Speciale "Figli di un gol minore" (2)
Il calcio a Blackpool si identifica in due cose: l’inedito colore arancione, adottato dal club nel 1923 su suggerimento dell’arbitro Albert Hargreaves, reduce dalla direzione di un Olanda-Belgio all’Oude Stadion di Amsterdam; e Stanley Matthews, leggenda del calcio inglese, primo vincitore del Pallone d’Oro nonché icona assoluta dei Seasiders, che devono a lui l’unico trofeo messo in bacheca. Accadde nel 1953, quando Matthews prese per mano gli oranje, sotto 3-1 contro il Bolton Wanderers, e li guidò verso uno pirotecnico 4-3.
Lo spettacolo dalle parti di Bloomfield Road non è mancato nemmeno nel corso della passata stagione, che ha visto il Blackpool proporre un aggressivo 4-3-3 che ha fruttato 74 reti in 46 partite, nonché il sesto posto nel Championship e il conseguente accesso ai play-off, poi vinti eliminando Nottingham Forest in semifinale e Cardiff in finale. Un eccellente risultato, se si considera che nel 2001 la società navigava in League Two, il quarto livello del calcio inglese, e che aveva trascorso gli ultimi due campionati a lottare con i denti per evitare la retrocessione dalla serie cadetta.
Poi è stato sufficiente l’arrivo in panchina di un tecnico con la carriera a rotoli, Ian Holloway (drammatica retrocessione in League One con il Leicester City nel 2008), ma dotato di quel pizzico di incoscienza tipica di chi ormai ha ben poco da perdere, per scrivere un’altra bella pagina nella storia del calcio inglese. “Con il budget a disposizione”, ha commentato Holloway, “non avremmo dovuto nemmeno scendere in campo, invece siamo in Premier League. Una situazione decisamente bizzarra”. Difficile dargli torto, quando si legge che c'erano in rosa giocatori titolari di uno stipendio pari a ben 7mila euro mensili.
Gestione finanziaria oculata non significa però che il club sia senza soldi. La famiglia Oyston, 105 milioni di euro di patrimonio secondo il Sunday Times, e il lettone Valeri Belokon hanno investito discrete somme di denaro negli ultimi anni, senza però mai cedere alla voglia di strafare. Seguendo questa filosofia la scorsa stagione è stato acquistato dai Rangers Glasgow, per meno di un milione di euro, il centrocampista scozzese Charlie Adam, in seguito inserito nella squadra dell’anno del Championship 2009. Con 16 reti realizzate, Adam ha rivestito un ruolo fondamentale nel ritorno dei Seasiders in Premier League dopo 29 anni. Il Blackpool è un fascinoso club che profuma di calcio antico (non vecchio, e la differenza è enorme) e di suggestioni vintage. Forse non è un caso che il tecnico Holloway abbia ordinato ai suoi giocatori, durante la preparazione estiva, di allenarsi a giocare a Subbuteo.
Fonte: Calcio 2000
martedì 31 agosto 2010
domenica 29 agosto 2010
Sesso, calcio e rock'n roll
Speciale "Figli di un gol minore" (1)
Come l’Athletic Bilbao, anche il St. Pauli rappresenta un unicum nel panorama calcistico mondiale. Un club di culto dal modello impossibile da replicare, anche se per motivi completamente diversi da quelli della squadra basca. St. Pauli è un quartiere di Amburgo noto per il proprio distretto a luci rosse e per essere una delle culle del movimento punk tedesco. St. Pauli significa rock, anarchia, antinazismo, trasgressione, essere più alternativi degli alternativi.
Ed ecco quindi un club guidato da un presidente, Corny Littmann, omosessuale dichiarato, ex teatrante ed ex politico tra le fila dei verdi, direttore dello Schmidt Theater sulla Reeperbahn, la via più famosa di St. Pauli; ecco Hell’s Bells degli Ac/Dc accompagnare l’ingresso della squadra in campo; ecco la vendita di magliette quale raccolta fondi per il club, precipitato nella Regionalliga e prossimo alla bancarotta, portare nelle classe societarie oltre 900mila euro; ecco l’iniziativa benefica “Viva con agua de Sankt Pauli” coinvolgere giocatori e tifosi per fornire alle scuole di Cuba refrigeratori di acqua; ecco il primo club in Germania a vietare ai propri tifosi l’utilizzo di simboli e propaganda di estrema destra allo stadio. Poi c’è anche il calcio giocato, che ha visto il St. Pauli chiudere la Zweite Bundesliga alle spalle del solo Kaiserslautern e tornare nella massima divisione tedesca otto anni dopo l’ultima retrocessione.
L’allenatore di allora è il medesimo di oggi, Holger Stanislawski, 260 presenze nel cuore della difesa del St. Pauli, nonché il tecnico che nella stagione 2001/2002 ha guidato i “Weltpokalsiegerbesieger”, ovvero coloro che hanno battuto i campioni del mondo, riferimento allo storico 2-1 rifilato in campionato dal St. Pauli al Bayern Monaco. Quest’anno la Bundesliga è arrivata anche grazie alle reti dell’esperto Marius Ebbers, alla terza promozione in carriera dopo quelle con Colonia e Alemannia Aachen. Gli arrivi di Gerald Asamoah dallo Schalke 04 e del giovane Richard Sukuta-Pasu, in prestito dal Bayer Leverkusen, esprimono la precisa volontà del club di evitare un’altra toccata e fuga. Perché aggiungere qualche risultato sportivo al folklore e all’originalità certamente non guasta.
Fonte: Calcio 2000
Come l’Athletic Bilbao, anche il St. Pauli rappresenta un unicum nel panorama calcistico mondiale. Un club di culto dal modello impossibile da replicare, anche se per motivi completamente diversi da quelli della squadra basca. St. Pauli è un quartiere di Amburgo noto per il proprio distretto a luci rosse e per essere una delle culle del movimento punk tedesco. St. Pauli significa rock, anarchia, antinazismo, trasgressione, essere più alternativi degli alternativi.
Ed ecco quindi un club guidato da un presidente, Corny Littmann, omosessuale dichiarato, ex teatrante ed ex politico tra le fila dei verdi, direttore dello Schmidt Theater sulla Reeperbahn, la via più famosa di St. Pauli; ecco Hell’s Bells degli Ac/Dc accompagnare l’ingresso della squadra in campo; ecco la vendita di magliette quale raccolta fondi per il club, precipitato nella Regionalliga e prossimo alla bancarotta, portare nelle classe societarie oltre 900mila euro; ecco l’iniziativa benefica “Viva con agua de Sankt Pauli” coinvolgere giocatori e tifosi per fornire alle scuole di Cuba refrigeratori di acqua; ecco il primo club in Germania a vietare ai propri tifosi l’utilizzo di simboli e propaganda di estrema destra allo stadio. Poi c’è anche il calcio giocato, che ha visto il St. Pauli chiudere la Zweite Bundesliga alle spalle del solo Kaiserslautern e tornare nella massima divisione tedesca otto anni dopo l’ultima retrocessione.
L’allenatore di allora è il medesimo di oggi, Holger Stanislawski, 260 presenze nel cuore della difesa del St. Pauli, nonché il tecnico che nella stagione 2001/2002 ha guidato i “Weltpokalsiegerbesieger”, ovvero coloro che hanno battuto i campioni del mondo, riferimento allo storico 2-1 rifilato in campionato dal St. Pauli al Bayern Monaco. Quest’anno la Bundesliga è arrivata anche grazie alle reti dell’esperto Marius Ebbers, alla terza promozione in carriera dopo quelle con Colonia e Alemannia Aachen. Gli arrivi di Gerald Asamoah dallo Schalke 04 e del giovane Richard Sukuta-Pasu, in prestito dal Bayer Leverkusen, esprimono la precisa volontà del club di evitare un’altra toccata e fuga. Perché aggiungere qualche risultato sportivo al folklore e all’originalità certamente non guasta.
Fonte: Calcio 2000
martedì 24 agosto 2010
Veikkausliiga 2010: il punto a metà campionato
Articolo a firma di Eleonora Ronchetti comparso sul numero di agosto di Calcio 2000.
Il fascino dell’esperienza
Non è un paese per vecchi la Finlandia calcistica, però fa sempre notizia il ritorno in Veikkausliiga di qualche esperto giramondo intenzionato a spendere tra le mura amiche gli ultimi scampoli di carriera. L’ultimo esempio è arrivato dal 34enne attaccante Jonatan Johansson, ex Rangers Glasgow, Charlton, Malmö e Hibernian, accasatosi al TPS Turku, terza classificata nello scorso campionato, migliore in assoluto però dal punto di vista del calcio espresso. Johansson non è l’unico “grande vecchio” con esperienza internazionale rientrato alla base per fare da chioccia a qualche promettente rampollo del calcio finnico, basta pensare a giocatori quali Toni Kuivasto (Haka Valkeakovski), Aki Riihilahti (HJK Helsinki), Mika Nurmela (Oulu) e sopratutto all'intramontabile Jari Litmanen, che a 39 anni di età ha iniziato la sua terza stagione tra le fila del Lahti. Ma se l'apporto dell'ex fuoriclasse di Ajax, Barcellona e Liverpool ai destini della sua attuale squadra (attualmente nei bassifondi della classifica a dispetto dell’acquisto del centrale difensivo paraguayano Hugo Miranda, ex Cerro Porteno) è ridotto all'osso per motivi facilmente intuibili, dal momento che già quindici anni fa era soprannominato l’Uomo di Vetro per i continui infortuni, c'è chi invece dimostra di avere ancora qualche freccia al proprio arco. E’ il caso del tonicissimo Nurmela, uno dei pilastri della matricola Oulu a dispetto dei 38 anni suonati, e proprio di Johansson, 5 reti nelle prime nove uscite e attuale vice-capocannoniere della Veikkausliiga. Dove però il suo TPS, colpito da “pareggiate” acuta, stenta a carburare.
Valore Medo
Con il TPS in ritardo, il titolo nazionale appare già una questione privata tra HJK Helsinki e Honka Espoo, questi ultimi guidati dall’ex Perugia Mika Lehkosuo, che punta forte su un gruppo quasi completamente made in Finlandia, capace la scorsa stagione di produrre la coppia-gol (Hermanni Vuorinen e Jami Pustinen) più prolifica del torneo. Il gap economico che separa Honka e HJK è tuttavia notevole, con i capitolini che oltretutto hanno messo in mostra decisi segnali di miglioramento sotto il profilo del gioco. Il 442 all’insegna del massimo risultato con il minimo sforzo che ha caratterizzato la banda di mister Annti Murinen nelle ultime stagioni si è evoluto in un più fluido e gradevole 4231, dove la promessa mai mantenuta Juho Mäkelä (partenza con il botto, 10 gol nelle prime nove giornate) viene supportata dal trio Sebastian Sorsa-Erfan Zeneli-Dauda Bah. Fondamentali nello scacchiere tattico dell’HJK risultano anche il 22enne mediano della Sierra Leone Medo, che però potrebbe partire già in estate per un campionato estero, e il terzino destro brasiliano Rafinha, acquistato a gennaio dal Tampere. La sorpresa più piacevole però è rappresentata dal citato Zeneli, 23 anni, origini kosovare, trequartista/seconda punta considerato in patria un po’ il simbolo della nuova generazione di giocatori finlandesi, talentuosi ma incapaci di esprimersi secondo le proprie reali potenzialità. Possiedono le qualità ma non sanno come usarle, dicono i media. Il proseguo della Veikkausliiga chiarirà se quello di Zeneli è l’ennesimo fuoco di paglia.
Non più una squadra di Kakkonen
Male l’Inter Turku dell’olandese Job Dragtsma, il cui spettacolare calcio tutto possesso palla e triangolazioni che nel 2008 portò i nerazzurri di Finlandia al titolo è ormai solo un lontano ricordo; in evidenza invece la matricola Oulu, terza alla decima giornata, e il miracolato JJK Jyväskylä. Protagonista di una doppia promozione dal Kakkonen, la terza divisione finlandese alla Veikkausliiga a cavallo tra il 2007 e il 2008, il club della Finlandia centrale viene puntualmente considerato spacciato all’inizio di ogni stagione. Ma dopo la salvezza al fotofinish ottenuta nel 2009 contro il Kokkolan Palloveikot (KPV) ai play-off, il JJK è partito alla grande nell’attuale campionato, insediandosi a ridosso delle prime posizioni. “Siamo esattamente a metà di un piano quinquennale che prevede l’inserimento del JJK tra le migliori cinque del campionato”, ha commentato l’allenatore Kari Martonen, votato tecnico del mese lo scorso maggio. Una scalata graduale che i tifosi hanno mostrato di gradire; con una media di 3200 spettatori per partita il JJK è la terza squadra più seguita del paese. Solamente tre anni fa all’Harjun Stadion era difficile vedere più di 600 persone.
Lapponia d’Africa
Chiusura con la Ykkonen, la serie B finlandese, finora dominata dal RoPS di Rovaniemi, la squadra più a nord, ma paradossalmente anche quella più “africana” (almeno dieci i colored in rosa), della Finlandia. Tutto è nato nel 1994 con lo sbarco in Lapponia del calciatore zambiano Zeddy Saileti. Dopo l’exploit del Camerun a Italia 90 il presidente del RoPS Jouko Kiistala si era invaghito del calcio africano, chiedendo al suo amico Roger Milla di aiutarlo a portare nella sua squadra qualche giocatore locale. La scelta cadde su Zaileti, che in un decennio abbondante ha disputato oltre 370 partite con il RoPS, divenendone anche allenatore e talent scout. Proprio grazie a lui nelle ultime stagioni il club di Rovaniemi è diventato una sorta di colonia africana. Nel 2007, grazie ai 17 gol messi a segno da Nchimunya “Drogba” Mweetwa, è arrivata la promozione in Veikkausliiga, mentre lo scorso anno una stagione disastrosa ha riportato il RoPS tra i cadetti. Dove però la squadra, attualmente guidata dal gallese John Allen, ha iniziato il campionato come un rullo compressore. La colonia black della squadra lappone è stata arricchita addirittura da un ex campione dell’Europa minore, il terzino destro ghanese Christian Gyan, titolare nel Feyenoord vincitore della Coppa Uefa 2002. Da Rotterdam al paese di Babbo Natale, a volte le vie del calcio sono davvero infinite
Il fascino dell’esperienza
Non è un paese per vecchi la Finlandia calcistica, però fa sempre notizia il ritorno in Veikkausliiga di qualche esperto giramondo intenzionato a spendere tra le mura amiche gli ultimi scampoli di carriera. L’ultimo esempio è arrivato dal 34enne attaccante Jonatan Johansson, ex Rangers Glasgow, Charlton, Malmö e Hibernian, accasatosi al TPS Turku, terza classificata nello scorso campionato, migliore in assoluto però dal punto di vista del calcio espresso. Johansson non è l’unico “grande vecchio” con esperienza internazionale rientrato alla base per fare da chioccia a qualche promettente rampollo del calcio finnico, basta pensare a giocatori quali Toni Kuivasto (Haka Valkeakovski), Aki Riihilahti (HJK Helsinki), Mika Nurmela (Oulu) e sopratutto all'intramontabile Jari Litmanen, che a 39 anni di età ha iniziato la sua terza stagione tra le fila del Lahti. Ma se l'apporto dell'ex fuoriclasse di Ajax, Barcellona e Liverpool ai destini della sua attuale squadra (attualmente nei bassifondi della classifica a dispetto dell’acquisto del centrale difensivo paraguayano Hugo Miranda, ex Cerro Porteno) è ridotto all'osso per motivi facilmente intuibili, dal momento che già quindici anni fa era soprannominato l’Uomo di Vetro per i continui infortuni, c'è chi invece dimostra di avere ancora qualche freccia al proprio arco. E’ il caso del tonicissimo Nurmela, uno dei pilastri della matricola Oulu a dispetto dei 38 anni suonati, e proprio di Johansson, 5 reti nelle prime nove uscite e attuale vice-capocannoniere della Veikkausliiga. Dove però il suo TPS, colpito da “pareggiate” acuta, stenta a carburare.
