dalle divisioni inferiori al massimo campionato nazionale in pochi anni. Oppure di salti tripli, sempre nel giro di qualche stagione, dalla seconda divisione alla Champions League, come nel caso del Rubin Kazan due volte campione di Russia. Talvolta accade però anche il percorso inverso.
(Articolo completo su Il mondo siamo noi).

lunedì 9 maggio 2011

De Jong brothers provide intriguing Ajax-FC Twente subplot

A better end to the 2010/11 Eredivisie campaign would be hard to imagine; the plot has been written perfectly as FC Twente, heading the table by a single point, travel to Amsterdam to face Ajax, the powerhouses sitting in second, on the final matchday. Effectively a title decider, the contest will cap an entertaining season perfectly. But before that though the duo will meet on 8th May for the final of the Dutch Cup.

Twente vs Ajax is not the only battle however. There is also a family affair on the pitch as the Tukkers’ striker Luuk de Jong squares up to Ajax midfielder Siem de Jong – his elder brother. The pair are two of the most exciting rising stars in the Dutch game and neither have had a campaign which could in any way be described as “disappointing”. They have excelled, and when the brothers meet to decide the destiny of the Eredivisie and Dutch Cup, the battle will be a game inside the game.

Luuk de Jong is one year and seven months younger than Siem. Both were born in Aigle, Switzerland, the sons of two volleyball players who played professionally in the Alpine country. Father George de Jong was also a director of the Swiss Volley Federation, while mother Loekie Ratering starred for sides like Luzern and Lausanne – she even picked up more than 90 caps for the Dutch national team. Their sons however chose football, preferring the sport from a young age and in 1995 the De Jong family moved back to Holland.

Both brothers joined the De Graafschap youth system from Doetinchem amateur side DZC 68. While Siem impressed with his awareness and ability with the ball at his feet, brother Luuk did not seem to possess the talent to reach the top of the game; the youngster had to put in hard work, training regularly to improve his technique and teamwork. However, Luuk did show a knack for being in the right place at the right time and had a good nose for goal.

In 2005 it was time for the pair to split as Siem was picked up by Ajax. It was not long until the older brother made his debut, enjoying minutes on the pitch on 26th September, 2007, away to Sparta Rotterdam under coach Henk Ten Cate. And he had an instant impact, levelling the match in the dying seconds and in so doing joining many former Ajax greats like Johan Cruyff, Marco van Basten, Ronald de Boer, Bryan Roy, Marciano Vink and Patrick Kluivert, who all scored on their debut.

For the last two seasons Siem de Jong has slowly improved his standing at the club, going from bench-warmer under Van Basten to key player under Martin Jol and current boss Frank de Boer. And the secret of De Jong’s success – besides obvious abundant talent – is surely his versatility. Able to play in a variety of positions: attacking midfielder, striker, screening midfielder and number 10. This versatility at just 22 years old has helped the youngster to become one of Ajax’s standout performers of the 2010/11 campaign. He has notched vital goals too, scoring 14 at the time of writing. And De Jong’s talent for finding the back of the net will be a vital weapon for coach De Boer in these last two crucial games.

While Siem de Jong failed to chalk up a single appearance for De Graafschap’s first team, stolen away by Ajax too soon, brother Luuk made his Eredivisie debut with the Superboeren in the 2008/09 season against NAC Breda. After a series of impressive performances in pre-season the striker quickly became a regular at the club. Forming a partnership with Chelsea loanee Ben Sahar in De Graafschap’s attack, the duo could not quite do enough to help the eastern Dutch side avoid relegation. De Jong did not follow De Graafschap down to the Eerste Divisie however, with Twente swooping for his signature in April, 2009.

Luuk de Jong did not enjoy the best of starts in Enschede though, arriving as Blaise Nkufo’s reserve. The striker played few games (12, starting just three) and scored just twice. After the Swiss forward left last summer Twente signed the Austrian hitman Marc Janko as his replacement. However, the reigning Eredivisie champions soon discovered that they already had a more than able replacement within their ranks.

The 20-year-old has scored in every competition Twente have found themselves in: 12 goals in the Eredivisie, one in the Champions League, three in the Europa League, three in the Dutch Cup and one in the Dutch Super Cup (he scored the winner against Ajax in the season opener). But De Jong is not all about goals as eight assists so far prove – the youngster is Twente’s top goal-maker. Just weeks ago he scored a vital goal for Twente in the 2-1 win away at ADO Den Haag, helping the Tukkers to a crucial three points to take the side back to the top of the Eredivisie; PSV Eindhoven had lost away to Feyenoord at De Kuip, a defeat which virtually ended their title hopes. The striker scored again too in last weekend’s 4-0 romp over Willem II, helping Twente to stay a single point ahead of Ajax.