Valore Medo
Con il TPS in ritardo, il titolo nazionale appare già una questione privata tra HJK Helsinki e Honka Espoo, questi ultimi guidati dall’ex Perugia Mika Lehkosuo, che punta forte su un gruppo quasi completamente made in Finlandia, capace la scorsa stagione di produrre la coppia-gol (Hermanni Vuorinen e Jami Pustinen) più prolifica del torneo. Il gap economico che separa Honka e HJK è tuttavia notevole, con i capitolini che oltretutto hanno messo in mostra decisi segnali di miglioramento sotto il profilo del gioco. Il 442 all’insegna del massimo risultato con il minimo sforzo che ha caratterizzato la banda di mister Annti Murinen nelle ultime stagioni si è evoluto in un più fluido e gradevole 4231, dove la promessa mai mantenuta Juho Mäkelä (partenza con il botto, 10 gol nelle prime nove giornate) viene supportata dal trio Sebastian Sorsa-Erfan Zeneli-Dauda Bah. Fondamentali nello scacchiere tattico dell’HJK risultano anche il 22enne mediano della Sierra Leone Medo, che però potrebbe partire già in estate per un campionato estero, e il terzino destro brasiliano Rafinha, acquistato a gennaio dal Tampere. La sorpresa più piacevole però è rappresentata dal citato Zeneli, 23 anni, origini kosovare, trequartista/seconda punta considerato in patria un po’ il simbolo della nuova generazione di giocatori finlandesi, talentuosi ma incapaci di esprimersi secondo le proprie reali potenzialità. Possiedono le qualità ma non sanno come usarle, dicono i media. Il proseguo della Veikkausliiga chiarirà se quello di Zeneli è l’ennesimo fuoco di paglia.
Non più una squadra di Kakkonen
Male l’Inter Turku dell’olandese Job Dragtsma, il cui spettacolare calcio tutto possesso palla e triangolazioni che nel 2008 portò i nerazzurri di Finlandia al titolo è ormai solo un lontano ricordo; in evidenza invece la matricola Oulu, terza alla decima giornata, e il miracolato JJK Jyväskylä. Protagonista di una doppia promozione dal Kakkonen, la terza divisione finlandese alla Veikkausliiga a cavallo tra il 2007 e il 2008, il club della Finlandia centrale viene puntualmente considerato spacciato all’inizio di ogni stagione. Ma dopo la salvezza al fotofinish ottenuta nel 2009 contro il Kokkolan Palloveikot (KPV) ai play-off, il JJK è partito alla grande nell’attuale campionato, insediandosi a ridosso delle prime posizioni. “Siamo esattamente a metà di un piano quinquennale che prevede l’inserimento del JJK tra le migliori cinque del campionato”, ha commentato l’allenatore Kari Martonen, votato tecnico del mese lo scorso maggio. Una scalata graduale che i tifosi hanno mostrato di gradire; con una media di 3200 spettatori per partita il JJK è la terza squadra più seguita del paese. Solamente tre anni fa all’Harjun Stadion era difficile vedere più di 600 persone.
Lapponia d’Africa
Chiusura con la Ykkonen, la serie B finlandese, finora dominata dal RoPS di Rovaniemi, la squadra più a nord, ma paradossalmente anche quella più “africana” (almeno dieci i colored in rosa), della Finlandia. Tutto è nato nel 1994 con lo sbarco in Lapponia del calciatore zambiano Zeddy Saileti. Dopo l’exploit del Camerun a Italia 90 il presidente del RoPS Jouko Kiistala si era invaghito del calcio africano, chiedendo al suo amico Roger Milla di aiutarlo a portare nella sua squadra qualche giocatore locale. La scelta cadde su Zaileti, che in un decennio abbondante ha disputato oltre 370 partite con il RoPS, divenendone anche allenatore e talent scout. Proprio grazie a lui nelle ultime stagioni il club di Rovaniemi è diventato una sorta di colonia africana. Nel 2007, grazie ai 17 gol messi a segno da Nchimunya “Drogba” Mweetwa, è arrivata la promozione in Veikkausliiga, mentre lo scorso anno una stagione disastrosa ha riportato il RoPS tra i cadetti. Dove però la squadra, attualmente guidata dal gallese John Allen, ha iniziato il campionato come un rullo compressore. La colonia black della squadra lappone è stata arricchita addirittura da un ex campione dell’Europa minore, il terzino destro ghanese Christian Gyan, titolare nel Feyenoord vincitore della Coppa Uefa 2002. Da Rotterdam al paese di Babbo Natale, a volte le vie del calcio sono davvero infinite
sabato 21 agosto 2010
Schans per capire il mondo (parte seconda)
Esperienze di vita vera, lontane da stereotipi e viaggi da agenzie turistiche mainstream. Esperienze a volte bizzarre, altre volte amare, sempre ricche di passione. Come in Mozambico, nel 2005. Schans, assistente della nazionale, accompagnò la Under 23 a Macao per un torneo giovanile, e si trovò con alcuni dei suoi ragazzi, abituati a consumare non più di tre-quattro pasti a settimana, alle prese con una brutta indigestione dopo aver polverizzato l'intero buffet post-partita.
Due anni dopo, un ingaggio in Cina. Vice di Gao Hongbo (futuro ct della nazionale), vinse sorprendentemente il campionato con il Changchun Yutai, club di una città di sei milioni di persone (“una piccola e tranquilla città di provincia” aveva assicurato Gao), nei pressi del confine con la Corea del Nord. L’impresa più difficile non fu sconfiggere il Generale Inverno (a quelle latitudini in il termometro può scendere fino a meno trenta) ma convincere la dirigenza a concedere un giorno di riposo ai giocatori. «Quando videro il programma settimanale di allenamento - ricorda Schans - mi guardarono in cagnesco. In Cina, dissero, gli allenatori sono pagati per lavorare, pertanto si suppone che essi dirigano gli allenamenti sette giorni su sette, e almeno due volte al giorno. I miei primi mesi furono una battaglia continua, perché pretendevo meno lavoro. Alla fine li ho convinti, e con una squadra più riposata abbiamo vinto dieci degli ultimi dodici incontri, portando a casa il titolo nazionale. Dicevo sempre: non voglio fare di voi degli olandesi, ma non voglio nemmeno diventare io un cinese. Ho solo chiesto rispetto, e alla fine ha pagato».
Sul finire del 2006, la Namibia si trova ad un passo dal conquistare la sua prima storica qualificazione alla fase finale della Coppa d’Africa, che si sarebbe disputata in Ghana l’anno successivo. Alla guida della nazionale c’è lo zambiano Ben Bamfuchile, cresciuto alla scuola Knvb, e pertanto alla ricerca di un tecnico olandese pronto ad assisterlo nelle fasi finali delle qualificazioni. Il primo nome sulla lista è quello di Schans. L’obiettivo viene centrato, ma Bamfuchile si ammala gravemente (morirà prima dell’inizio del torneo) lasciando il timone all'amico olandese. Sarà lui a guidare in Ghana una squadra composta da giocatori militanti nella quarta divisione tedesca o nella serie B norvegese. La stella è Colin Benjamin, attaccante dell’Amburgo. Schans si fida molto anche del portiere Athil, agile, con un ottimo senso della posizione, ma quasi completamente sordo. «Provammo con un apparecchio acustico, ma gli scivolava continuamente fuori dall’orecchio impedendogli di mantenere la giusta concentrazione durante l’incontro. Tentammo quindi con un caschetto modello Peter Cech, ma non funzionò. Per l’esordio contro il Marocco fui costretto a tenerlo in panchina». Nei primi cinque minuti il Marocco segna due volte; l’incontro finisce 5-1. Schans decide di rompere gli indugi e manda in campo Athil nei due successivi incontri, contro Ghana (0-1) e Guinea (1-1). Namibia eliminata ma onore salvo. La Federazione locale, soddisfatta, chiede all’olandese di guidare la squadra durante le qualificazioni al Mondiale del 2010 in Sudafrica. L’idillio non durerà.
«L’Africa è una terra dove tutto è possibile, nel bene come nel male. Esplorarla al seguito di una nazionale di calcio può far sembrare tranquillo e rilassante persino un giro sulle montagne russe. Nello Zimbabwe l’inflazione cresceva ora dopo ora, mi ritrovai a pagare un’arancia con un cumulo di carta che equivaleva a tre milioni di dollari locali. All’uscita dello stadio rischiammo per due volte di cappottarci con il nostro bus a causa della marea umana di tifosi che premeva ai lati. Ogni loro spinta era come un colpo di frusta. In Guinea arrivammo dopo un viaggio massacrante; primo scalo aereo a Johannesburg, secondo a Dakar; e poi due pullman, perché non esistevano voli diretti nemmeno da Windhoek, la capitale della Namibia. Viaggi della speranza che non aiutavano certo i giocatori a mantenere una condizione psico-fisica ottimale, tanto più se si considera che quando arrivammo a Conakry, la capitale, venimmo letteralmente sequestrati in albergo perché la città era in rivolta ed il governo aveva ordinato il coprifuoco. In Sudafrica chiedemmo un bus per ventiquattro persone e ad attenderci all’aeroporto ne trovammo uno da dieci. Quando lavoravo in Mozambico diedi le dimissioni dopo aver convocato una riunione con la Federazione alle dieci di mattina, ed aver atteso due ore per vedere arrivare i primi tre membri del consiglio. E quando ho provato a chiedere spiegazioni, sai cosa mi hanno risposto? "Mister, questa è l’Africa". Un continente stritolato dalla povertà ma anche dall’inefficienza e dalla corruzione di chi sta ai vertici».
Oggi Arie Schans è tornato in Cina, a Changhang, dove vive nel campus dell’università locale, che conta trentamila studenti. Sulla scrivania una web-cam per scacciare la nostalgia di casa, sul comodino l’inseparabile manuale di tattica calcistica. L'indispensabile compagno di viaggio per continuare ad esplorare, e dove possibile, cercare di capire il mondo.
(fine)
Due anni dopo, un ingaggio in Cina. Vice di Gao Hongbo (futuro ct della nazionale), vinse sorprendentemente il campionato con il Changchun Yutai, club di una città di sei milioni di persone (“una piccola e tranquilla città di provincia” aveva assicurato Gao), nei pressi del confine con la Corea del Nord. L’impresa più difficile non fu sconfiggere il Generale Inverno (a quelle latitudini in il termometro può scendere fino a meno trenta) ma convincere la dirigenza a concedere un giorno di riposo ai giocatori. «Quando videro il programma settimanale di allenamento - ricorda Schans - mi guardarono in cagnesco. In Cina, dissero, gli allenatori sono pagati per lavorare, pertanto si suppone che essi dirigano gli allenamenti sette giorni su sette, e almeno due volte al giorno. I miei primi mesi furono una battaglia continua, perché pretendevo meno lavoro. Alla fine li ho convinti, e con una squadra più riposata abbiamo vinto dieci degli ultimi dodici incontri, portando a casa il titolo nazionale. Dicevo sempre: non voglio fare di voi degli olandesi, ma non voglio nemmeno diventare io un cinese. Ho solo chiesto rispetto, e alla fine ha pagato».
Sul finire del 2006, la Namibia si trova ad un passo dal conquistare la sua prima storica qualificazione alla fase finale della Coppa d’Africa, che si sarebbe disputata in Ghana l’anno successivo. Alla guida della nazionale c’è lo zambiano Ben Bamfuchile, cresciuto alla scuola Knvb, e pertanto alla ricerca di un tecnico olandese pronto ad assisterlo nelle fasi finali delle qualificazioni. Il primo nome sulla lista è quello di Schans. L’obiettivo viene centrato, ma Bamfuchile si ammala gravemente (morirà prima dell’inizio del torneo) lasciando il timone all'amico olandese. Sarà lui a guidare in Ghana una squadra composta da giocatori militanti nella quarta divisione tedesca o nella serie B norvegese. La stella è Colin Benjamin, attaccante dell’Amburgo. Schans si fida molto anche del portiere Athil, agile, con un ottimo senso della posizione, ma quasi completamente sordo. «Provammo con un apparecchio acustico, ma gli scivolava continuamente fuori dall’orecchio impedendogli di mantenere la giusta concentrazione durante l’incontro. Tentammo quindi con un caschetto modello Peter Cech, ma non funzionò. Per l’esordio contro il Marocco fui costretto a tenerlo in panchina». Nei primi cinque minuti il Marocco segna due volte; l’incontro finisce 5-1. Schans decide di rompere gli indugi e manda in campo Athil nei due successivi incontri, contro Ghana (0-1) e Guinea (1-1). Namibia eliminata ma onore salvo. La Federazione locale, soddisfatta, chiede all’olandese di guidare la squadra durante le qualificazioni al Mondiale del 2010 in Sudafrica. L’idillio non durerà.