In the last 12 months Luuk de Jong has gained recognition at international level to go with domestic excellence. Moving from Holland Under-21s’ third choice up front, behind Ricky van Wolfswinkel and Bas Dost, to Bert van Marwijk’s 22nd debutant with the Oranje; he made his first senior start on 9th February this year against Austria. His brother Siem has a cap too, making his own debut on 11th August, 2010, against Ukraine.

And Holland is the only team the De Jong brothers will be turning out in the same side for at present. Last January, Ajax sounded out Twente over Luuk de Jong, but soon saw their hopes dashed by the Tukkers’ €12M price-tag. The brother’s parents’ dream of seeing their sons play side by side once again, but must wait a little longer while they refuse to answer the umpteenth question of whether they would prefer Siem or Luuk to win.

In the battle between Ajax and Twente for Dutch dominance, the subplot between the brothers will be intriguing and may in itself have a large say on where the silverware in question ends up.

Fonte: Inside Futbol

domenica 8 maggio 2011

Syrianska, una fiaba in aramaico

Una nazionale in una competizione per club. Questa è la miglior descrizione per il Syrianska Football Club, società espressione della comunità aramea di Sodertalje. Fondato nel 1977 da immigrati provenienti da Siria, Iraq, Iran e Turchia, il Syrianska rappresenta la nazionale di un popolo – gli aramaici (o siriaci) - che non ha mai avuto un proprio stato e che non va confuso con i moderni siriani, dai quali sono divisi da lingua (aramaico e non arabo) e religione (cristiani e non musulmani). Lo scorso anno il Syrianska ha vinto il Superettan (la serie B svedese) accedendo per la prima volta nella sua storia all’Allsvenskan. In panchina sedeva Ozcan Melkemichel, che prima da giocatore e poi da allenatore ha vissuto tutta la scalata del club dalla settima alla seconda divisione. Non essendo tuttavia in possesso del patentino per allenare nell’Allsvenskan, Melkemichel ha dovuto lasciare il posto all’estone Valeri Bondarenko, rimanendo comunque nei quadri societari. “Siamo arrivati nella massima divisione per rimanerci”, ha commentato Melkemichel. “Giochiamo in uno stadio che può contenere meno di 7mila persone ma, se consideriamo la nostra gente sparsa nel mondo, abbiamo più tifosi di tutte le big del calcio svedese”.

Fonte: Guerin Sportivo

Cercasi nuovo Ibra

L’Allsvenskan è un campionato senza padroni. Nelle ultime cinque edizioni si sono imposti cinque club diversi: Elfsborg, Kalmar, IFK Göteborg, AIK e Malmö. Quello svedese è un torneo talmente fluido e mutevole che i dominatori della prima metà degli anni duemila, il Djurgården, oggi arrancano nelle retrovie, evitando la retrocessione solamente ai tempi supplementari degli spareggi (è accaduto nel 2009). Lo scorso anno l’AIK campione in carica ha impiegato sette giornate per raccogliere i primi tre punti; la peggior partenza di sempre una squadra “scudettata” nella storia dell’Allsvenskan. Nel 2008 per contro il Kalmar ha festeggiato il suo primo titolo nazionale a soli cinque anni dal ritorno nella massima divisione. Mai come in Svezia insomma risulta arduo azzardare qualsivoglia pronostico. Vedere le neopromosse Syrianska e Norrköping – quest’ultimi tutt’oggi il terzo club più titolato di Svezia - incluse nell’elenco delle candidate ad un piazzamento europeo non deve pertanto sorprendere. Equilibrio rimane la parola chiave per interpretare l’Allsvenskan.

In Svezia non esistono Rosenborg o Copenhagen, ovvero società leader capaci di monopolizzare il campionato e – nelle loro versioni migliori – risultare competitive anche a livello internazionale. L’elevatissima pressione fiscale su club e giocatori, unita alla minore capacità del “prodotto calcio” svedese di attrarre sponsor e investimenti, ha prodotto una filosofia del “vendi tutto e subito” dalla quale non sono rimaste immuni nemmeno le big (IFK, Malmö, Helsingborg). Si monetizza a scapito di una programmazione a medio termine. Non sempre però tra le proprie fila si annovera il nuovo Ibrahimovic, ma resta l’impressione che talvolta non si abbia nemmeno la pazienza di aspettare la piena maturazione del giocatore; basta un’offerta credibile e l’affare è fatto.

I prospetti più futuribili si trovano a Göteborg, sponda IFK: Robin Söder e Niklas Bärkroth sono da tempo sui taccuini di numerosi osservatori. Il primo, classe 91, è però fermo da un anno a causa di un brutto infortunio ai legamenti, mentre il secondo (92) deve ancora decidere cosa fare da grande, e soprattutto in quale posizione giocare. Seconda punta o esterno d’attacco? Il Malmö risponde con il mediano Ivo Pekalski, tra i protagonisti del titolo 2010 assieme alle punte Daniel Larsson (10 gol e altrettanti assist) e Agon Mehmeti. Ha lasciato i campioni in carica invece l’allenatore in seconda Josep Clotet Ruiz, responsabile tattico della fase offensiva di una squadra che ha chiuso con una media di 1.97 reti a partita; al catalano è stata affidata la panchina del decaduto Halmstad, subito imbottito di giocatori spagnoli. Potrebbe pagare la continuità dell’Elfsborg, che non vince il titolo dal 2006 ma che da allora non si è mai piazzato sotto il quarto posto. I Gule (Gialli) hanno rinnovato l’attacco, riportando in Svezia Lasse Nilsson e David Elm (che però bomber non sono mai stati) e scommettendo sull’esplosione dell’esterno Johan “Gerrard” Larsson. Anche il tatuatissimo attaccante dell’Helsingborg Alexander Gerndt, capocannoniere nonché miglior giocatore dell’Allsvenskan 2010, è atteso alla stagione della grande conferma. Un compito che non può certo spaventare questo 24enne che nella propria vita ha conosciuto pericoli ben maggiori, essendo scampato nel 2004 alla furia dello tsunami nell’Oceano Indiano.

Fonte: Guerin Sportivo

venerdì 6 maggio 2011

Into the wild

In termini di investimenti, visibilità e gradimento del pubblico, l’hockey su ghiaccio rappresenta per la Finlandia ciò che il calcio è per l’Italia, e viceversa. Da noi un giocatore di hockey che decidesse di sospendere per un anno la propria attività agonistica per girare il mondo e completare i propri studi umanistici non farebbe notizia. Se per contro fosse Davide Santon a optare per questo singolare anno sabbatico, finirebbe sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Logico pertanto che nella terra dei Sami la decisione di Johannes Westö non abbia suscitato particolare scalpore. Centrocampista offensivo classe 91, Westö è considerato uno dei più promettenti giovani della nuova generazione del calcio finlandese. Gioca nella squadra più forte del paese, l’HJK Helsinki, ed ha già festeggiato due titoli nazionali consecutivi. Ma il calcio non appare propriamente in cima ai pensieri di questo rampollo discendente da una famiglia di scrittori di buona fama - lo sono il padre e lo zio.

Quello di Westö rappresenta uno dei più significativi movimenti di mercato della Veikkausliiga 2011, tanto per aiutare a comprendere meglio le esatte dimensioni, economiche ma anche di appeal, del massimo campionato finlandese. L’HJK di Annti Muurinen punta con decisione al terzo successo consecutivo e probabilmente riuscirà nell’impresa se, come accaduto nell’ultima stagione, le avversarie più quotate si saranno già eclissate a metà stagione. Criticato da vaste frange della tifoseria dell’HJK per il basso livello di gioco offerto in relazione ai mezzi disponibili, Muurinen si è parzialmente “riabilitato” nel 2010 passando dal 442 ad un più fluido 4231, con tre mezzepunte creative (Sebastian Sorsa, Erfan Zeneli e il gambiano Dauda Bah) capaci di offrire un briciolo di imprevedibilità in più alla manovra. Persi il miglior giocatore della Veikkausliiga 2010, il mediano della Sierra Leone Medo (ceduto già in agosto al Partizan Belgrado), e il capocannoniere del torneo Juho Mäkelä, partito per l’Australia, il club della capitale punta su due elementi di interessanti prospettive quali Juhani Ojala, centrale difensivo classe 89, e Teemu Pukki, attaccante classe 90 rientrato in patria dopo un triennio trascorso a Siviglia senza riuscire a trovare continuità di utilizzo.

Per impedire il tris dell’HJK l’Honka, guidato dall’ex Perugia Mika Lehkosuo, ha rivoluzionato mezza squadra, prelevando tra gli altri il nigeriano Dudu dalla rivelazione KuPS, club che quest’anno, nella più classica tradizione finlandese, è destinato a non ripetersi. Il TPS –conosciuto in Italia come Turun - ha invece scelto di monetizzare cedendo i due fratelli Riski (l’ottimo Roope è finito al Cesena). E’ rimasto invece il miglior portiere della Veikkausliiga, il 22enne Jukka Lehtovaara. Con il nono budget del campionato invece l’altra squadra di Turku, l’Inter, può competere contro l’HJK solamente a livello giovanile. Guidati dall’olandese Job Dragtsma, i “Sinimustat” (nerazzurri) rappresentano il fiore all’occhiello di vivai finlandesi, potendo contare su un settore giovanile composto da ben 14 squadre e gestito in collaborazione con la città di Turku. L’exploit del biennio 2008-09 (titolo e coppa nazionale), ottenuto oltretutto con un gioco fatto di possesso palla, pressing e verticalizzazioni - una rarità a quelle latitudini - appare però difficilmente ripetibile.