«L’Africa è una terra dove tutto è possibile, nel bene come nel male. Esplorarla al seguito di una nazionale di calcio può far sembrare tranquillo e rilassante persino un giro sulle montagne russe. Nello Zimbabwe l’inflazione cresceva ora dopo ora, mi ritrovai a pagare un’arancia con un cumulo di carta che equivaleva a tre milioni di dollari locali. All’uscita dello stadio rischiammo per due volte di cappottarci con il nostro bus a causa della marea umana di tifosi che premeva ai lati. Ogni loro spinta era come un colpo di frusta. In Guinea arrivammo dopo un viaggio massacrante; primo scalo aereo a Johannesburg, secondo a Dakar; e poi due pullman, perché non esistevano voli diretti nemmeno da Windhoek, la capitale della Namibia. Viaggi della speranza che non aiutavano certo i giocatori a mantenere una condizione psico-fisica ottimale, tanto più se si considera che quando arrivammo a Conakry, la capitale, venimmo letteralmente sequestrati in albergo perché la città era in rivolta ed il governo aveva ordinato il coprifuoco. In Sudafrica chiedemmo un bus per ventiquattro persone e ad attenderci all’aeroporto ne trovammo uno da dieci. Quando lavoravo in Mozambico diedi le dimissioni dopo aver convocato una riunione con la Federazione alle dieci di mattina, ed aver atteso due ore per vedere arrivare i primi tre membri del consiglio. E quando ho provato a chiedere spiegazioni, sai cosa mi hanno risposto? "Mister, questa è l’Africa". Un continente stritolato dalla povertà ma anche dall’inefficienza e dalla corruzione di chi sta ai vertici».
Oggi Arie Schans è tornato in Cina, a Changhang, dove vive nel campus dell’università locale, che conta trentamila studenti. Sulla scrivania una web-cam per scacciare la nostalgia di casa, sul comodino l’inseparabile manuale di tattica calcistica. L'indispensabile compagno di viaggio per continuare ad esplorare, e dove possibile, cercare di capire il mondo.
(fine)
mercoledì 18 agosto 2010
Schans per capire il mondo (parte prima).
Da un campo militare sulle vette dell’Himalaya, passando da un’arancia pagata tre milioni di dollari nello Zimbabwe, fino alla brina delle sperdute pianure nel grande nulla che divide la Cina dalla Corea del Nord. Il mondo chiuso in una valigia, tra lo spazzolino da denti e un manuale di tattica calcistica; e il pallone come occasione di viaggio, di incontro, di arricchimento.
L’olandese Arie Schans è il globetrotter estremo del calcio. Un moderno esploratore travestito da maestro di calcio. Da oltre un decennio è in viaggio ai margini dell’impero, mosso dal desiderio di rimpinguare il proprio bagaglio umano piuttosto che il conto in banca. Zero tituli? Non importa. Arie è un tipo a cui piace sfatare luoghi comuni, seminando terreni a prima vista senza speranza. Bhutan, Mozambico, Namibia, campionato cinese. Subito una smentita. Schans non è la versione oranje di Bora Milutinovic, lo slavo giramondo che seduce nazionali esotiche alla vigilia del Mondiale, per poi salpare verso altri lidi appena terminato il grande ballo. Schans possiede un’altra filosofia: «Molti allenatori attratti dal fascino dell’esotico si muovono come elefanti in cristalleria. Quando entro in contatto con una nuova cultura non mi pongo mai sul piedistallo; vado per insegnare, certo, ma anche per imparare. E per capire». In poche parole, la differenza che passa tra un colonizzatore e un esploratore.
La sua finale mondiale Arie Schans l’ha disputata nel 2002, quando la FIFA ebbe l’idea di organizzare un incontro tra le due peggiori nazionali del mondo, Bhutan e Montserrat. Una sfida tra i fanalini di coda (posizione numero 203 e 204) del ranking FIFA, ribattezzata romanticamente The Other Final, disputata in concomitanza con la finale del mondiale nippo-coreano tra Brasile e Germania. Per preparare la partita della vita di una selezione reduce da uno 0-20 contro l’Arabia Saudita, nel Gennaio del 2002 era sbarcato ai piedi dell’Himalaya uno smunto olandese. L'aspetto da impiegato di banca, prossimo alla pensione. Sceso da uno dei due aeroplani che compongono la flotta della compagnia aerea nazionale del Bhutan, e allontanatosi dalla lingua di asfalto che qualcuno si ostinava a chiamare pista di atterraggio, il mister si era trovato di fronte ad un campo di allenamento ricavato in un vecchio presidio militare; la caserma come spogliatoio, e una distesa di terra sabbiosa indurita dal gelo, e costellata di buche, come terreno di gioco. Su un tavolo di legno giaceva un foglio stropicciato con il programma di allenamento predisposto dal precedente tecnico, un coreano del sud. C’era scritto: “Ripetute e corsa in montagna -intesa come Himalaya, ndr- al mattino e al pomeriggio”. «Ma questi ragazzi non devono fare la maratona!», commentò stupito il neo Ct del Bhutan.
Ma come ci era arrivato, in quella terra dimenticata dagli Dei del calcio? La risposta va cercata a Zeist, dove sorge il quartier generale della Koninklijke Nederland Voetbalbond (Regia Federazione Calcio Olandese), che vanta anche un’efficiente accademia per allenatori. Ogni richiesta che arriva da Federazioni straniere può essere accolta: la Kvnb forma professori di calcio pronti a fare le valigie ed andare a lavorare all'estero in qualsiasi momento, in qualità di allenatori, consulenti o semplici insegnati per tecnici locali. Una sorta di Sos Tata per commissari tecnici, insomma. La carriera di Schans è cominciata molto presto. A diciannove anni era assistente di Fritz Korbach all’Fc Wageningen, club professionistico olandese che sarebbe successivamente fallito. Dopo anni di peregrinazioni nel sottobosco del calcio dilettantistico oranje, aveva accettato di andare a insegnare in Giappone, guidando per cinque anni la squadra universitaria del Nittai Dai. La figlia finirà per sposare uno dei giocatori del club, Keji Aikawa. Uno che non riuscirà a sfondare in Giappone e nemmeno in Olanda, una volta emigrato, ma che non può certo ritenere sfortunato l'incontro con il tecnico di Veenendaal.
Duemila giorni ad Oriente valgono la proposta per la panchina del Buthan, il passaporto per l’inedita, e attesissima, The Other Final. «Giocammo a Thimphu, la capitale, e battemmo Montserrat 4-0. C’erano dodicimila persone ad assistere all’incontro ed erano dappertutto. Sugli alberi, sui tetti, ovunque. A fine gara iniziarono i festeggiamenti, e il Ministro degli Interni mi disse che non mi avrebbe mai lasciato andar via. “Ordinerò a tutti gli aerei di non decollare” sentenziò. Accettai di guidare ancora la squadra in un torneo amichevole a Calcutta. La raggiungemmo dopo un viaggio di 36 ore, scalo a Bangkok incluso. I giocatori rimasero stupiti dal nostro hotel, una struttura di 36 piani. Dal momento che in Bhutan una legge emanata dal re vieta la costruzione di palazzi con più di quattro piani, nessuno di loro aveva mai visto una cosa simile. Non si fidavamo a salire sull’ascensore. Le sorprese continuarono quando la Federcalcio tailandese ci regalò delle cravatte. Dovetti ordinare ai ragazzi di disporsi in cerchio per insegnargli come si faceva ad annodarne una. Del resto, chi ha bisogno di accessori in Bhutan?».
(fine prima parte)
L’olandese Arie Schans è il globetrotter estremo del calcio. Un moderno esploratore travestito da maestro di calcio. Da oltre un decennio è in viaggio ai margini dell’impero, mosso dal desiderio di rimpinguare il proprio bagaglio umano piuttosto che il conto in banca. Zero tituli? Non importa. Arie è un tipo a cui piace sfatare luoghi comuni, seminando terreni a prima vista senza speranza. Bhutan, Mozambico, Namibia, campionato cinese. Subito una smentita. Schans non è la versione oranje di Bora Milutinovic, lo slavo giramondo che seduce nazionali esotiche alla vigilia del Mondiale, per poi salpare verso altri lidi appena terminato il grande ballo. Schans possiede un’altra filosofia: «Molti allenatori attratti dal fascino dell’esotico si muovono come elefanti in cristalleria. Quando entro in contatto con una nuova cultura non mi pongo mai sul piedistallo; vado per insegnare, certo, ma anche per imparare. E per capire». In poche parole, la differenza che passa tra un colonizzatore e un esploratore.
La sua finale mondiale Arie Schans l’ha disputata nel 2002, quando la FIFA ebbe l’idea di organizzare un incontro tra le due peggiori nazionali del mondo, Bhutan e Montserrat. Una sfida tra i fanalini di coda (posizione numero 203 e 204) del ranking FIFA, ribattezzata romanticamente The Other Final, disputata in concomitanza con la finale del mondiale nippo-coreano tra Brasile e Germania. Per preparare la partita della vita di una selezione reduce da uno 0-20 contro l’Arabia Saudita, nel Gennaio del 2002 era sbarcato ai piedi dell’Himalaya uno smunto olandese. L'aspetto da impiegato di banca, prossimo alla pensione. Sceso da uno dei due aeroplani che compongono la flotta della compagnia aerea nazionale del Bhutan, e allontanatosi dalla lingua di asfalto che qualcuno si ostinava a chiamare pista di atterraggio, il mister si era trovato di fronte ad un campo di allenamento ricavato in un vecchio presidio militare; la caserma come spogliatoio, e una distesa di terra sabbiosa indurita dal gelo, e costellata di buche, come terreno di gioco. Su un tavolo di legno giaceva un foglio stropicciato con il programma di allenamento predisposto dal precedente tecnico, un coreano del sud. C’era scritto: “Ripetute e corsa in montagna -intesa come Himalaya, ndr- al mattino e al pomeriggio”. «Ma questi ragazzi non devono fare la maratona!», commentò stupito il neo Ct del Bhutan.
Ma come ci era arrivato, in quella terra dimenticata dagli Dei del calcio? La risposta va cercata a Zeist, dove sorge il quartier generale della Koninklijke Nederland Voetbalbond (Regia Federazione Calcio Olandese), che vanta anche un’efficiente accademia per allenatori. Ogni richiesta che arriva da Federazioni straniere può essere accolta: la Kvnb forma professori di calcio pronti a fare le valigie ed andare a lavorare all'estero in qualsiasi momento, in qualità di allenatori, consulenti o semplici insegnati per tecnici locali. Una sorta di Sos Tata per commissari tecnici, insomma. La carriera di Schans è cominciata molto presto. A diciannove anni era assistente di Fritz Korbach all’Fc Wageningen, club professionistico olandese che sarebbe successivamente fallito. Dopo anni di peregrinazioni nel sottobosco del calcio dilettantistico oranje, aveva accettato di andare a insegnare in Giappone, guidando per cinque anni la squadra universitaria del Nittai Dai. La figlia finirà per sposare uno dei giocatori del club, Keji Aikawa. Uno che non riuscirà a sfondare in Giappone e nemmeno in Olanda, una volta emigrato, ma che non può certo ritenere sfortunato l'incontro con il tecnico di Veenendaal.
Duemila giorni ad Oriente valgono la proposta per la panchina del Buthan, il passaporto per l’inedita, e attesissima, The Other Final. «Giocammo a Thimphu, la capitale, e battemmo Montserrat 4-0. C’erano dodicimila persone ad assistere all’incontro ed erano dappertutto. Sugli alberi, sui tetti, ovunque. A fine gara iniziarono i festeggiamenti, e il Ministro degli Interni mi disse che non mi avrebbe mai lasciato andar via. “Ordinerò a tutti gli aerei di non decollare” sentenziò. Accettai di guidare ancora la squadra in un torneo amichevole a Calcutta. La raggiungemmo dopo un viaggio di 36 ore, scalo a Bangkok incluso. I giocatori rimasero stupiti dal nostro hotel, una struttura di 36 piani. Dal momento che in Bhutan una legge emanata dal re vieta la costruzione di palazzi con più di quattro piani, nessuno di loro aveva mai visto una cosa simile. Non si fidavamo a salire sull’ascensore. Le sorprese continuarono quando la Federcalcio tailandese ci regalò delle cravatte. Dovetti ordinare ai ragazzi di disporsi in cerchio per insegnargli come si faceva ad annodarne una. Del resto, chi ha bisogno di accessori in Bhutan?».
(fine prima parte)
sabato 14 agosto 2010
New-look Young Boys ready to win Spurs
The memorable 1-0 win over Fenerbahce in Istanbul has been, so far, the first bright spot in an otherwise dull sky for Young Boys Bern; their start to the season has been one to forget. Thus far, Vladimir Petkovic’s men have been unable to shrug off the disappointment of last season when Basel snatched the Swiss title from their grasp at the death. Until the final two games of the season Young Boys had dominated the Swiss Super League and the collection of their first title since 1986 seemed just a formality.
"I didn’t expect such a difficult beginning", Petkovic admitted. It took four games for Young Boys to win their first three points of the season, defeating Grasshoppers 2-1 in Zurich. Prior to that, the Yellow-Blacks managed just two points from their first three matches, losing to small Bellinzona and drawing with Luzern and newly promoted Thun. Not the best way to state their intention to win this season’s Super League; or defeat Tottenham Hotspur to reach the Champions League group stages either.
In Bern doubts began to grow about Petkovic’s future at the Wankdorf Stadium, rumours spreading that the club’s board were getting ready to pull the trigger. However, the impressive dispatching of Turkish giants Fenerbahce in the Sukru Saracoglu Stadium – in the process Young Boys became the first Swiss team ever to win a game in Istanbul – has bought the coach more time and Petkovic will work furiously to rediscover last season’s form. For Petkovic Young Boys’ form is now, more than ever, personal, after sections of the media labelled the Bosnian as the "always comes second coach". The 46-year-old has, so far, lost two Swiss Cup finals – the first with Bellinzona and the second with Young Boys – and has led the Yellow-Blacks to two consecutive second place finishes in the
Super League.
It hasn’t been easy going for Petkovic this summer and for that he is surely due some sympathy. Young Boys lost two key players in the form of Ivorian striker Seydou Doumbia (sold to CSKA Moscow) and fellow countryman and midfield live-wire Gilles Yapi-Yapo (headed to Basel on a free transfer). "These departures have unquestionably weakened Young Boys" commented respected Swiss Super League expert Paolo Galli in a column at Il Giornale del Popolo, "but they will not cover up the unimpressive performance of the team for a long time anymore."