Fonte: Guerin Sportivo

giovedì 5 maggio 2011

Tutti pazzi per Haugen

Nella città di Bergen raramente le cose sono lineari. Per rendersene conto basta passeggiare per il vecchio quartiere portuale di Bryggen ed osservare la sequenza di case in legno tutte storte. Architettura d’avanguardia? No, semplicemente gli effetti dell’esplosione di una nave nei primi anni Quaranta. Anche lo Sportklubben Brann ha poco di lineare. Tra il 1979 e il 1986 il club ha stabilito il primato – probabilmente mondiale – di quattro retrocessioni e quattro promozioni consecutive. Nel 2007 è tornato a vincere il titolo dopo 44 anni, poi di nuovo buio pesto, a dispetto delle reti di Huseklepp – soprannominato “Cantona” per un gol da urlo allo Stabæk con pallonetto da fuori area finito sotto l’incrocio. La ruota potrebbe però riprendere a girare nel verso giusto quest’anno grazie al prodotto locale Fredrik Haugen, trequartista classe 92 considerato la futura stella del calcio norvegese. Dinamico, piede educato, buona tempra; a 16 anni Haugen segnava la sua prima rete professionista con il Løv-Ham (la seconda squadra di Bergen) in Adeccoliga, la seconda divisione norvegese. Lo scorso agosto ha firmato un triennale con il Brann, aggregandosi però al club solamente a dicembre nel ritiro pre-campionato di La Manga. Imprevedibile e mai banale; Haugen rispecchia proprio la sua città d’origine.

Fonte: Guerin Sportivo

mercoledì 4 maggio 2011

Fior di fiordi

Tra i campionato nordici che si disputano nell’anno solare la Tippeliga norvegese è quello più produttivo per esportazioni nei tornei delle big. Da John Obi Mikel (dal Lyn al Chelsea) a Mame Biram Diouf (Molde/Manchester United), da Didier Ya Konan (Rosenborg/Hannover) a Anthony Annan (Rosenborg/Schalke 04), da Anders Lindegaard (Ålesund/Manchester United) fino a Vadim Demidov (Rosenborg/Real Sociedad); il made in Norway piace nei migliori salotti d’Europa. Anche in Serie A, con il Bari che ha prelevato dal Brann Eric Huseklepp, per due volte consecutive finito nella top 11 del campionato norvegese. Peccato che in Italia quasi nessuno lo sapesse, stampa specializzata (?) inclusa. “La Norvegia è una buona palestra”, dice al Guerin Huseklepp. “Le metodologie di allenamento non sono molte diverse rispetto a quelle degli altri paesi. Curiamo molto la tattica, proprio come avviene in Italia, e il possesso palla. La differenza maggiore riguarda la velocità di gioco”.

La Tippeliga 2011 parte con una certezza: il Rosenborg campione in carica potrà solamente fare peggio. Dopo aver vinto l’ultimo campionato senza subire sconfitte, il club di Trondheim è fisiologicamente destinato ad una flessione nel proprio rendimento. Ma il gap con le avversarie è talmente elevato che un indebolimento del Rosenborg potrebbe non essere sufficiente per costringerlo ad abdicare. Fuori causa lo Stabæk per problemi economici, da ricostruire il Brann dopo una stagione disastrosa, toccherà a Vålerenga, Tromsø e Viking provare a mettere in difficoltà gli attuali campioni. Senza dimenticare due outsider importanti: il progetto giovani portato avanti da Ronny Delia nello Strømsgodset (un nome su tutti: l’attaccante classe 89 Ola Kamara), vincitore della coppa di Norvegia nel 2010, e il Molde del neo-allenatore Ole Gunnar Solskjær, chiamato a riportare la squadra della città delle rose ai fasti del 2009, quando praticava il miglior calcio del paese.

Si diceva però del Rosenborg. In inverno i Troillongan hanno perso il miglior difensore e il miglior giocatore in assoluto della Tippeliga (i già citati Demidov e Annan), nonché il loro bomber Steffen Iversen, sempre efficace a dispetto dell’età e di qualche chilo di troppo, che ha optato per un ritorno in Inghilterra. Tanti saluti anche all’allenatore, con l’icona Nils Arne Eggen che ha lasciato spazio allo svedese Jan Jönsson, campione nel 2008 con lo Stabæk. Si ripartirà dal figlio d’arte Markus Henriksen, esterno destro classe 92, miglior giovane in Norvegia la passata stagione, nonché dagli esperti Mattias Bjärsmyr (in prestito dal Panathinaikos) e Rade Prica, rispettivamente al centro della difesa e in attacco. Il Vålerenga risponde con le intuizioni di Harmeet Singh, nazionale norvegese under 21, miglior assist-man del campionato nella passata stagione a dispetto dell’utilizzo come centrocampista difensivo nel 4-2-3-1. Fisicità, organizzazione e clima (si gioca 350 km all’interno del Circolo Polare Artico) sono invece le armi del Tromsø, che mette in vetrina il centrale difensivo Tom Høgli e soprattutto il gigante senegalese Serigne Modou Kara, una sorta di Robocop davanti alla difesa. Per lui c’è già stata un'offerta importante da parte del Rosenborg, ma è stata respinta al mittente.