Doumbia and Yapi-Yapo have been replaced at the Wankdorf by Cameroon striker Henri Bienvenu and Swiss rising talent Moreno Costanzo. Bienvenu, despite having been bought from Esperance Tunis only last January, has become a regular only in this current campaign, playing a vital role in the Champions League third qualifying round victory over Fenerbahce by scoring the winner in Istanbul. Costanzo, a 22-year-old playmaker from St. Gallen, has assumed an important role too, showing great technique and vision in the home leg against the Turks and converting an 89th minute penalty to snatch a 2-2 draw for Young Boys.
This season Petkovic has switched from a 3-4-3 to a 4-1-4-1 system. Apart from Bienvenu and Costanzo, Young Boys have a raft of impressive performers such as goalkeeper Marco Wolfli, central defender Emiliano Dudar and veteran stopper Christoph Spycher, just back from five years in the Bundesliga with Eintracht Frankfurt. Despite playing at left back with Frankfurt, Petkovic has deployed Spycher as a defensive midfielder, his original role.
When the Swiss side face English Premier League side Tottenham Hotspur in the Champions League playoff round they will be clear underdogs. While Spurs are expected to progress, Young Boys can play with relative freedom. This could well be their biggest advantage and Petkovic will hope that victory over the Premier League club can act as a further spurs for his side, in much the same way the disposing of Fenerbahce has.
Fonte: Inside Futbol
"I didn’t expect such a difficult beginning", Petkovic admitted. It took four games for Young Boys to win their first three points of the season, defeating Grasshoppers 2-1 in Zurich. Prior to that, the Yellow-Blacks managed just two points from their first three matches, losing to small Bellinzona and drawing with Luzern and newly promoted Thun. Not the best way to state their intention to win this season’s Super League; or defeat Tottenham Hotspur to reach the Champions League group stages either.
In Bern doubts began to grow about Petkovic’s future at the Wankdorf Stadium, rumours spreading that the club’s board were getting ready to pull the trigger. However, the impressive dispatching of Turkish giants Fenerbahce in the Sukru Saracoglu Stadium – in the process Young Boys became the first Swiss team ever to win a game in Istanbul – has bought the coach more time and Petkovic will work furiously to rediscover last season’s form. For Petkovic Young Boys’ form is now, more than ever, personal, after sections of the media labelled the Bosnian as the "always comes second coach". The 46-year-old has, so far, lost two Swiss Cup finals – the first with Bellinzona and the second with Young Boys – and has led the Yellow-Blacks to two consecutive second place finishes in the
Super League.
It hasn’t been easy going for Petkovic this summer and for that he is surely due some sympathy. Young Boys lost two key players in the form of Ivorian striker Seydou Doumbia (sold to CSKA Moscow) and fellow countryman and midfield live-wire Gilles Yapi-Yapo (headed to Basel on a free transfer). "These departures have unquestionably weakened Young Boys" commented respected Swiss Super League expert Paolo Galli in a column at Il Giornale del Popolo, "but they will not cover up the unimpressive performance of the team for a long time anymore."
Doumbia and Yapi-Yapo have been replaced at the Wankdorf by Cameroon striker Henri Bienvenu and Swiss rising talent Moreno Costanzo. Bienvenu, despite having been bought from Esperance Tunis only last January, has become a regular only in this current campaign, playing a vital role in the Champions League third qualifying round victory over Fenerbahce by scoring the winner in Istanbul. Costanzo, a 22-year-old playmaker from St. Gallen, has assumed an important role too, showing great technique and vision in the home leg against the Turks and converting an 89th minute penalty to snatch a 2-2 draw for Young Boys.
This season Petkovic has switched from a 3-4-3 to a 4-1-4-1 system. Apart from Bienvenu and Costanzo, Young Boys have a raft of impressive performers such as goalkeeper Marco Wolfli, central defender Emiliano Dudar and veteran stopper Christoph Spycher, just back from five years in the Bundesliga with Eintracht Frankfurt. Despite playing at left back with Frankfurt, Petkovic has deployed Spycher as a defensive midfielder, his original role.
When the Swiss side face English Premier League side Tottenham Hotspur in the Champions League playoff round they will be clear underdogs. While Spurs are expected to progress, Young Boys can play with relative freedom. This could well be their biggest advantage and Petkovic will hope that victory over the Premier League club can act as a further spurs for his side, in much the same way the disposing of Fenerbahce has.
Fonte: Inside Futbol
lunedì 9 agosto 2010
Fc Twente
From being bankrupt to winning the league – the first title in their history – in just eight years. This is the miracle Twente’s chairman Joop Munsterman has brought about. In the last two seasons the Tukkers have shown they are able to continue performing at the top of the Dutch game despite constantly selling their best talent. The departure of star players has continued this summer, and added to that coach Steve McClaren has also left the club. Munsterman has banked on new Belgian coach Michel Preud’Homme repeating McClaren’s trick with a raft of newly arrived talents. Victory in the Johan Cruyff Schaal (the Dutch Super Cup) against Ajax represents the perfect start.
Key arrivals: Rasmus Bengtsson (Hertha Berlin); Emir Bajrami (Elfsborg); Roberto Rosales (Gent); Marc Janko (Salzburg); Nacer Chadli (AGOVV) Bart Buysse (Zulte Waregem); Wilko de Vogt (FC Oss)
Key departures: Ronnie Stam (Wigan); Blaise Nkufo (Seattle Sounders); Kenneth Perez (released); Miroslav Stoch (Fenerbahce); Cees Paauwe (Excelsior); Nashat Akram (released); Jeroen Heubach (retired)
Prediction: 3rd
Key arrivals: Rasmus Bengtsson (Hertha Berlin); Emir Bajrami (Elfsborg); Roberto Rosales (Gent); Marc Janko (Salzburg); Nacer Chadli (AGOVV) Bart Buysse (Zulte Waregem); Wilko de Vogt (FC Oss)
Key departures: Ronnie Stam (Wigan); Blaise Nkufo (Seattle Sounders); Kenneth Perez (released); Miroslav Stoch (Fenerbahce); Cees Paauwe (Excelsior); Nashat Akram (released); Jeroen Heubach (retired)
Prediction: 3rd
Feyenoord
Forever young. Over the past few years Feyenoord have known they cannot compete financially with Ajax and PSV Eindhoven. However, the Rotterdam club have avoided falling down into mediocrity thanks to a superb youth system. Players like Georginio Wijnaldum and Leroy Fer represent the perfect symbol of the club’s new philosophy; despite being just 20 the duo have already played more than 80 first team games. Both will continue to play a key role in coach Mario Been’s 4-3-3 system. Feyenoord’s squad is simply packed with youngsters who are all looking to make their mark. Holland’s Under-18 forward Luc Castaignos, Russian striker Fyodor Smolov, South African midfielder Kamohelo Moktjo, Danish defender Michael Lumb and goalkeeper Erwin Mulder will hope for breakthrough campaigns.
Key arrivals: Ruben Schaken (VVV-Venlo); Michael Lumb (Zenit St. Peterburg –loan); Fyodor Smolov (Dynamo Moscow – loan); Adil Auassar (VVV-Venlo)
Key departures: Denny Landzaat (released); Giovanni van Bronckhorst (retired); Roy Makaay (retired); Kevin Hofland (AEK Larnaca – loan)
Prediction: 4th
Key arrivals: Ruben Schaken (VVV-Venlo); Michael Lumb (Zenit St. Peterburg –loan); Fyodor Smolov (Dynamo Moscow – loan); Adil Auassar (VVV-Venlo)
Key departures: Denny Landzaat (released); Giovanni van Bronckhorst (retired); Roy Makaay (retired); Kevin Hofland (AEK Larnaca – loan)
Prediction: 4th
Az Alkmaar
Back to earth after the Dick Scheringa era – one which brought the Eredivisie title to the club in 2009, but also sent it close to bankruptcy after the DSB Bank collapsed just four months later – AZ are patiently learning to stand alone again without a big money backer. Some key players have already left the team, such as striker Mounir El Hamadaoui and midfielder David Mendes da Silva, while others like Moussa Dembele and Sergio Romero could follow at any time. However, hope comes in the form of new coach Gertjan Verbeek who has enjoyed a top notch pre-season, beating Red Bull Salzburg, Fenerbahce, Anderlecht and, in the Europa League preliminary round, IFK Gothenburg. The arrival of gifted midfielder Erik Falkenburg from Sparta Rotterdam will add invention to an already solid midfield.
Key arrivals: Dirk Marcellis (PSV); Erik Falkenburg (Sparta Rotterdam); Nick Viergever (Sparta Rotterdam); Charlison Benschop (RKC Waalwijk)
Key departures: David Mendes da Silva (Salzburg); Jeremain Lens (PSV); Mounir El Hamdaoui (Ajax); Kees Luyckx (NAC Breda)
Prediction: 5th
Key arrivals: Dirk Marcellis (PSV); Erik Falkenburg (Sparta Rotterdam); Nick Viergever (Sparta Rotterdam); Charlison Benschop (RKC Waalwijk)
Key departures: David Mendes da Silva (Salzburg); Jeremain Lens (PSV); Mounir El Hamdaoui (Ajax); Kees Luyckx (NAC Breda)
Prediction: 5th
domenica 8 agosto 2010
Sc Heerenveen
In 2009, Heerenveen beat Twente to win the Dutch Cup, the first trophy in their history. Heerenveen win on the pitch and have a strong financial situation off it, the envy of many other Eredivisie sides. The club also produce some first class talents and sell them on for bags of cash. There can be problems though and last season proved it. A stormy campaign resulted in a disappointing finish and two coaches sacked during the season. New coach Ron Jans is expected to put those troubles behind Heerenveen however and the squad has been strengthened, even if many familiar names have been shown the door. Jans should certainly be able to usher in a new era for Heerenveen and a better season is expected.
Key arrivals: Youssef El-Akchaoui (NEC); Bas Dost (Heracles); Kevin Stuhr-Ellegaard (Randers)
Key departures: Kristian Bak Nielsen (FC Midtjylland); Michael Dingsdag (Sion); Paulo Henrique (Palmeiras); Goran Popov (Dynamo Kyiv); Gerald Sibon (Melbourne Heart)
Prediction: 6th
Key arrivals: Youssef El-Akchaoui (NEC); Bas Dost (Heracles); Kevin Stuhr-Ellegaard (Randers)
Key departures: Kristian Bak Nielsen (FC Midtjylland); Michael Dingsdag (Sion); Paulo Henrique (Palmeiras); Goran Popov (Dynamo Kyiv); Gerald Sibon (Melbourne Heart)
Prediction: 6th
Fc Utrecht
Last season was when Utrecht really rediscovered their ambition. After years of dull football and equally dull results, the Domestad club decided to gamble on a host of rising stars, like midfielder Nana Asare, number 10 Dries Mertens, defender Jan Wuytens and forwards Jacob Mulenga and Ricky van Wolfswinkel. Playing European football once again was Utrecht’s main aim and it was mission accomplished as they finished seventh and won the Europa League playoffs. All of the newcomers have become regulars and much will again be expected of them this season. For this reason the club have added just three new youngsters, all bought from Australian club Brisbane Roar. Utrecht’s board believe their team is once again good enough to go for a spot in Europe. They are probably right, especially if they can hold onto goalkeeper Michel Vorm.
Key arrivals: Tommy Oar (Brisbane Roar); Michael Zullo (Brisbane Roar); Adam Sarota (Brisbane Roar)
Key departures: Gregoor van Dijk (AEK Larnaca); Kevin Vandenbergh (released); Hans Somers (released); Gregory Schaken (released); Leroy George (NEC)
Prediction: 7th
Key arrivals: Tommy Oar (Brisbane Roar); Michael Zullo (Brisbane Roar); Adam Sarota (Brisbane Roar)
Key departures: Gregoor van Dijk (AEK Larnaca); Kevin Vandenbergh (released); Hans Somers (released); Gregory Schaken (released); Leroy George (NEC)
Prediction: 7th
Fc Groningen
With the departure of coach Ron Jans after eight seasons in charge – fifth spot in 2006 being his best – the time has come for Groningen to turn the page. Many of the players who enjoyed a vital role in the last campaign, keeping the club up, have now gone. In 2009, Groningen were a solid team that simply lacked a prolific goalscorer – they had lost Marcus Berg to Hamburger – and this was the main reason the Green and Whites could not make more of an impact in the Eredivisie. Will this problem be solved by forwards Tim Matavz, Nicklas Pedersen and newcomer Dusan Tandic? The jury is out, but if new coach Pieter Huistra can find a way to hit the back of the net on a more regular basis, then Groningen have the strength to claim a spot in Europe.
Key arrivals: Dusan Tadic (FK Vojvodina); Jonas Ivens (KV Mechelen); Maikel Kieftenbeld (Go Ahead Eagles)
Key departures: Sepp De Roover (Sporting Lokeren); Gibril Sankoh (Augsburg); Goran Lovre (Barnsley)
Prediction: 8th
Key arrivals: Dusan Tadic (FK Vojvodina); Jonas Ivens (KV Mechelen); Maikel Kieftenbeld (Go Ahead Eagles)
Key departures: Sepp De Roover (Sporting Lokeren); Gibril Sankoh (Augsburg); Goran Lovre (Barnsley)
Prediction: 8th
Nec Nijmegen
In 2008, coach Mario Been helped NEC from the drop zone to the UEFA Cup, even reaching the Round of 16, their best ever European result. Since Been left the club to take over at Feyenoord, NEC have again plummeted down the table. Their difficult financial situation has made strengthening the team hard and a comfortable mid-table finish must be the height of their ambitions. The most important boost the club can receive is the return of striker Bjorn Vleminckx to form after an impressive season was ended by injury in the last campaign. NEC could well benefit from the blossoming of 19-year-old forward Rick ten Voorde; the youngster has already been labelled "the little Van Basten".
Key arrivals: Remy Amieux (FC Eindhoven); Leroy George (FC Utrecht); Niki Zimling (Udinese – loan); Pavel Cmovc (Slavia Prague); Thomas Chatelle (Anderlecht – loan)
Key departures: Dominique Kiuvu (CFR Cluj); Rutger Worm (Melbourne Heart); Youssef El Akchaoui (Heerenveen)
Prediction: 9th
Key arrivals: Remy Amieux (FC Eindhoven); Leroy George (FC Utrecht); Niki Zimling (Udinese – loan); Pavel Cmovc (Slavia Prague); Thomas Chatelle (Anderlecht – loan)
Key departures: Dominique Kiuvu (CFR Cluj); Rutger Worm (Melbourne Heart); Youssef El Akchaoui (Heerenveen)
Prediction: 9th
Nac Breda
NAC will begin the new season on minus one point due to financial problems. However, a comfortable mid-table spot shouldn’t be too hard for the side to reach. During the summer NAC’s main mission was to reduce the number of players they had under contract and they have done just that; the squad size has been reduced from 31 to 2. Expectations are low in Breda and the third place the club achieved in 2008 seems like a miracle. It will be impossible to repeat such feats as the sell, sell, sell, philosophy appears to be the only way to survive. A good example of this must surely be Alexander Schalk. The 17-year-old was the youth team’s top scorer, but now he looks to be on his way to Scottish side Celtic, without having played even a single first team game.
Key arrivals: Kees Luyckx (AZ Alkmaar); Marvin van der Pluijm (Den Bosch); Jens Janse (Willem II)
Key departures: Kurt Elshot (released); Patrick Zwaanswijk (Central Coast Mariners); Edwin de Graaf (Hibernian); Enic Valles Prat (Birmingham City); Martjin Reuser (released)
Prediction: 10th
Key arrivals: Kees Luyckx (AZ Alkmaar); Marvin van der Pluijm (Den Bosch); Jens Janse (Willem II)
Key departures: Kurt Elshot (released); Patrick Zwaanswijk (Central Coast Mariners); Edwin de Graaf (Hibernian); Enic Valles Prat (Birmingham City); Martjin Reuser (released)
Prediction: 10th
Willem II
New players and new staff for a new Willem II; That’s the motto of the Tilburg club’s board after the disappointments of last season – a 17th place finish, the worst in the history of this club that carries the name of a Dutch king. De Tricolores avoided relegation only after beating Go Ahead Eagles in a relegation playoff and they will be keen to avoid a repeat. In the last ten years Willem II have gradually slid down the table from being a solid mid-table outfit to relegation battlers. Despite a poor financial situation meaning the club cannot splash out, some handy free transfers have brought some hope. Over eight players have arrived and veteran striker Frank Demouge said: "It’s like playing at a new club." This small revolution may well be enough to keep one of the oldest clubs in Dutch football safe and well in the Eredivisie.
Key arrivals: Juha Hakola (Heracles); Veli Lamp (FC Zurich); Evgeniy Levchenko (Saturn); Rowin van Saanen (Volendam); Pawel Wojciechowski (Heerenvee); Niek Vossebelt (Zwolle); Andreas Lasnik (Alemannia Aachen); Giovanni Gravenbeek (Vitesse); Harmen Kuperus (free)
Key departures: Jens Janse (NAC Breda); Mehmet Akgun (Genclerbirligi); Boy Deul (Bayern Munich II); Maikel Aerts (Hertha Berling); Christophe Gregoire (released); Said Boutahar (released); Ronnie Reniers (Den Bosch); Sergio Zijler (released)
Prediction: 11th
Key arrivals: Juha Hakola (Heracles); Veli Lamp (FC Zurich); Evgeniy Levchenko (Saturn); Rowin van Saanen (Volendam); Pawel Wojciechowski (Heerenvee); Niek Vossebelt (Zwolle); Andreas Lasnik (Alemannia Aachen); Giovanni Gravenbeek (Vitesse); Harmen Kuperus (free)
Key departures: Jens Janse (NAC Breda); Mehmet Akgun (Genclerbirligi); Boy Deul (Bayern Munich II); Maikel Aerts (Hertha Berling); Christophe Gregoire (released); Said Boutahar (released); Ronnie Reniers (Den Bosch); Sergio Zijler (released)
Prediction: 11th
Roda Kerkrade
Should a region have three of four small clubs with their own identity but few chances to win anything, or a big one to hoover up all the local talent and really make an impact? That’s the question currently facing Limburg. Since the middle of the 1990s, Roda, the area’s main club, have been in discussions with neighbours Fortuna Sittard, MVV Maastricht and VVV-Venlo, about joining forces to create a new super club. Both MVV and VVV are fierce opponents, along with a majority of supporters. One year ago however, both Roda and Fortuna published a statement of their intent to create Sporting Limburg. Nothing has happened yet and Roda are ready for another anonymous mid-table Eredivisie outing, looking after their finances more than their squad. The real hope is that Danish forward Mads Junker can find the net 21 times, as he did last season.
Key arrivals: Jimmy Hempte (KV Kortrijk); Eelco Horsten (Jong PSV); Mateusz Prus (Zaglebie Sosnowiec)
Key departures: Bram Castro (released); Kris de Wree (Lierse); Marcel de Jong (Augsburg); Jan-Paul Saeijs (De Graafschap)
Prediction: 12th
Key arrivals: Jimmy Hempte (KV Kortrijk); Eelco Horsten (Jong PSV); Mateusz Prus (Zaglebie Sosnowiec)
Key departures: Bram Castro (released); Kris de Wree (Lierse); Marcel de Jong (Augsburg); Jan-Paul Saeijs (De Graafschap)
Prediction: 12th
Heracles Almelo
Impossible appears to be nothing for little Heracles Almelo. Since the Heraclieden were promoted to the top flight in 2005 they have been prime candidates for relegation every time. Year after year however, they retain their top flight status, despite a low budget and a team without stars. Last season under Gertjan Verbeek, Heracles finished sixth, going very close to grabbing a European spot. Miracle man Verbeek was rewarded with the reigns at AZ Alkmaar, leaving the bench for Peter Bosz. Heracles have seen top scorer Bas Dost leave the club and the black and white fans hope 18-year-old Swedish forward Samuel Armenteros will be good enough to replace him. The secret of the side’s success though is their never-say-die attitude and hard work. They will give themselves every chance of defying the odds once again.
Key arrivals: Glynor Plet (Telstar); Ben Rienstra (Jong AZ); Xander Houtkoop (Heerenveen)
Key departures: Martin Pieckenhagen (retired); Andrew Ornoch (released); Bas Dost (Heerenveen); Vojtech Schulmeister (released)
Prediction: 13th
Key arrivals: Glynor Plet (Telstar); Ben Rienstra (Jong AZ); Xander Houtkoop (Heerenveen)
Key departures: Martin Pieckenhagen (retired); Andrew Ornoch (released); Bas Dost (Heerenveen); Vojtech Schulmeister (released)
Prediction: 13th
sabato 7 agosto 2010
Excelsior Rotterdam
Excelsior
Feyenoord’s satellite club Excelsior could be considered an under-21 team that play senior football. Last season, in the club’s promotion/relegation playoff against Sparta Rotterdam, the side’s oldest player was just 26. Led by the 44-year-old Alex Pastoor, the Rotterdam club gained promotion with a squad that included five players born in 1988, four in 1989, four in 1990 and three in 1991. Most of these were on loan from the Feyenoord youth team, so they headed back at the end of the season. A new group of young promising players can help Excelsior to survive in the Eredivise, while some veterans have been added to bring much needed experience. One to watch out for could be 19-year-old forward Roland Bergkamp, former Arsenal star Dennis Bergkamp’s second cousin.
Key arrivals: Cees Paauwe (FC Twente); Wouter Gudde (RKC Waalwijk); Tim Vincken (Feyenoord)
Key departures: Arjan van Dijk (RKC Waalwijk); Ard van Peppen (RKC Waalwijk) Kamohelo Mokotjo (Feyenoord); Vojtech Machek (Helmond Sport); Michal Janota (Feyenoord); Kermit Erasmus (Feyenoord)
Prediction: 14th
Feyenoord’s satellite club Excelsior could be considered an under-21 team that play senior football. Last season, in the club’s promotion/relegation playoff against Sparta Rotterdam, the side’s oldest player was just 26. Led by the 44-year-old Alex Pastoor, the Rotterdam club gained promotion with a squad that included five players born in 1988, four in 1989, four in 1990 and three in 1991. Most of these were on loan from the Feyenoord youth team, so they headed back at the end of the season. A new group of young promising players can help Excelsior to survive in the Eredivise, while some veterans have been added to bring much needed experience. One to watch out for could be 19-year-old forward Roland Bergkamp, former Arsenal star Dennis Bergkamp’s second cousin.
Key arrivals: Cees Paauwe (FC Twente); Wouter Gudde (RKC Waalwijk); Tim Vincken (Feyenoord)
Key departures: Arjan van Dijk (RKC Waalwijk); Ard van Peppen (RKC Waalwijk) Kamohelo Mokotjo (Feyenoord); Vojtech Machek (Helmond Sport); Michal Janota (Feyenoord); Kermit Erasmus (Feyenoord)
Prediction: 14th
De Graafschap
Along with Volendam, De Graafschap are the yo-yo club of Dutch football; From the Eerste Divisie to the Eredivisie and back again, it’s the same old story almost every year. Last season the Superboeren (Superfarmers) were far and away the finest Eerste Divisie team, however the top flight is a world apart. The most important news for De Graafschap came from the board, as a new chairman was appointed, Miss Sietze Veen. She is the first woman president in the history of the Eredivisie. "We need more quality in our squad", said Veen, "because strength and pace are not enough to avoid relegation." The club have added to the squad relatively well this summer, with goalkeeper Boy Waterman and centre back Jan-Paul Saeijs bringing much needed experience. Up front, Rydell Poepon and Hugo Bargas (16 goals in the Eerste Divisie last season) could grab the goals De Graafschap need to survive.
Key arrivals: Boy Waterman (AZ); Rydell Poepon (Sparta Rotterdam); Jan-Paul Saeijs (Roda JC)
Key departures: Joep van den Ouweland (Go Ahead Eagles); Martijn Meerdink (retired); John van Beuking (loan return); Berry Powel (loan return)
Prediction: 15th
Key arrivals: Boy Waterman (AZ); Rydell Poepon (Sparta Rotterdam); Jan-Paul Saeijs (Roda JC)
Key departures: Joep van den Ouweland (Go Ahead Eagles); Martijn Meerdink (retired); John van Beuking (loan return); Berry Powel (loan return)
Prediction: 15th
Psv Eindhoven
Last season PSV were firmly in the title race until March and then their performance quickly dropped. Coach Fred Rutten did a good job, giving the team a breath of fresh air and energy. Under Rutten players like Balazs Dzsudzsak, Carlos Salcido and Ibrahim Afellay all began to show their true quality and quickly became targets for Europe’s bigger clubs. While they remain at the Philips Stadion for now, the chances are that soon they will be taken away from PSV’s clutches. The Dutch giants are set though, on winning the title, with or without their stars. New faces have been brought in and they, along with established performers like Ola Toivonen, Danny Koevermans, Otman Bakkal and Orlando Engelaar should make for a formidable team. Perhaps Rutten’s biggest challenge will be finding the right combination for his starting eleven. If he succeeds, PSV will be big favourites to win the Eredivisie.
Key arrivals: Marcelo (Wisla Krakow); Jeremain Lens (AZ Alkmaar); Atiba Hutchinson (FC Copenhagen); Marcus Berg (Hamburg – loan)
Key departures: Timmy Simons (Nurnberg); Andy van der Meyde (released); Andre Ooijer (AEK Larnaca); Dirk Marcellis (AZ Alkmaar)
Prediction: 1st
Key arrivals: Marcelo (Wisla Krakow); Jeremain Lens (AZ Alkmaar); Atiba Hutchinson (FC Copenhagen); Marcus Berg (Hamburg – loan)
Key departures: Timmy Simons (Nurnberg); Andy van der Meyde (released); Andre Ooijer (AEK Larnaca); Dirk Marcellis (AZ Alkmaar)
Prediction: 1st
Vitesse
The second oldest club in all Holland, after Sparta Rotterdam, Vitesse begin the new season with much uncertainty hanging over them. Their poor financial situation forced the club to sell five first team players and only youngsters have arrived. Coach Theo Bos spoke honestly when he said "with the current squad, we can’t survive in the Eredivisie". FC Hollywood on the Rhine – as Vitesse were labelled ten years ago when they regularly finished in the top five and featured in the UEFA Cup – don’t look to have a season of anything but struggle ahead.
Key arrivals: None
Key departures: Paul Verhaegh (Augsburg); Claudemir (FC Copenhagen); Santi Kolk (Union Berlin); Onur Kaya (Charleroi); Nicky Hofs (AEL Limassol); Mads Junker (Roda JC)
Prediction: 16th
Key arrivals: None
Key departures: Paul Verhaegh (Augsburg); Claudemir (FC Copenhagen); Santi Kolk (Union Berlin); Onur Kaya (Charleroi); Nicky Hofs (AEL Limassol); Mads Junker (Roda JC)
Prediction: 16th
Ajax Amsterdam
Ajax
Ajax have not won the Eredivisie since 2004 and in the meantime coach after coach exited the Amsterdam ArenA, many expensive foreign imports have flopped, a new chairman has been appointed and the Champions League group stages have regularly been missed. In the last two seasons however, the dawning of a new era of talented youngsters seems to have arrived, led by stars like Gregory van der Wiel, Siem de Jong, Toby Alderwiereld and Christian Eriksen. Last season these young stars were mixed in well by coach Martin Jol with established performers like Luis Suarez and Martin Steklenburg. Ajax finished last season just one point behind FC Twente, despite an excellent second half of the season. Jol knows that this time Ajax need to hit the ground running and with a squad undoubtedly stronger than last season, the coach simply cannot fail.
Key arrivals: Mounir El Hamadaoui (AZ Alkmaar); Daniel de Ridder (Wigan); Daley Blind (loan return); Darko Bodul (loan return)
Key departures: Marko Pantelic (released); Gabri (Umm-Salal); Dennis Rommedahl (Olympiacos); George Ogararu (FC Sion); Kerlon (Inter – loan return); Kennedy Bakircioglu (Racing Santander)
Prediction: 2nd
Ajax have not won the Eredivisie since 2004 and in the meantime coach after coach exited the Amsterdam ArenA, many expensive foreign imports have flopped, a new chairman has been appointed and the Champions League group stages have regularly been missed. In the last two seasons however, the dawning of a new era of talented youngsters seems to have arrived, led by stars like Gregory van der Wiel, Siem de Jong, Toby Alderwiereld and Christian Eriksen. Last season these young stars were mixed in well by coach Martin Jol with established performers like Luis Suarez and Martin Steklenburg. Ajax finished last season just one point behind FC Twente, despite an excellent second half of the season. Jol knows that this time Ajax need to hit the ground running and with a squad undoubtedly stronger than last season, the coach simply cannot fail.