Fonte: Guerin Sportivo

Frank Vercauteren's Genk starlets worthy Belgian champions

A home draw against Standard Liege in the last round of the Jupiler Pro League Playoff was all it took to crown Racing Genk Belgian champions for the third time in their history. The Limburg side finished the season level on 51 points with the Rouches, but were handed the title by virtue of finishing 15 points ahead of Standard in the regular season.

After a surprising start, with five wins from five games, Genk showed an unexpected solidity that kept them in the race for the title until the very end. A slump was widely predicted for coach Frank Vercauteren’s team in the second half of the season, but it failed to arrive as he expertly guided them forward. Genk topped the table for 18 of the 30 rounds in the regular campaign, before being dislodged from the top of the playoff table just once. All in all, it was superb season and caused eyes to be cast over the new Belgian champions’ team.

“This is an unexpected, but well-deserved title”, said a proud Vercauteren. For the former Belgian international (the former left winger appeared in Belgium’s fourth-placed side at the 1986 World Cup) the championship win offered a small measure of revenge against Anderlecht, the club that sacked him in 2007 after the coach had won the Jupiler League for the previous two seasons.

Vercauteren was appointed as Genk boss on 3rd December, 2009, with the Flemmish side struggling to emerge from the mid-table mediocrity they had slipped into in 2008, finishing 10th and 8th respectively. The coach’s first months were not easy. However, despite a disappointing 11th place in the regular season, Vercauteren led the club to victory in the playoff for a Europa League spot. In many ways, the chink of light was a sign that a new era had indeed begun.

Genk possess one of Belgium’s finest youth systems, as the recent breakthrough of players such as Steven Defour and Marvin Ogujimi can attest to. It is small wonder therefore that three of the key men in the club’s title win are products of the academy: Goalkeeper Thibaut Courtois, midfielder-cum-winger Kevin de Bruyne (both 19 years old) and striker Jelle Vossen (22 years old).

Courtois made his first team debut on 17th April, 2009, appearing against Gent and instantly showcasing his ability with a series of saves that earned the youngster the man of the match accolade. The then-16-year-old, who had begun the season as Genk’s sixth choice keeper, showed superb reflexes, drive and cold-blooded composure between the sticks; just two years later he was a regular. Courtois is the only Genk player not to have missed a single minute in the league’s 40 games this season, his impressive displays proving crucial to the side’s title win, even in the final match, where the shot-stopper pulled off two saves in the dying minutes.

Like Courtois, De Bruyne too played his first league game at a tender age, turning out at just 17 years old in the 2008/09 season against Charleroi. Moving from Gent’s youth academy (the winger played with the Buffalos for six years) to Genk’s own setup in 2005, De Bruyne is rightly considered one of the great hopes of Belgian football due to his technical and dribbling abilities combined with pinpoint passing and a powerful shot. The youngster is often deployed on the left flank, though he has often declared it not to be his favoured position. Cutting in from the flank, De Bruyne can often be lethal when shooting with his right foot – against Gent in the playoff phase he scored one of the Jupiler League’s best goals, striking a long range scorcher from close to the corner flag.

“De Bruyne has the same class as Johan Cruyff”, said Vercauteren, lavishing praise on his young talent. “He has the right mentality for the top of football too. However, he still has lots of things to learn. First of all, that football is a team sport.” De Bruyne finished the season with five goals and 13 assists, but more importantly with performances under his belt that have caused scouts across Europe to scribble his name in their notebooks.

Yet while De Bruyne is Genk’s top creator, the magic could not happen without striker Vossen. The Blizen-born hitman found the back of the net 20 times on the club’s way to the title, just behind Club Brugge man Ivan Perisic – with 22 goals – in the scoring charts. And Vossen’s rise came as something of a surprise at the Cristal Arena, with the 22-year-old having scored only 14 goals in the previous four seasons; last year was spent with Cercle Brugge on loan.

It took Vossen just 11 games this season to equal the number he had managed in his entire career. Last December, with 16 goals in 17 games, Vossen even had the second best goal average in all Europe’s leagues, just after Barcelona’s Lionel Messi, before being cruelly sidelined with a knee injury. His recovery time was though quick. “I was absolutely not surprised about that”, said Genk’s doctor Stijn Indeherberge. “I remember once he suffered a bad knee injury, that normally needs six months to recover. He did it in two and a half.” His reputation is such that the Belgian press have begun to label him “Vosserine”, a mixture of his name and the comic book hero Wolverine, a mutant X-Man superhero whose skeleton is composed of indestructible adamantium – a fictional metal alloy.