Key arrivals: Mounir El Hamadaoui (AZ Alkmaar); Daniel de Ridder (Wigan); Daley Blind (loan return); Darko Bodul (loan return)
Key departures: Marko Pantelic (released); Gabri (Umm-Salal); Dennis Rommedahl (Olympiacos); George Ogararu (FC Sion); Kerlon (Inter – loan return); Kennedy Bakircioglu (Racing Santander)
Prediction: 2nd
Vvv Venlo
Attacking and beautiful football made VVV one of the most entertaining teams to watch in last season’s Eredivisie. Having won the Eerste Divisie the season before, coach Jan van Dijk continued his attacking mentality in the top flight, not afraid to take on even the big boys. Van Dijk regularly played an attacking midfielder – first Japan star Keisuke Honda and then Gonzalo Garcia – behind three strikers. Despite several important departures, chairman Hai Berden has declared that VVV are ready to surprise the Eredivisie once again. VVV’s new bets for stardom, following in Honda’s footsteps, are Nigerian striker Michael Uchebo, Japanese defender Maya Yoshida and forward Ruud Boymans. Their performances will be key to VVV’s fate.
Key arrivals: Ahmed Musa (Kano Pillars); Brian Linssen (MVV); Josue (FC Porto – loan); Jorge Chula (FC Porto – loan); Balasz Toth (Genk – loan)
Key departures: Ruben Schaken (Feyenoord); Sandro Calabro (St. Gallen); Adil Auassar (Feyenoord); Kevin van Dessel (APOP Kinyras)
Prediction: 17th
Key arrivals: Ahmed Musa (Kano Pillars); Brian Linssen (MVV); Josue (FC Porto – loan); Jorge Chula (FC Porto – loan); Balasz Toth (Genk – loan)
Key departures: Ruben Schaken (Feyenoord); Sandro Calabro (St. Gallen); Adil Auassar (Feyenoord); Kevin van Dessel (APOP Kinyras)
Prediction: 17th
Ado Den Haag
Hooliganism, dressing room bust-ups, supporters’ racist abuse, mutinous players and a sponsor withdrawing. If it’s a quiet normal life a footballer is looking for then they’d better refuse any offer from ADO Den Haag. "I could write a book about my experiences here", said defender Danny Buijs. ADO have hit the headlines for all the wrong reasons and, despite being considered a sleeping giant of the Dutch game, have never got further than repeated relegation battles. This year should be no different again and talented youngsters like Jens Toornstra and Lex Immers won’t be enough to help what is a poor quality squad. Forwards Bogdan Milic, Fabio Caracciolo, Andres Oper and Berry Powel have all left and newcomers Frantisek Kubik and Dmitry Bulykin don’t appear a vast improvement. Another season of blood, sweat and tears awaits.
Key arrivals: Frantisek Kubik (Trencin); Dmitry Bulykin (Anderlecht)
Key departures: Bogdan Milic (Krylia Sovetov); Richard Knopper (released); Karim Soltani (Iraklis); Andres Oper (released); Berry Powel (released); Fabio Caracciolo (Fortuna Sittard)
Prediction: 18th
Key arrivals: Frantisek Kubik (Trencin); Dmitry Bulykin (Anderlecht)
Key departures: Bogdan Milic (Krylia Sovetov); Richard Knopper (released); Karim Soltani (Iraklis); Andres Oper (released); Berry Powel (released); Fabio Caracciolo (Fortuna Sittard)
Prediction: 18th
Riparte la Eredivisie
Con l'anticipo tra Roda Kerkrade e Twente terminato 0-0 è ufficialmente iniziata la nuova stagione di quello che rimane, a nostro giudizio, il campionato piu' affascinante del mondo. Il quale purtroppo, notizia dell'ultima ora, non verrà più trasmesso da Sportitalia, fino a ieri il nostro canale preferito.
Nei prossimi giorni pubblicheremo le brevi presentazioni, squadra per squadra, che abbiamo scritto per il web-magazine inglese Inside Futbol.
Buona lettura.
giovedì 5 agosto 2010
Neri di rabbia
L’utilizzo della nazionale di calcio quale strumento di propaganda di un regime è una storia vecchia quanto il pallone stesso. Dall’Italia di Mussolini nel mondiale del 1934 alla Germania di Hitler quattro anni più tardi, dalla DDR nel 1974 sul suolo “nemico” dei vicini dell’Ovest fino alla madre di tutte le farse calcistiche, la coppa del mondo 1978 nell’Argentina della Junta Militar. Anche la storia della prima compagine dell’Africa subsahariana presente alla fase finale di un mondiale, lo Zaire nel 1974, non può che partire da questa letale commistione tra sport e dittatura. In questo caso, dall’efferato Joseph-Désiré Mobutu, maresciallo-presidente dello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, dal 1965 al 1997.
In quello sterminato crogiuolo di mondi e culture definito per comodità Africa, la prima nazionale ad affacciarsi sul palcoscenico mondiale fu l’Egitto nel 1934, seguito dal Marocco nel 1970; compagini entrambe appartenenti alla macro-regione del Nordafrica. Nel 1974 arriva invece il turno di una squadra proveniente da quella che una volta veniva definita, piuttosto impropriamente, Africa nera. La qualificazione dello Zaire è però tutt’altro che una sorpresa, dal momento che sin dalla fine degli anni Sessanta l’ex colonia belga si era imposta quale una delle potenze calcistiche del continente, vincendo due Coppe d’Africa (nel 1968, alla prima partecipazione in assoluto, e nel 1974) e dominando nelle competizioni continentali per club (tre Coppe Campioni africane vinte tra il ’67 e il ’73). Informazioni che nemmeno giunsero in Germania al momento dello sbarco dei giocatori, vittime designate di ironie e pregiudizi. Nulla comunque a confronto di ciò che sarebbe successo loro se fossero tornati in patria senza aver difeso “l’orgoglio e la dignità del paese”, come chiesto espressamente dal presidente Mobutu.
Una volta instauratosi al potere, grazie al sostanzioso contributo offerto dagli Stati Uniti, Mobutu aveva inaugurato una radicale politica di “africanizzazione” del paese. I cittadini furono obbligati ad adottare nomi africani, negli uffici pubblici vennero imposti abiti tradizionali, le città furono rinominate (Leopoldville, ad esempio, divenne Kinshasa). Lo stesso Mobutu cambiò il proprio nome in Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga, ovvero “Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che alcuno possa fermarlo”. Ai giocatori della nazionale in partenza per l’Europa non chiese però vittorie, bensì dignità. Promise loro un auto e una casa. L’importante era non coprire di ridicolo il paese. Cioè lui. Il quale ovviamente, in pieno delirio di onnipotenza, era convinto di non aver bisogno di un allenatore per guidare la nazionale del suo paese. Purtroppo però c’erano dei regolamenti da rispettare.
I rapporti tra Mobutu e il ct dello Zaire, lo slavo Blagoje Vidinic, non erano mai stati facili. In Germania Ovest peggiorano ulteriormente, nonostante il debutto dei Leopardi, schierati con un aggressivo 4-2-4, si conclude con una onorevole sconfitta per 2-0 a Dortmund contro la Scozia. Ma per il guerriero abituato solo alla vittoria tutto ciò non è sufficiente. Immediata la decisione: niente stipendi e niente premi. Lo spogliatoio non ci sta, i giocatori si dichiarano pronti a scioperare. Nel 2004 alla BBC il terzino destro della squadra Mwepu Ilunga ricorda così la fine di un sogno. “Prima di partire per il mondiale, Mobutu per noi era come un padre. Credevamo alle sue parole. Al termine della partita d’esordio lasciammo lo stadio in BMW. Pensavamo tutti che saremmo tornati a casa milionari. Invece non vedemmo il becco di un quattrino. Io sono finito a vivere in miseria”.
Ore di trattative convincono i giocatori dello Zaire a scendere nel secondo match, in programma contro la Jugoslavia. Qualcosa però si è rotto. Dopo tredici minuti sono già sotto di 3 reti. Vidinic sostituisce immediatamente Muamba Kazadi, il portiere dei Leopardi, che lascia il campo in lacrime. Al suo posto Tubilandu, costretto in poco più di un’ora a raccogliere altri sei palloni in fondo al sacco. Jugoslavia-Zaire 9-0 eguaglia il primato della peggior sconfitta in un mondiale. La bufera vera e propria si scatena però quando Mobutu irrompe negli spogliatoi affiancato dalle sue guardie personali. Vidinic viene accusato di aver spifferato le tattiche della squadra ai suoi connazionali slavi. I giocatori vengono minacciati. Inequivocabile il messaggio: “Perdete 4-0, o peggio, contro il Brasile e nessuno di voi tornerà più a casa”.
Lo stato d’animo con il quale i Leopardi scendono in campo il 22 giugno a Gelsenkirchen per affrontare i campioni del mondo in carica del Brasile è facilmente immaginabile. Il divario abissale tra le due compagini promette una partita a senso unico. Come puntualmente si avvera, anche se il Brasile non spinge sull’acceleratore. Tre reti (a zero) e pratica chiusa. Eppure proprio questo incontro così privo di appeal è destinato a passare alla storia. Accade durante un calcio punizione fischiato al Brasile. Sono tre i giocatori verdeoro sulla palla. Prima del fischio dell’arbitro però dalla barriera dello Zaire si stacca Ilunga, che colpisce con forza il pallone e poi allarga le braccia con espressione innocente. “Cosa ho fatto di male?”, sembra chiedere con espressione innocente all’arbitro che gli sta sventolando davanti un cartellino giallo. Nel 2004 il suo exploit si classificherà al 17esimo posto nella classifica riguardante i “100 migliori momenti della coppa del mondo”, stilata dall’emittente inglese Channel 4.
Per anni il gesto di Ilunga è stato oggetto di scherno, in quanto percepito come il simbolo di un calcio africano considerato infantile e approssimativo, che si presentava ai mondiali con giocatori i quali nemmeno conoscevano il regolamento. Difficile però che l’allora 25enne Mwepu Ilunga, terzino del TP Englebert (oggi TP Mazembe), una delle squadre più forti dell’intero continente (nel 1967 centrò addirittura un treble di mourinhiana memoria vincendo campionato, coppa nazionale e Coppa Campioni), nonché successivamente inserito nella top-11 africana più forte di tutti i tempi, ignorasse le regole di base del calcio. Il suo fu un piccolo atto di ribellione. Contro chi derideva quei colored in maglia verde con righine gialle; contro i brasiliani che facevano accademia senza infierire, e nemmeno così i Leopardi riuscivano a combinare qualcosa di buono; ma soprattutto contro Mobutu, le sue promesse da marinaio, il clima intimidatorio che aveva creato all’interno della squadra, la frustrazione di vedere il sogno di una vita agiata sgretolarsi in pochi giorni sotto il peso della menzogna e della prevaricazione. Ilunga gridò il suo “basta!” in mondovisione.
Nel 1997 Mobutu è fuggito in Marocco trovando riparo nel presidio militare di Rabat, dove poco dopo è deceduto per un cancro alla prostata. Lasciava uno Zaire al collasso economico, in conflitto con i paesi vicini ed in guerra civile al proprio interno. Ogni tanto qualcuno si ricorda di Mwepu Ilunga. “Ero orgoglioso di rappresentare l’Africa nera ad un mondiale, e lo sono tuttora”. Nessun cenno invece al gesto che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Non serve. Chi doveva (e voleva) capire, ha capito.
Fonte: Guerin Sportivo
In quello sterminato crogiuolo di mondi e culture definito per comodità Africa, la prima nazionale ad affacciarsi sul palcoscenico mondiale fu l’Egitto nel 1934, seguito dal Marocco nel 1970; compagini entrambe appartenenti alla macro-regione del Nordafrica. Nel 1974 arriva invece il turno di una squadra proveniente da quella che una volta veniva definita, piuttosto impropriamente, Africa nera. La qualificazione dello Zaire è però tutt’altro che una sorpresa, dal momento che sin dalla fine degli anni Sessanta l’ex colonia belga si era imposta quale una delle potenze calcistiche del continente, vincendo due Coppe d’Africa (nel 1968, alla prima partecipazione in assoluto, e nel 1974) e dominando nelle competizioni continentali per club (tre Coppe Campioni africane vinte tra il ’67 e il ’73). Informazioni che nemmeno giunsero in Germania al momento dello sbarco dei giocatori, vittime designate di ironie e pregiudizi. Nulla comunque a confronto di ciò che sarebbe successo loro se fossero tornati in patria senza aver difeso “l’orgoglio e la dignità del paese”, come chiesto espressamente dal presidente Mobutu.
Una volta instauratosi al potere, grazie al sostanzioso contributo offerto dagli Stati Uniti, Mobutu aveva inaugurato una radicale politica di “africanizzazione” del paese. I cittadini furono obbligati ad adottare nomi africani, negli uffici pubblici vennero imposti abiti tradizionali, le città furono rinominate (Leopoldville, ad esempio, divenne Kinshasa). Lo stesso Mobutu cambiò il proprio nome in Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga, ovvero “Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che alcuno possa fermarlo”. Ai giocatori della nazionale in partenza per l’Europa non chiese però vittorie, bensì dignità. Promise loro un auto e una casa. L’importante era non coprire di ridicolo il paese. Cioè lui. Il quale ovviamente, in pieno delirio di onnipotenza, era convinto di non aver bisogno di un allenatore per guidare la nazionale del suo paese. Purtroppo però c’erano dei regolamenti da rispettare.
I rapporti tra Mobutu e il ct dello Zaire, lo slavo Blagoje Vidinic, non erano mai stati facili. In Germania Ovest peggiorano ulteriormente, nonostante il debutto dei Leopardi, schierati con un aggressivo 4-2-4, si conclude con una onorevole sconfitta per 2-0 a Dortmund contro la Scozia. Ma per il guerriero abituato solo alla vittoria tutto ciò non è sufficiente. Immediata la decisione: niente stipendi e niente premi. Lo spogliatoio non ci sta, i giocatori si dichiarano pronti a scioperare. Nel 2004 alla BBC il terzino destro della squadra Mwepu Ilunga ricorda così la fine di un sogno. “Prima di partire per il mondiale, Mobutu per noi era come un padre. Credevamo alle sue parole. Al termine della partita d’esordio lasciammo lo stadio in BMW. Pensavamo tutti che saremmo tornati a casa milionari. Invece non vedemmo il becco di un quattrino. Io sono finito a vivere in miseria”.
Ore di trattative convincono i giocatori dello Zaire a scendere nel secondo match, in programma contro la Jugoslavia. Qualcosa però si è rotto. Dopo tredici minuti sono già sotto di 3 reti. Vidinic sostituisce immediatamente Muamba Kazadi, il portiere dei Leopardi, che lascia il campo in lacrime. Al suo posto Tubilandu, costretto in poco più di un’ora a raccogliere altri sei palloni in fondo al sacco. Jugoslavia-Zaire 9-0 eguaglia il primato della peggior sconfitta in un mondiale. La bufera vera e propria si scatena però quando Mobutu irrompe negli spogliatoi affiancato dalle sue guardie personali. Vidinic viene accusato di aver spifferato le tattiche della squadra ai suoi connazionali slavi. I giocatori vengono minacciati. Inequivocabile il messaggio: “Perdete 4-0, o peggio, contro il Brasile e nessuno di voi tornerà più a casa”.
Lo stato d’animo con il quale i Leopardi scendono in campo il 22 giugno a Gelsenkirchen per affrontare i campioni del mondo in carica del Brasile è facilmente immaginabile. Il divario abissale tra le due compagini promette una partita a senso unico. Come puntualmente si avvera, anche se il Brasile non spinge sull’acceleratore. Tre reti (a zero) e pratica chiusa. Eppure proprio questo incontro così privo di appeal è destinato a passare alla storia. Accade durante un calcio punizione fischiato al Brasile. Sono tre i giocatori verdeoro sulla palla. Prima del fischio dell’arbitro però dalla barriera dello Zaire si stacca Ilunga, che colpisce con forza il pallone e poi allarga le braccia con espressione innocente. “Cosa ho fatto di male?”, sembra chiedere con espressione innocente all’arbitro che gli sta sventolando davanti un cartellino giallo. Nel 2004 il suo exploit si classificherà al 17esimo posto nella classifica riguardante i “100 migliori momenti della coppa del mondo”, stilata dall’emittente inglese Channel 4.
Per anni il gesto di Ilunga è stato oggetto di scherno, in quanto percepito come il simbolo di un calcio africano considerato infantile e approssimativo, che si presentava ai mondiali con giocatori i quali nemmeno conoscevano il regolamento. Difficile però che l’allora 25enne Mwepu Ilunga, terzino del TP Englebert (oggi TP Mazembe), una delle squadre più forti dell’intero continente (nel 1967 centrò addirittura un treble di mourinhiana memoria vincendo campionato, coppa nazionale e Coppa Campioni), nonché successivamente inserito nella top-11 africana più forte di tutti i tempi, ignorasse le regole di base del calcio. Il suo fu un piccolo atto di ribellione. Contro chi derideva quei colored in maglia verde con righine gialle; contro i brasiliani che facevano accademia senza infierire, e nemmeno così i Leopardi riuscivano a combinare qualcosa di buono; ma soprattutto contro Mobutu, le sue promesse da marinaio, il clima intimidatorio che aveva creato all’interno della squadra, la frustrazione di vedere il sogno di una vita agiata sgretolarsi in pochi giorni sotto il peso della menzogna e della prevaricazione. Ilunga gridò il suo “basta!” in mondovisione.
Nel 1997 Mobutu è fuggito in Marocco trovando riparo nel presidio militare di Rabat, dove poco dopo è deceduto per un cancro alla prostata. Lasciava uno Zaire al collasso economico, in conflitto con i paesi vicini ed in guerra civile al proprio interno. Ogni tanto qualcuno si ricorda di Mwepu Ilunga. “Ero orgoglioso di rappresentare l’Africa nera ad un mondiale, e lo sono tuttora”. Nessun cenno invece al gesto che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Non serve. Chi doveva (e voleva) capire, ha capito.
Fonte: Guerin Sportivo
domenica 1 agosto 2010
La storia di Wesley Sneijder
E’ una linea sottile quella che separa il grande giocatore dal campione. Una linea che Wesley Sneijder ha varcato lo scorso 22 maggio a Madrid quando un suo assist, il 15esimo stagionale, ha mandato in gol Diego Milito per l’1-0 dell’Inter sul Bayern Monaco. L’atto conclusivo di una tripletta che resterà negli annali, e alla quale l’olandese ha partecipato in maniera decisiva. Il talento funzionale ai successi della squadra. A Milano Sneijder ha trovato ciò che gli mancava per diventare un top player: un allenatore del calibro di Josè Mourinho. Il tecnico portoghese ha sfruttato al meglio l’atipicità di Sneijder nell’interpretare il ruolo di trequartista. Il nazionale oranje ricama, inventa e finalizza come un classico numero 10, ma nel contempo sa essere determinante anche in fase di non possesso, quando bisogna sporcarsi le mani nel lavoro di copertura. Perché malgrado il 4-2-1-3, modulo sulla carta aggressivo e votato all’attacco, il principale punto di forza dell’Inter è sempre stato quello di non far giocare l’avversario. Lo dimostrano i numeri della Champions: Inter 11esima come media-reti per partita, 17esima riguardo ai tiri in porta, 19esima come possesso palla. Contro il muro di cemento armato eretto dai nerazzurri si sono fermati i campioni d’Inghilterra (Chelsea), di Spagna (Barcellona) e di Germania (Bayern Monaco). Qualità insomma, ma anche quantità. Proprio come Sneijder, play-maker con la grinta da mediano. Questa è la sua storia.
Sistema DOS
DOS significa Door Oefeningen Sterk, ovvero forte attraverso l’allenamento. Il DOS era una delle squadre delle città di Utrecht, e l’unica ad averle regalato un titolo nazionale olandese. Accadeva nel 1958. Dodici anni dopo è arrivata la fusione con Elinkwijk e Velox, altre due squadre cittadine, per dar vita all’Fc Utrecht. Il DOS è però rimasto attivo con una sezione amatoriale, nella cui si sede si presenta, nell’estate del 1989, un bambino di nome Wesley Sneijder. E’ nato il 9 giugno 1984 ad Utrecht da Barry Sneijder e Sylvia Thiele, e abita ad Ondiep, distretto operaio nella zona nord-occidentale di Utrecht. Il piccolo adora Romario, che all’epoca spopola in Olanda con la maglia del Psv Eindhoven, e in campo non perde occasione per imitarne i movimenti, specialmente quel doppio passo che si conclude con un tunnel ai danni dell’avversario. Una volta intuite le qualità del figlio, è proprio Barry Sneijder, ex calciatore dilettante (DOS e Odin le sue squadre), a contattare l’Ajax, nelle cui giovanili milita già il primogenito Jeffrey. L’occasione propizia sono i Talentendagen, i provini di selezione organizzati dal club di Amsterdam. “Ogni volta che ne terminava uno”, ricorda Sneijder, “ti comunicavano se avessi dovuto ripresentarti a quello successivo. Ero sempre nervoso durante questi test, ma solo fino al momento di entrare in campo. Alla fine arrivò la grande notizia, sotto forma di una lettera firmata dall’allora direttore tecnico Louis van Gaal: ero stato selezionato. Ricordo ancora la data della missiva: 1 maggio 1992”.
Accademia Ajax
Nell’Ajax tutte le squadre giocano con lo stesso modulo, il 4-3-3 (in passato predominava il 3-4-3, oggi utilizzato sporadicamente), e vengono adottati gli stessi criteri valutativi ad ogni livello. Il metodo viene chiamato TIPS, acronimo di Techniek, Inzicht, Persoonlijkheid e Snelheid, ovvero Tecnica, Visione di gioco, Personalità e Velocità. Il primo allenatore di Sneijder si chiama Patrick Landru, insegnante di attività sportiva presso l’accademia di polizia di Amsterdam. “Da Landru ho imparato molto”, ricorda Sneijder. “Per prima cosa, ad usare il piede sinistro come il destro”. Uno degli strumenti di allenamento preferiti da Landru è il “soccerpal”, ovvero una palla chiusa in una rete la cui estremità poteva essere tenuta tra le mani oppure appesa ad un gancio sul muro. Uno strumento che permette una notevole varietà di esercizi, utile per affinare la tecnica e la sensibilità nel controllo di palla. Quando anni dopo in televisione compariranno le immagini Sneijder bambino mentre si allenava con il “soccerpal”, l’attrezzo diventerà un must per tutti i ragazzini olandesi aspiranti calciatori. L’altro allenatore fondamentale nella formazione calcistica di Sneijder è Jan Olde Riekerink, ex giocatore professionista che da fermo riesce a piazzare la palla sotto l’incrocio con la stessa facilità con la quale si beve un caffè. “Ogni allenamento con lui terminava con sessioni extra finalizzati al perfezionamento della mia capacità di calcio: lanci da trenta-quaranta metri, punizioni dal limite, conclusioni dalla distanza”.
La prima cosa bella
Nel giugno 2002 Wesley Sneijder viene eletto giocatore dell’anno del settore giovanile Ajax. Lo Jong Ajax era reduce da un’annata di alto profilo, nella quale aveva anche sfiorato uno storico risultato: diventare la prima compagine Primavera (in Italia diremmo così) a raggiungere la finale della coppa d’Olanda. Il sogno si era infranto in semifinale contro l’Utrecht di Dirk Kuijt, che aveva sconfitto i giovani ajacidi 3-2. Sneijder quel giorno non era in campo a causa di un problema muscolare. Per il suo allenatore, Danny Blind, i tempi però sono maturi perché il ragazzo si affacci in prima squadra. Ronald Koeman, l’allora tecnico dell’Ajax, lo convoca per la prima volta nell’autunno 2002. Novanta minuti seduto in panchina in casa dell’Excelsior Rotterdam. Ma Sneijder è ormai nel gruppo. Lo chiamano Mannetje, Ometto, per la sua stazza non propriamente gigantesca, che però non gli impedisce di sfoderare una grinta ed una determinazione da grande giocatore.
Un’ottima annata
“Sneijder rappresenta il perfetto mix tra qualità, quantità e costanza di rendimento, e a dispetto della giovane età gioca con la sapienza e la freddezza di un veterano”. Con queste parole Johan Cruijff consegna al giocatore il riconoscimento quale miglior talento olandese del 2003, che gli permetterà di aprire una Cruijff Court (una scuola calcio), come previsto dal regolamento del premio. Il 2003 è infatti l’anno della consacrazione per il ragazzo di Utrecht. I fatti, in rapida successione: esordio in Eredivisie il 6 febbraio a Tilburg in un Willem II-Ajax 0-6; debutto in Champions League il 26 febbraio all’Amsterdam ArenA in uno 0-0 tra Ajax e Arsenal (“giocai non più di due minuti, e fu il primo incontro in vita mia nel quale non toccai letteralmente palla”); primo gol in Eredivisie, segnato il 13 aprile a Breda contro il Nac (“vincemmo 3-0, io aprii le marcature con un tiro di destro su angolo di Andy van der Meyde”); debutto in nazionale il 30 aprile in Olanda-Portogallo 1-1; firma del suo primo contratto da professionista, un quinquennale, a fine stagione; prime reti “europee” con Ajax e Olanda, rispettivamente il 12 agosto (Sturm Graz-Ajax 1-1, preliminare di Champions) e l’11 ottobre (Olanda-Moldavia 5-0, qualificazioni a Euro2004). Infine le sue due partite più belle dell’anno: doppietta all’Heerenveen in Eredivisie (per la prima volta Sneijder viene nominato MVP), e soprattutto strepitosa prestazione nei play-off per l’Europeo contro la Scozia, sotterrata 6-0 dagli olandesi, con Sneijder autore di tre assist. Standing ovation per Wesley; a 19 anni ha disputato la partita perfetta. Qualche titolo di giornale: “Scozia sotterrata dal piccolo maestro” (Brabants Dagblad); “Sneijder-show: così si calcia un pallone” (De Gelderlander); “L’ometto di Utrecht è l’orgoglio dell’Olanda intera” (Algemeen Dagblad).
Amsterdamned
“Fuck you”. Nell’agosto del 2004 Sneijder “ringrazia” così Ronald Koeman dopo aver realizzato la rete del momentaneo pareggio nell’incontro valevole per il Johan Cruijff Schaal, la Supercoppa d’Olanda, contro l’Utrecht, persa 4-2. Un labiale ripreso da tutte le telecamere che aveva reso elettrico un ambiente già scosso dall’affare-Trabelsi (il tunisino era ricorso alle via legali contro il club) e dalla frattura nello spogliatoio tra i due galli nel pollaio Ibrahimovic-Van der Vaart. Dopo le lodi, per Sneijder è tempo delle prime critiche. La panchina mal digerita, qualche atteggiamento da bulletto, il soprannome “il nuovo pitbull” - omaggio a Edgar Davids – forse preso un po’ troppo sul serio, e soprattutto per il verso sbagliato. Il titolo nazionale conquistato qualche mese prima - il primo “scudetto” vinto da Sneijder - sembrava aver montato la testa a più di un giocatore. Le turbolenze interne rappresentano il preludio all’esonero di Koeman. Seguiranno Ruud Krol (ad interim), Danny Blind e poi Henk Ten Cate (“come Mourinho, Ten Cate è l’allenatore che più di tutti ha capito le mie qualità, e in base a quelle mi ha messo nella giusta posizione in campo, avanzando il mio raggio di azione”). Ma la Eredivisie non tornerà più ad Amsterdam. Sneijder decide di fare le valigie nel 2007, al termine della sua quinta stagione in maglia ajacide, la migliore. Libero di agire sulla trequarti dopo anni come interno sinistro in una mediana a tre, Wesley chiude con 18 reti in campionato, cifra record per un centrocampista in Eredivisie. Un altro primato lo stabilisce il Real Madrid, pagandolo 27 milioni di euro. Mai l’Ajax aveva incassato tanto per un proprio giocatore.
Toro loco
Madrid è il paradiso di ogni giocatore, ma può diventare anche l’inferno. In due stagioni Sneijder conosce entrambe le facce della medaglia. Una prima annata positiva, da mezzala sinistra o interditore davanti alla difesa; prime uscite fulminanti (il derby contro l’Atletico, la doppietta più assist nel 5-0 al Villareal) e un finale in leggero calando. Decisamente negativa per contro la stagione seguente, composta quasi esclusivamente da infortuni, prestazioni mediocri e problemi extra-calcistici. In quest’ultimo caso si tratta del divorzio dalla moglie Ramona Streekstra (la coppia ha un figlio, Jessy, nato nel settembre 2006). “A Madrid ho vissuto una bella esperienza ma ho anche buttato via un anno della mia carriera. Tanti infortuni e una condotta fuori dal campo non propriamente da atleta”. Eppure nel mezzo c’era stato il grande Europeo disputato con l’Olanda, un torneo nel quale Sneijder era risultato, assieme all’ex compagno nel vivaio Ajax Nigel de Jong, il migliore degli oranje. Tecnica, personalità e un pregevole gol all’Italia, votato miglior rete della manifestazione. Travolgente nel proprio girone, l’Olanda si ferma sul più bello, ai quarti di finale, imbrigliata dalla Russia di Guus Hiddink, che la sconfigge usando le sue stesse armi: il gioco.