This is not the first time that Genk coach Vercauteren has played a key role in Vossen’s career. When, between April and October 2009, he was caretaker coach of the Belgian national team, he called up the striker for the Kirin Cup and played him against Chile and Japan respectively; the 54-year-old had always suspected Vossen had the talent.

The transfer market was crucial to Genk’s success too, with all the club’s newcomers (Anthony Vanden Borre, Nadson Ferreira, Kennedy Nwanganga and Liverpool loanee Chris Mavinga) becoming regulars either in the league or playoff phase. Nigerian striker Nwanganga, bought from Finnish outfit Inter Turku, played a vital role in the final game against Standard, scoring the goal that saw Genk proclaimed champions; it was the Flemmish side’s 80th goal in 40 games.

Vercauteren, whose contract has been extended until June 2013, must now spend a summer hoping the vultures do not steal his most prized talents away. It will be a nerve-wracking wait.

Fonte: Inside Futbol

martedì 3 maggio 2011

Pillole di Eredivisie - giornata 33

Giornata di addii di fronte al proprio pubblico, magari da celebrare con un bel gol. Ci sono riusciti tre giocatori: Mika Väyrynen, Graziano Pellè e Bjorn Vleminckx. Väyrynen ha aperto le marcature contro l’Ajax con una botta sotto l’incrocio, ma l’Heerenveen non è riuscito a giocare uno scherzetto al club di Amsterdam e si è congedato dall’Abe Lenstra con l’ennesima sconfitta. Il centrocampista finlandese lascia Heerenveen per la seconda e ultima volta. Nel primo caso lo fece, da stella nascente, per accasarsi al Psv Eindhoven, dove però non riuscì a confermarsi. Il nuovo addio ai Frisoni è invece un puro e semplice mancato rinnovo del contratto da parte della dirigenza. Con il rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato.

Graziano Pellè per contro non lascerà alcun rimpianto ad Alkmaar. Quattro stagioni, pochi gol, sporadiche fiammate e tantissima panchina. Va riconosciuta la professionalità dell’attaccante italiano; mai una polemica né una critica. A suo favore non hanno giocato alcune dichiarazioni un po’ troppo roboanti (quella dell’Az quale stazione di passaggio per una big della Liga spagnola non gliel’hanno mai perdonata), ma alla luce della cifra sborsata dal club di Alkmaar non si può evitare il termine flop (o miskoop, all’olandese). Pellè ha però salutato al meglio il suo ormai ex pubblico: doppietta (da subentrato) al De Graafschap, e Az pressoché sicuro della qualificazione diretta all’Europa League.

Del belga Bjorn Vleminckx ci siamo già occupati in questa rubrica. Non è un attaccante da grande club, ma in una dimensione media possiede fisico e senso del gol capaci di fare la differenza. Ecco quindi l’ennesimo sigillo con la maglia del Nec Nijmegen, che lascerà a fine stagione per tornare in patria nel Club Brugge. Per l’addio ai tifosi del Nec Vleminckx però ha voluto esagerare: quaterna al Roda e titolo di capocannoniere della Eredivisie ormai ad un passo.

lunedì 2 maggio 2011

L'italiano Inutile

Con un simile cognome, per Antonio Inutile l’Italia rappresentava il luogo meno indicato per tentare di sfondare nel mondo del calcio. Eppure ci ha provato lo stesso, giocando una stagione in Serie D con il Pescina, che gli ha fruttato anche tre convocazioni negli Azzurri under 18. Poi è tornato in Finlandia, il luogo dove è nato e cresciuto. “Mio padre è di Caserta, ma si è trasferito in Finlandia oltre vent’anni fa quando ha sposato mia madre. Lavorava come disegnatore tecnico, adesso è proprietario di un ristorante”. Antonio Inutile, classe 1985, è la stella del VPS (Vaasan Palloseura), club appartenente alla massima divisione finlandese, che ha aperto i battenti la scorsa settimana.

Vaasa è uno dei principali centri culturali della Finlandia; non poteva pertanto che emergere da queste parti un giocatore soprannominato “l’artista”. “Sono un giocatore tecnico in un calcio in cui la condizione fisica è tutto. Ala o seconda punta, i miei punti di forza sono la velocità e il dribbling. I miei idoli? Anche se sono interista dico Ibrahimovic e Del Piero”. Le giocate di Inutile saranno fondamentali per garantire al VPS la salvezza. “Il livello della Veikkausliiga è paragonabile alla Lega Pro italiana. Forse l’HJK campione in carica potrebbero cavarsela in serie B. In Finlandia lo sport nazionale rimane l’hockey su ghiaccio, e nel calcio girano pochi soldi”.