La prova del nove
E’ una palla gonfia di rabbia e frustrazione quella scagliata da Wesley Sneijder il giorno di Ferragosto del 2009 in una delle porte dell’Anoeta di San Sebastian. Una sassata da 25 metri che chiude la pratica Real Sociedad, tappa spagnola nel fitto programma di amichevoli estive del nuovo Real Madrid “Galactico” di Florentino Perez. Una squadra nella quale per il play olandese non sembra esserci più posto. Nemmeno la disponibilità mostrata dal giocatore ad essere utilizzato in un ruolo non suo, quello di centrocampista centrale difensivo, contribuisce a mutare il clima di smobilitazione imminente per la nutrita colonia oranje della Casa Blanca. Ruud van Nistelrooy, Klaas-Jan Huntelaar, Rafael van der Vaart, Arjen Robben, Royston Drenthe e, appunto, Wesley Sneijder. Tutti sul mercato, per lasciare il posto alle nuove stelle. Tanto più che la Liga spagnola concede ad ogni club il possesso di solo 25 “fichas”, cartellini, mentre il Real è prossimo alle trenta. E allora sotto a chi tocca. La telenovela Sneijder si chiude il 26 agosto: contratto quinquennale con l’Inter da 4 milioni di euro a stagione, e 15 milioni versati nelle case degli spagnoli. L’olandese sbarca a Milano con la nuova compagna, Yolanthe Cabau van Kasbergen, attrice, modella e presentatrice. In breve tempo diventeranno la coppia più glamour d’Olanda, ricevendo anche qualche critica per l’eccessiva sovraesposizione mediatica. In campo però nessuno strascico. L’esordio con i fiocchi nel derby della Madonnina, terminato 4-0 per l’Inter, è il preludio ad una stagione indimenticabile. Dopo Faas Wilkes, Wim Jonk, Dennis Bergkamp, Aaron Winter, Clarence Seedorf, il fratello Chedric (solo nelle giovanili), Edgar Davids e Andy van der Meyde, Wesley Sneijder è il nono tulipano a vestire la maglia dell’Inter. Il migliore.
Fonte: Calcio 2000
Sistema DOS
DOS significa Door Oefeningen Sterk, ovvero forte attraverso l’allenamento. Il DOS era una delle squadre delle città di Utrecht, e l’unica ad averle regalato un titolo nazionale olandese. Accadeva nel 1958. Dodici anni dopo è arrivata la fusione con Elinkwijk e Velox, altre due squadre cittadine, per dar vita all’Fc Utrecht. Il DOS è però rimasto attivo con una sezione amatoriale, nella cui si sede si presenta, nell’estate del 1989, un bambino di nome Wesley Sneijder. E’ nato il 9 giugno 1984 ad Utrecht da Barry Sneijder e Sylvia Thiele, e abita ad Ondiep, distretto operaio nella zona nord-occidentale di Utrecht. Il piccolo adora Romario, che all’epoca spopola in Olanda con la maglia del Psv Eindhoven, e in campo non perde occasione per imitarne i movimenti, specialmente quel doppio passo che si conclude con un tunnel ai danni dell’avversario. Una volta intuite le qualità del figlio, è proprio Barry Sneijder, ex calciatore dilettante (DOS e Odin le sue squadre), a contattare l’Ajax, nelle cui giovanili milita già il primogenito Jeffrey. L’occasione propizia sono i Talentendagen, i provini di selezione organizzati dal club di Amsterdam. “Ogni volta che ne terminava uno”, ricorda Sneijder, “ti comunicavano se avessi dovuto ripresentarti a quello successivo. Ero sempre nervoso durante questi test, ma solo fino al momento di entrare in campo. Alla fine arrivò la grande notizia, sotto forma di una lettera firmata dall’allora direttore tecnico Louis van Gaal: ero stato selezionato. Ricordo ancora la data della missiva: 1 maggio 1992”.
Accademia Ajax
Nell’Ajax tutte le squadre giocano con lo stesso modulo, il 4-3-3 (in passato predominava il 3-4-3, oggi utilizzato sporadicamente), e vengono adottati gli stessi criteri valutativi ad ogni livello. Il metodo viene chiamato TIPS, acronimo di Techniek, Inzicht, Persoonlijkheid e Snelheid, ovvero Tecnica, Visione di gioco, Personalità e Velocità. Il primo allenatore di Sneijder si chiama Patrick Landru, insegnante di attività sportiva presso l’accademia di polizia di Amsterdam. “Da Landru ho imparato molto”, ricorda Sneijder. “Per prima cosa, ad usare il piede sinistro come il destro”. Uno degli strumenti di allenamento preferiti da Landru è il “soccerpal”, ovvero una palla chiusa in una rete la cui estremità poteva essere tenuta tra le mani oppure appesa ad un gancio sul muro. Uno strumento che permette una notevole varietà di esercizi, utile per affinare la tecnica e la sensibilità nel controllo di palla. Quando anni dopo in televisione compariranno le immagini Sneijder bambino mentre si allenava con il “soccerpal”, l’attrezzo diventerà un must per tutti i ragazzini olandesi aspiranti calciatori. L’altro allenatore fondamentale nella formazione calcistica di Sneijder è Jan Olde Riekerink, ex giocatore professionista che da fermo riesce a piazzare la palla sotto l’incrocio con la stessa facilità con la quale si beve un caffè. “Ogni allenamento con lui terminava con sessioni extra finalizzati al perfezionamento della mia capacità di calcio: lanci da trenta-quaranta metri, punizioni dal limite, conclusioni dalla distanza”.
La prima cosa bella
Nel giugno 2002 Wesley Sneijder viene eletto giocatore dell’anno del settore giovanile Ajax. Lo Jong Ajax era reduce da un’annata di alto profilo, nella quale aveva anche sfiorato uno storico risultato: diventare la prima compagine Primavera (in Italia diremmo così) a raggiungere la finale della coppa d’Olanda. Il sogno si era infranto in semifinale contro l’Utrecht di Dirk Kuijt, che aveva sconfitto i giovani ajacidi 3-2. Sneijder quel giorno non era in campo a causa di un problema muscolare. Per il suo allenatore, Danny Blind, i tempi però sono maturi perché il ragazzo si affacci in prima squadra. Ronald Koeman, l’allora tecnico dell’Ajax, lo convoca per la prima volta nell’autunno 2002. Novanta minuti seduto in panchina in casa dell’Excelsior Rotterdam. Ma Sneijder è ormai nel gruppo. Lo chiamano Mannetje, Ometto, per la sua stazza non propriamente gigantesca, che però non gli impedisce di sfoderare una grinta ed una determinazione da grande giocatore.
Un’ottima annata
“Sneijder rappresenta il perfetto mix tra qualità, quantità e costanza di rendimento, e a dispetto della giovane età gioca con la sapienza e la freddezza di un veterano”. Con queste parole Johan Cruijff consegna al giocatore il riconoscimento quale miglior talento olandese del 2003, che gli permetterà di aprire una Cruijff Court (una scuola calcio), come previsto dal regolamento del premio. Il 2003 è infatti l’anno della consacrazione per il ragazzo di Utrecht. I fatti, in rapida successione: esordio in Eredivisie il 6 febbraio a Tilburg in un Willem II-Ajax 0-6; debutto in Champions League il 26 febbraio all’Amsterdam ArenA in uno 0-0 tra Ajax e Arsenal (“giocai non più di due minuti, e fu il primo incontro in vita mia nel quale non toccai letteralmente palla”); primo gol in Eredivisie, segnato il 13 aprile a Breda contro il Nac (“vincemmo 3-0, io aprii le marcature con un tiro di destro su angolo di Andy van der Meyde”); debutto in nazionale il 30 aprile in Olanda-Portogallo 1-1; firma del suo primo contratto da professionista, un quinquennale, a fine stagione; prime reti “europee” con Ajax e Olanda, rispettivamente il 12 agosto (Sturm Graz-Ajax 1-1, preliminare di Champions) e l’11 ottobre (Olanda-Moldavia 5-0, qualificazioni a Euro2004). Infine le sue due partite più belle dell’anno: doppietta all’Heerenveen in Eredivisie (per la prima volta Sneijder viene nominato MVP), e soprattutto strepitosa prestazione nei play-off per l’Europeo contro la Scozia, sotterrata 6-0 dagli olandesi, con Sneijder autore di tre assist. Standing ovation per Wesley; a 19 anni ha disputato la partita perfetta. Qualche titolo di giornale: “Scozia sotterrata dal piccolo maestro” (Brabants Dagblad); “Sneijder-show: così si calcia un pallone” (De Gelderlander); “L’ometto di Utrecht è l’orgoglio dell’Olanda intera” (Algemeen Dagblad).
Amsterdamned
“Fuck you”. Nell’agosto del 2004 Sneijder “ringrazia” così Ronald Koeman dopo aver realizzato la rete del momentaneo pareggio nell’incontro valevole per il Johan Cruijff Schaal, la Supercoppa d’Olanda, contro l’Utrecht, persa 4-2. Un labiale ripreso da tutte le telecamere che aveva reso elettrico un ambiente già scosso dall’affare-Trabelsi (il tunisino era ricorso alle via legali contro il club) e dalla frattura nello spogliatoio tra i due galli nel pollaio Ibrahimovic-Van der Vaart. Dopo le lodi, per Sneijder è tempo delle prime critiche. La panchina mal digerita, qualche atteggiamento da bulletto, il soprannome “il nuovo pitbull” - omaggio a Edgar Davids – forse preso un po’ troppo sul serio, e soprattutto per il verso sbagliato. Il titolo nazionale conquistato qualche mese prima - il primo “scudetto” vinto da Sneijder - sembrava aver montato la testa a più di un giocatore. Le turbolenze interne rappresentano il preludio all’esonero di Koeman. Seguiranno Ruud Krol (ad interim), Danny Blind e poi Henk Ten Cate (“come Mourinho, Ten Cate è l’allenatore che più di tutti ha capito le mie qualità, e in base a quelle mi ha messo nella giusta posizione in campo, avanzando il mio raggio di azione”). Ma la Eredivisie non tornerà più ad Amsterdam. Sneijder decide di fare le valigie nel 2007, al termine della sua quinta stagione in maglia ajacide, la migliore. Libero di agire sulla trequarti dopo anni come interno sinistro in una mediana a tre, Wesley chiude con 18 reti in campionato, cifra record per un centrocampista in Eredivisie. Un altro primato lo stabilisce il Real Madrid, pagandolo 27 milioni di euro. Mai l’Ajax aveva incassato tanto per un proprio giocatore.
Toro loco
Madrid è il paradiso di ogni giocatore, ma può diventare anche l’inferno. In due stagioni Sneijder conosce entrambe le facce della medaglia. Una prima annata positiva, da mezzala sinistra o interditore davanti alla difesa; prime uscite fulminanti (il derby contro l’Atletico, la doppietta più assist nel 5-0 al Villareal) e un finale in leggero calando. Decisamente negativa per contro la stagione seguente, composta quasi esclusivamente da infortuni, prestazioni mediocri e problemi extra-calcistici. In quest’ultimo caso si tratta del divorzio dalla moglie Ramona Streekstra (la coppia ha un figlio, Jessy, nato nel settembre 2006). “A Madrid ho vissuto una bella esperienza ma ho anche buttato via un anno della mia carriera. Tanti infortuni e una condotta fuori dal campo non propriamente da atleta”. Eppure nel mezzo c’era stato il grande Europeo disputato con l’Olanda, un torneo nel quale Sneijder era risultato, assieme all’ex compagno nel vivaio Ajax Nigel de Jong, il migliore degli oranje. Tecnica, personalità e un pregevole gol all’Italia, votato miglior rete della manifestazione. Travolgente nel proprio girone, l’Olanda si ferma sul più bello, ai quarti di finale, imbrigliata dalla Russia di Guus Hiddink, che la sconfigge usando le sue stesse armi: il gioco.
La prova del nove
E’ una palla gonfia di rabbia e frustrazione quella scagliata da Wesley Sneijder il giorno di Ferragosto del 2009 in una delle porte dell’Anoeta di San Sebastian. Una sassata da 25 metri che chiude la pratica Real Sociedad, tappa spagnola nel fitto programma di amichevoli estive del nuovo Real Madrid “Galactico” di Florentino Perez. Una squadra nella quale per il play olandese non sembra esserci più posto. Nemmeno la disponibilità mostrata dal giocatore ad essere utilizzato in un ruolo non suo, quello di centrocampista centrale difensivo, contribuisce a mutare il clima di smobilitazione imminente per la nutrita colonia oranje della Casa Blanca. Ruud van Nistelrooy, Klaas-Jan Huntelaar, Rafael van der Vaart, Arjen Robben, Royston Drenthe e, appunto, Wesley Sneijder. Tutti sul mercato, per lasciare il posto alle nuove stelle. Tanto più che la Liga spagnola concede ad ogni club il possesso di solo 25 “fichas”, cartellini, mentre il Real è prossimo alle trenta. E allora sotto a chi tocca. La telenovela Sneijder si chiude il 26 agosto: contratto quinquennale con l’Inter da 4 milioni di euro a stagione, e 15 milioni versati nelle case degli spagnoli. L’olandese sbarca a Milano con la nuova compagna, Yolanthe Cabau van Kasbergen, attrice, modella e presentatrice. In breve tempo diventeranno la coppia più glamour d’Olanda, ricevendo anche qualche critica per l’eccessiva sovraesposizione mediatica. In campo però nessuno strascico. L’esordio con i fiocchi nel derby della Madonnina, terminato 4-0 per l’Inter, è il preludio ad una stagione indimenticabile. Dopo Faas Wilkes, Wim Jonk, Dennis Bergkamp, Aaron Winter, Clarence Seedorf, il fratello Chedric (solo nelle giovanili), Edgar Davids e Andy van der Meyde, Wesley Sneijder è il nono tulipano a vestire la maglia dell’Inter. Il migliore.
Fonte: Calcio 2000