Nel VPS lo scorso anno giocava anche il portiere giramondo Alessandro Marzuoli, tornato in Italia dopo aver rifiutato un’offerta del KPV, serie B finlandese. Eppure proprio l’Ykkonen, il campionato cadetto, ha rappresentato il trampolino di lancio di un altro italo-finnico come Inutile: Lauri Dalla Valle, figlio di un ex brigadiere emigrato in Finlandia e diventato il numero uno nel commercio dei funghi. A fine 2007 Dalla Valle è passato nell’Academy del Liverpool, dopo una toccata e fuga due anni prima nelle giovanili dell’Inter.

Anche Antonio Inutile sogna la Premier League, ma senza particolari ossessioni. In Inghilterra sarebbe uno dei tanti, in Finlandia è un idolo. Specialmente a Vaasa, dove Inutile è indispensabile.

Fonte: La Gazzetta dello Sport - Extra Time

domenica 1 maggio 2011

Barcellona: profumo d'Europa

La collina di Montjuic (il nome deriva dal catalano medievale Mont dels Jueus, che significa "monte degli ebrei") rappresenta l’oasi di pace nella quale i cittadini amano immergersi per fuggire, anche solamente per qualche ora, dai ritmi caotici della città. E’ un luogo di arte e cultura, basti pensare alla Fondazione Joan Mirò o al Poble Espanyol, ricostruzione di un piccolo paesino medievale; ma è anche luogo di svago (le piscine Picornell e il Palau San Jordi, arena sportiva indoor costruita in occasione delle Olimpiadi del 1992) e di relax (il giardino botanico). Il 16 giugno del 1957 lo stadio Olimpico sito sulla collina è stato il teatro dell’unica finale di Coppa di Spagna disputata tra le due compagini di Barcellona. L’incontro, terminato 1-0 a favore del Barça, assume un forte valore simbolico, poiché rappresenta la definitiva frattura sportiva tra i due club. Per i blaugrana, che nei primi anni Cinquanta avevano vinto due titoli e centrato tre secondi posti consecutivi, iniziava la scalata al vertice della piramide; il sempre più discontinuo Espanyol per contro sarebbe stato destinato a rinforzare i ranghi della classe media del calcio spagnolo. Tale processo aveva radici sociali ancor prima che sportive. A partire dagli anni Quaranta la Spagna era stata oggetto di un vasto movimento migratorio dalle regioni più povere verso quelle che potevano offrire un tenore di vita più elevato, come ad esempio la Catalogna. A dispetto delle proprie origini “operaie”, l’Espanyol fallì nell’intercettare e nel decodificare i bisogni di adattamento alla nuova realtà di questi nutriti gruppi di immigrati appartenenti ai ceti sociali meno abbienti. Per coloro che erano alla ricerca di un’identità comune, il simbolismo e la filosofia del Barcellona esercitarono una forza attrattiva magnetica. I successi del resto non sono sufficienti a spiegare perché all’inizio del nuovo millennio il Barcellona poteva contare su 122mila soci mentre l’Espanyol solamente su 16mila, pressappoco lo stesso numero che aveva già negli anni Cinquanta.

Sito nella parte settentrionale di Barcellona al confine con il quartiere Sarrià, famoso per ospitare l’omonimo stadio – ora demolito – che fu teatro dello storico Italia-Brasile 3-2 al Mondiale del 1982, originariamente Parc Guell avrebbe dovuto essere un quartiere residenziale di lusso immerso nel verde interamente progettato da Gaudí. Lo scarso interesse suscitato portò tuttavia all’abbandono del progetto dopo la costruzione delle prime due case. E’ rimasto un parco dalle atmosfere fiabesche, tra gechi di ceramica, panchine a forma di serpente, foreste di pietra e curiosità architettoniche modello Alice nel paese delle meraviglie. Muovendo verso sud in direzione della Ronda del Guinardó ci si imbatte nello stadio Nou Sardenya, casa del Club Esportiu Europa, squadra di Tercera Division. Tra tutte le realtà calcistiche amatoriali di Barcellona, l’Europa è quella che vanta il passato più significativo, essendo stata sul finire degli anni Venti una delle dieci società fondatrici della Liga spagnola. Ciò fu possibile grazie ad un’eccellente prestazione fatta registrare nel 1923 in Copa del Rey, trofeo al quale all’epoca si accedeva solamente dopo aver vinto il rispettivo campionato regionale. Quell’anno l’Europa campione di Catalogna si sbarazzò prima del Siviglia e poi dello Sporting Gijon, arrendendosi solamente in finale 1-0 all’Athletic Bilbao al termine di una partita che le cronache dell’epoca descrivono come dominata per tutti i novanta minuti dai blancos (questo il colore delle camisetas dell’Europa, alle quali in seguito venne aggiunto uno scapolare blu). Quella finale persa rappresentò per l’Europa il biglietto d’ingresso nei migliori dieci club spagnoli destinati a contendersi il primo titolo di Primera Division. Un campionato nel quale questa società polisportiva (la squadra di pallacanestro aveva disputato nel dicembre del 1922 la prima partita ufficiale di basket in assoluto sul suolo iberico) è resistita tre anni. Poi il declino. Nel 2007 l’Europa ha festeggiato il proprio centenario disputando al Nou Sardenya un’amichevole contro l’Osasuna, persa 2-1.
(4-fine)

Fonte: Calcio 2000

Barcellona: Kluivert più catalano di Tamudo

Prima ancora che dai trofei e dall’appeal mediatico, Barcellona ed Espanyol si sono differenziati sin dall’inizio per il diverso approccio alla questione catalana. Nel 1918 le rivendicazioni autonomiste della regione subirono un forte impulso grazie al famoso discorso pronunciato dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson sul principio di autodeterminazione dei popoli. Membri del Barcellona – croce di St Jordi e strisce giallo-rosse, i colori della Catalogna, nel proprio logo - furono tra i principali promotori di una petizione al governo spagnolo a favore dell’autonomia. L’Espanyol – la corona della monarchia come simbolo - replicò con una contro-petizione, e parte dei propri tifosi andarono ad ingrossare le fila della Peña Iberica, un gruppo di vigilantes che girava per la città alla caccia di secessionisti da “riconvertire”. Scontata la successiva adesione di questo gruppo di galantuomini ai falangisti ed alle armate di Franco durante la guerra civile. Al momento della sua fondazione, avvenuta un anno dopo rispetto a quella del Barcellona, l’Espanyol aveva scelto la parola “Spagnolo” proprio per rimarcare la propria identità nazionale in contrapposizione agli stranieri del Barcellona, il cui padre era lo svizzero Hans Camper – successivamente “catalanizzato” in Joan Gamper. In breve tempo però tale ragione sociale ha assunto una connotazione monarchica e centralista in decisa opposizione agli impulsi autonomisti e repubblicani degli storici rivali.

Oggi i tifosi dell’Espanyol sono gli unici in Catalogna a sventolare sugli spalti la bandiera della Spagna. Molti ex-giocatori stranieri del Barcellona sono più catalani degli stessi catalani ex-Espanyol; l’olandese Patrick Kluivert parla fluentemente catalano mentre Raul Tamudo, nato a Barcellona, si esprime solo in spagnolo. Non è però una questione puramente linguistica, bensì socio-culturale. A Barcellona la chiamano tarannà, modo di essere, e si riferisce a quel rapido processo di adattamento che porta ad interiorizzare usi e costumi propri di un luogo in maniera così profonda da trasformare lo straniero in una sorta di cittadino onorario. Gli esempi si sprecano, basta pensare a gente quale Johan Cruijff, Hristo Stoichkov, Laszlo Kubala, Terry Venables (che salutò i tifosi del Barcellona in catalano durante il suo primo allenamento), Vic Buckingham, Gary Lineker. Non fanno parte dell’elenco invece fuoriclasse quali Diego Armando Maradona e Ronaldo, perché non bastano qualità straordinarie in campo per entrare nell’olimpo del barcellonismo. Maradona passava troppo tempo in Argentina, mentre a Ronaldo interessava solo un contratto più remunerativo. Entrambi hanno giocato nel Barcellona, nessuno dei due ha “vissuto” Barcellona. A partire dalla metà degli anni Novanta però anche l’Espanyol ha intrapreso un timido processo di “catalanizzazione”. Nel 1995 la denominazione del club è stata mutata da Real Club Deportivo Español (in spagnolo) in Real Club Deportiu Espanyol de Barcelona (in catalano). Sotto la guida del presidente Daniel Sanchez Libre il catalano è diventata la lingua principale delle pubblicazioni ufficiali del club, dai libri alle brochure fino al sito internet. La società ha inoltre preso le distanze dalle Brigadas Blanquiazules, la frangia più destrorsa e violenta del tifo organizzato di casa Espanyol; svastiche, fischi ai giocatori di colore (anche ai propri, vedi il portiere Kameni), striscioni contro lo statuto della Comunità autonoma di Catalogna. Il club ha detto basta, rivolgendo le proprie attenzioni sulla Curva Jove, ovvero il lato apolitico e anti-violento della tifoseria organizzata bianco-blu. Non aveva invece avuto seguito, a conferma della complessità della fase di transizione, l’idea di Sanchez Libre di aderire alla campagna a favore della creazione di una nazionale catalana lanciata dal Barcellona nel 1999; il consiglio direttivo dell’Espanyol ha bocciato la proposta.
(3-continua)

Fonte: Calcio 2000